LE OPINIONI

IL COMMENTO Quando il Cristo Morto entrava nel carcere di Procida

Ci sono degli aspetti della vita procidana che molti isolani stessi non conoscono o conoscono poco. Immaginarsi, poi, se questi avvenimenti siano da tempo scomparsi perché non più in atto. Ad esempio, quanti di voi che leggete avete mai assistito all’entrata del Cristo morto a Venerdì Santo nel carcere? Credo pochissimi. Oggi l’argomento viene totalmente ignorato perché la casa penale è chiusa da più di trent’anni. Cosa volete che ne sappia un giovane (ed anche un meno giovane) di oggi? Anche il sottoscritto, prima di diventare medico del carcere non ne sapeva quasi nulla, se non una vaga notizia. quando, però presi a lavorare nell’istituto e mi calai nella sua realtà la mia visione del Venerdì Santo cambiò radicalmente.

Fino a quel momento questa giornata e la processione erano assorbite dalla foga di preparare il “mistero”; di portarlo, di fare a gara con gli altri, di ricevere i complimenti o le ramogne della gente ai lati della strada. Il Venerdì Santo e tutti gli annessi e connessi era per me un evento quasi goliardico. E credo fosse tale anche per gli altri giovani. Ma quando presi servizio sul carcere le cose cambiarono. Non avevo mai assistito prima all’entrata del Cristo morto nel luogo di pena. Ricordo che il Direttore mi pregò di attendere la processione nel carcere. Rimasi terribilmente colpito dall’evento. La porta dell’istituto, quella con la Madonnina in alto, rimase aperta; la processione scese da via San Michele proseguì per la discesa di via Castello; solo la statua del Cristo morto si staccò e si incamminò per il viale che porta all’ingresso del carcere; quì una squadra di otto detenuti sottrasse la statua ai Turchini e se la caricò sulle spalle. Entrarono nel luogo di pena fecero il giro del piazzale interno lentamente; fu per me un’emozione violenta; non aveva mai assistito aduno spettacolo del genere; intorno c’era un silenzio assoluto; si sentivano i passi dei detenuti sui basoli. Ricordo che il cappellano all’epoca era don Michele Costagliola; aveva preparato tutto con cura, aveva scelto i detenuti portatori settimane prima; questi erano impeccabilmente rasati e puliti, indossavano la divisa delle feste. Fui sommerso da un mare di considerazioni. Vidi detenuti piangere al passaggio del Cristo come bambini; ricordo perfettamente le lacrime di un ergastolano che aveva ammazzato moglie, un figlio e la nuora perché non gli portavano rispetto. 

Tutti i carcerati avevano i visi attenti, gli occhi sgranati e l’espressione tirata. Avrei pagato chissà che cosa per conoscere i loro pensieri di quel momento. Da fuori la porta arrivava quasi smorzato il suono della “Ione” a rendere ancora lirico il momento. Dopo pochi minuti, così come erano entrati, i detenuti uscirono dalla porta e consegnarono di nuovo la statua ai turchini. E ritornò il silenzio. Nel carcere tutto diventò come prima. Una valanga di pensieri mi assalì. Solo Cristo era entrato in quella fogna umana. Potenza del messaggio cristiano! Gesù ha detto: sono i malati, non i sani, che hanno bisogno del medico. Ed io in quel momento mi resi conto che si stava realizzando perfettamente il detto evangelico. Amici che mi leggete vi assicuro che l’entrata del Cristo morto nel carcere è un’emozione violenta. Per gli anni successivi non ne seppi più fare a meno. E mi convinsi ancora di più che nessun uomo deve essere considerato completamente perduto. D’altra parte chi siamo noi per giudicare?

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