LE OPINIONI

IL COMMENTO Ricorrenza dei morti, una pura formalità

E’ finito ottobre ed è arrivato il giorno dei Santi e quello dei Morti. Ma non avverto l’atmosfera che si sentiva una volta. E’ tutto senza senso; anche i morti sono un giorno come gli altri. Come se la morte non facesse più paura o come se non interessasse più a nessuno. Un tempo a Procida, quando ero ragazzo, i morti era una ricorrenza importante. Si cominciava una decina di giorni prima con la “novena”. Si teneva di prima mattina, quando era ancora buio; per la strada della Madonna della Libera sentivo la gente passare; il rumore dei passi sui basoli a volte mi svegliava. La chiesa era semibuia, per creare un’atmosfera funebre. Al centro della chiesa (mi riferisco alla Madonna della Libera) c’era il “Tumulo”, una struttura di legno ed erba tipo edera con una croce al centro. Simboleggiava la morte in quei giorni ancora più presente. La gente, molto numerosa, ascoltava la messa e la predica ancora con maggiore convinzione. La morte era una cosa seria. Tutti avevano defunti all’altro mondo. Bisognava rispettare le loro anime e alleviare le loro pene nel Purgatorio. Ognuno si raccomandava presso uno dei tanti preti per farsi celebrare una messa in suffragio di qualche anima in particolare. Specialmente il giorno dei morti gli altarini lungo le navate della Madonna della Libera erano tutti occupati da preti che celebravano. Appena uno terminava ne subentrava un altro. Per tutta la chiesa, nella penombra, si sentivano preghiere mormorate sottovoce; intorno era silenzio, si udivail fruscio delle corone dei rosari. Per noi ragazzi era una festa: andavamo al cimitero: c’era molta gente; per i viali si camminava a stento. Presso alcune tombe c’era gente vestita di nero che piangeva a calde lacrime; noi passavamo in silenzio perché qualcuno ci aveva detto che lì sotto c’era un “morto fresco” e i familiari non si erano ancora rassegnati.

Molti anni fa, sulle tombe, non esisteva luce elettrica si mettevano, infilandole nel terreno che ricopriva le tombe, delle lunghe aste su cui erano infissi dei contenitori per le candele. La cera si consumava e noi ragazzi ci divertivamo a grattarla e a portarla via. Facevamo a gara a chi ne raccoglieva di più. Nei giorni successivi ci saremmo divertiti a costruirci delle candele. Nella cappella dei Turchini. un locale buio, nero di fumo, basso bisognava quasi camminare curvi, ma ne valeva la pena perché si raccoglieva molta cera. Poi salivamo all’esterno.Davanti al cancello del cimitero c’era sempre, ogni anno, un carrettino carico di cachi. Il proprietario invogliava i ragazzi ed urlava: “I dolci! Mangiatevi ‘u dolce!” E noi ragazzi cimangiavamo quei cachi molli e dolcissimi, che si frantumavano tra le dita e ci impastricciavano la faccia. Passavamo tutta giornata dei morti giù al cimitero. Poi al pomeriggio seguivamo la processione con la benedizione di tutte le tombe. Stanchi, ma felici, dopo ci ritiravamo presso le nostre case. Mia mamma, i nonni, gli zii ci chiedevano se avevamo recitato un “Requiem aetaernam” per le anime dei nostri morti. Noi giuravamo di si…..ma non era vero. Chissà se il Signore ci ha perdonati per queste nostre bugie!

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