CULTURA & SOCIETA'

IL VIAGGIO IN AMERICA DI AGOSTINO LAURO TRA FEDE E CAPACITA’.

Secondo Dopoguerra, Agostino era animato da un sogno: vedere l’America. Ma non era semplice realizzarlo, non in quegli anni. Occorreva infatti un «atto di richiamo» da parte di persone residenti negli Stati Uniti. Nel corso dell’occupazione degli Alleati, conobbe un ufficiale della V Armata, italoamericano. Aveva guidato lo sbarco dell’esercito sulle coste della Sicilia, che conosceva bene. Per ricompensarlo dei suoi servizi, il governo degli Usa gli donò una nave che avrebbe dovuto portare in Italia. Era l’occasione giusta, per Agostino, che fu scelto tra i marinai che avrebbero composto l’equipaggio per la grande traversata. Uomo di fede, Agostino non mancava mai di portare con sé, quando viaggiava, l’immagine della Madonna della Libera e quella di San Giovan Giuseppe della Croce, il patrono della sua isola. Il 17 ottobre del 1947 partì da Napoli con una nave Liberty Americana. Sua madre, mentre lo benediceva sull’uscio di casa, si fece promettere di ritornare ad Ischia per sposare una ragazza del luogo e darle infine tanti nipotini. Emozionato, Agostino promise che lo avrebbe fatto. E così accadde.

Giunto in America, dopo sette giorni di navigazione si rese conto di quanto enorme sia l’Oceano. Tanto più grande se al suo cospetto avanzava la piccola «Buona Speranza», così si chiamava la nave che doveva riportarlo in Italia: per questo, con grande slancio di fede si rivolse a Dio, alla Madonna e a San Giovan Giuseppe, invocando il loro aiuto, non prima di aver sistemato le sacre immagini sotto la prua della nave, sicuro di essere assistito. La traversata doveva sembrare un’impresa impossibile anche alle autorità americane, inizialmente restie ad acconsentire alla partenza. E accade che un ischitano, residente in America, mandò ai suoi familiari sull’isola una copia del “Progresso Italo-americano” che pubblicava una foto di tutto l’equipaggio della «Buona Speranza». In primo piano c’era lui, Agostino, e una frase che lo avrebbe segnato negli anni: «Nelle nostre vene scorre il sangue di Cristoforo Colombo e quindi siamo in grado di affrontare il viaggio». Nel soggiorno negli Stati Uniti, Agostino fu ospite conteso dei parenti d’Oltreoceano e a molti degli isolani emigrati portò lettere dai familiari, ricompensato con grandi pacchi contenenti indumenti e sacchi di farina.

Un carico che sull’isola impoverita dalla guerra era particolarmente atteso.

Da New York Agostino salpò il 5 dicembre 1947, dopo aver comprato un enorme carico di farina, che nelle tappe intermedie del viaggio, a Las Palmas, fu costretto a vendere perché in larga parte inumidito dalla marea. In compenso, arrivò a Napoli con un carico di banane che andarono a ruba, con grandi quantità di pomodori e barili pieni del ricercato tonno all’olio molto ricercato: era tanto che non se ne vedeva in commercio. Alle Canarie aveva comprato stoffe pregiate per vestiti della mamma e per sua sorella Antonietta: prodotti ambiti, non aveva badato a spese.

Aveva anche escogitato una strategia per alleviare la pena di mamma e sorella, lasciando alla zia Domenica di Brooklin un pacco di lettere: ne spediva sistematicamente una ogni cinque giorni per via aerea. Il viaggio fu un’avventura, come riferì egli stesso in una lettera spedita dalle Gran Canarie la sera del 5 gennaio del 1948 e scritta qualche giorno prima: «Carissime, è la notte di Natale, voi state in chiesa a pregare per me. Dopo venti giorni di fortunosa navigazione, siamo giunti a Las Palmas. Appena giunti ci siamo inginocchiati, abbiamo ringraziato Dio e ci siamo inchinati a baciare la terra, perché credevamo di toccarla più. Appena ricevete questa mia, preparate un pranzo per i bambini poveri: mi raccomando che ci sia tutto, dall’antipasto al dolce, come quando abbiamo invitati di riguardo. Antonietta e le amiche serviranno a tavola, in Parrocchia. Andate a Ischia Ponte, a far celebrare una messa di ringraziamento a San Giovan Giuseppe della Croce, perché le pompe erano fuori uso e si doveva levare l’acqua che incassava la nave a mano con secchi, riposavo un poco sopra uno scanno di bordo, mentre il ciclone ci sballottava in sua balia. Sognavo e vedevo le mani di San Giovan Giuseppe e sentivo la sua voce che mi diceva: “ancora tre giorni soffrirai, ma poi vedrai un faro”. Era quello di Las Palmas, vi giungemmo esattamente dopo tre giorni di furiosa tempesta».

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Il Santo gli predisse ancora che prima di arrivare a Ischia, avrebbe corso un altro pericolo e anche in quel caso, gli disse, “Ti sarò vicino”. Cosa che si verificò puntualmente.

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Rimasero alle Canarie molto tempo per riparare tutti i danni subiti nel fortunoso viaggio. Giunsero infine a Napoli il 18 febbraio 1948. Mentre si avvicinavano al Porto, ci fu un terribile nubifragio che imperversò su tutto il Golfo, compresa la città: diversi palazzi, già danneggiati dalla guerra, crollarono. Il comandante del Buona Speranza disse: «Ci siamo salvati nell’Oceano, evitiamo di rischiare qui». E si ancorarono così a ridosso di Posillipo, restandovi per tutta la notte». Il Santo lo aveva previsto. Il pomeriggio successivo, entrando nel Porto di Napoli, incrociarono il “Partenope”, la nave di linea diretta a Ischia. Agostino era in plancia e salutava con la sirena di bordo, mentre il comandante del “Partenope”, rispondeva con il suono del suo fumaiolo. Fu un momento commovente, raccontò chi era presente. Agostino era tornato a casa.

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