CULTURA & SOCIETA'

Ischia, il sogno spezzato di un “Ultras”

L’isola verde nel film di Francesco Lettieri disponibile su Netflix dal 20 marzo

La spiaggia dei pescatori, tranquilla e popolare, alla Mandra. Le partitelle di pallone sotto la chiesa del Soccorso a Forio. Un ex ristorante in disarmo che punta l’assolato infinito accanto agli Scogli degli innamorati.
E’ tutto qui (hai detto niente) il sogno che Sandro, capo storico di un gruppo ultrà del Napoli calcio, prova a vivere insieme a Terry, la giovane donna che forse può strapparlo da una vita quotidiana in cui la violenza è parte fondante di una cultura tifosa perennemente in bilico tra cronaca e criminalità.
Dura pochi minuti la parentesi ischitana di queste due solitudini che si incontrano e si riconoscono; un intermezzo romantico in cui le location isolane travalicano in qualche modo il segno del destino (già scritto), sganciandosi da una trama che, immersa nel degrado partenopeo, non poteva che scatenare i soliti, puntuali attacchi contro chi s’azzarda a raccontare una città-mondo, la sua bellezza sporca e antica, la sua gente generosa e sventurata.

Eppure pochi minuti raccontano bene (parte del)la poetica di Francesco Lettieri, una vera celebrità nel mondo del videoclip (ha filmato le hit di Calcutta, Thegiornalisti, Motta e Liberato), qui all’esordio cinematografico con “Ultras”, storia inventata, ma realistica, sulla frange più estreme del tifo calcistico e sui loro implacabili riti (il film, non a caso, inizia e finisce fuori da una chiesa).

Dopo aver mancato la programmazione prevista al cinema a causa dell’emergenza sanitaria mondiale, l’opera prima del filmmaker napoletano è sbarcata su Netflix, disponibile dal 20 marzo, per fare compagnia agli abbonati in quarantena.

Aniello Arena (già protagonista di “Reality” di Matteo Garrone) è Sandro, capo carismatico degli Apache, gruppo di ultras del Napoli con cui ha passato tutta la vita per strada e allo stadio. Un Daspo (il divieto di partecipare alle manifestazioni sportive) gli impedisce di entrare nel sacro tempio durante un campionato in cui la sua squadra è prima in classifica. Ma Sandro è anche un uomo stanco, con un senso di colpa per un fattaccio sanguinario legato alle tifoserie, e pronto a passare la mano a una giovane generazione di seguaci più svegli e spregiudicati.

In più c’è Angelo (Ciro Nacca), sedici anni, un ragazzo che lo considera la sua guida, quasi un padre e comunque la persona che ha preso il posto di suo fratello Sasà, morto anni prima negli scontri durante una trasferta. Quando Sandro conosce Terry (Antonia Truppo, David di Donatello per “Lo chiamavano Jeeg Robot” e “Indivisibili”), donna sensuale e volitiva che finalmente gli tiene testa, la metamorfosi sembra a portata di mano (“come sarebbe avere una casa a Ischia?”, si chiedono in una scorribanda in motocarrozzetta). Ma la sorte (l’amicizia? la vita? le voci di dentro?) non consentiranno “tradimenti”.

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“Ultras” non è un film sul calcio o sul mondo delle tifoserie (così come “Gomorra” non era un film su Napoli). E’ un lavoro che nasce dalla vicinanza radicale dello sguardo messo in campo dal suo autore alla verità morale ed estetica dei suoi personaggi, alla loro “ideale” aderenza alla realtà. Un film che si nutre di corpi, di colori, di liturgie, di sentimenti, di gesti e maledizioni (“tutta colpa della disoccupazione” è il sacrosanto sfregio sulle mura della questura).
I personaggi, chiaramente schiacciati da un contesto in cui è il Vesuvio (e la sua ombra) sono gli unici orizzonti consentiti, emergono da questo paesaggio con una ricchezza da bassorilievo che si offre con limpidezza quasi sacrificale alle ragioni della loro stessa realtà. Ecco perché la suggestiva parentesi isolana (quasi un “Ischia Rendez vous” sulla falsariga del videoprogetto caprese curato l’anno scorso per Liberato) è un capitolo autonomo che trascina la coppia dentro un background sognante, pieno di nostalgia per un tempo vacanziero e un’isola che non esistono più, se non negli effetti speciali (si noti l’uso retrò della luce) dell’industria del turismo. E che, non a caso, ritorna oltre il tragico finale, sogno amaro, spezzato dai ferini comandamenti della vita.

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Sabina

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