CRONACA

La scuola e il “no” alla violenza di genere

DI ANTIMO PUCA

L’incontro di stamani (ieri per chi legge, ndr) “l’eliminazione della violenza contro le donne” tenutosi nell’Aula Magna dell’Istituto Telese, doveva vertere sul concetto di educare i giovani. Preposti all’educazione sono la famiglia, la scuola, la società (la politica). Che si stia parlando prima di tutto della donna, e della storia millenaria di violenze che è passata sulla sua ‘vita-non vita’, perché mai considerata ‘persona’, ma solo ‘risorsa’ da sfruttare o sogno infantile di paradisi perduti, su un corpo costretto, proprio per la capacità biologica di far figli, a incarnare per sempre la finitezza del destino naturale degli umani, di questa storia i ‘maestri’ della ‘città dell’uomo’ non parlano. O, non parlano mai abbastanza. Non sanno. Non vogliono. O sono ottenebrati dal “privilegio” di aver avuto da sempre le donne ‘per sé’, disponibili tra le mura di casa, attente ai loro bisogni come alla loro felicità. I giovani disertano le parrocchie che erano fucine dai principi saldi. Educare i ragazzi ad educarsi e le ragazze a rispettarsi. I ragazzi si devono educare. Le ragazze devono rispettare se stesse prima di farsi rispettare dagli altri. Due verbi diversi. Le ragazzi rispettarsi ed i ragazzi educarsi. La violenza è sempre da bandire. Si parla della violenza alle donne Ma si dimentica della violenza che le donne sottilmente fanno giornalmente a noi uomini. La minigonna. I sorrisi ammiccanti. Le avances sono anche violenza. Non si può essere moralmente indifferenti. Violento è, innanzitutto, che gli uomini possano mettersi a “guardare in faccia” la donna e parlino di un “conflitto di diritti e doveri”, quando il vero conflitto, quello che sta monte di ogni Legge, è il rapporto di potere tra i sessi. Violento è chi si erge a difesa dei Valori senza dire di quanti stupri, quante maternità non volute, quante morti per aborto o per parto, è stata causa la sessualità maschile. Un potere fecondante scambiato per ‘potenza virile’. Un atto d’amore trasformato in prova di forza, di controllo e di dominio. 

Il rumore delle donne è sempre più eclatante. Tanto fervore da parte maschile sui Valori lascia il sospetto, sempre più manifesto, che, a inquietarli fino a una dichiarazione aperta di guerra psicologica e politica, siano la ‘nascita’ delle donne come persone -e non funzioni riproduttive, lavoratrici domestiche senza compenso, ‘curatrici’ di bisogni e affetti-, e la libertà con cui stanno svincolando i loro corpi, la loro vita psichica e intellettuale dalle gabbie entro cui sono riuscite, nonostante tutto, a sopravvivere. “Al male, il più delle volte, fa seguito un “non luogo a procedere”, per cui la verità, la giustizia, la responsabilità restano irrisolte, incompiute” (Claudio Magris). Di rado si celebra un processo che rimetta le cose al giusto posto, che separi chi ha saputo essere coraggioso e giusto da chi si è schierato dalla parte dei prepotenti. Ciò accade ogniqualvolta gli individui e le comunità vengono meno al dovere de LA MEMORIA, alla necessità di capire che cosa è accaduto, di stabilire le responsabilità. Ricordare, cercare la verità, coltivare la memoria consente di dare voce e dignità a tutte le vittime e a inchiodare chi ha fatto il male alla sua colpa. Solo quando ciò avviene, il male viene sconfitto. Non è, questa, un’impresa di poco conto.

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