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Lacco, il Comune rivuole il porto: il ricorso spiega perché

L’ente di Piazza Santa Restituta ricorre al Consiglio di Stato contro l’ordinanza del Tar che aveva consentito alla Marina di Capitello di mantenere la gestione della struttura nonostante la scadenza della concessione

Il Comune non si arrende, e contesta le decisioni del Tar puntando principalmente sulla mancanza di giurisdizione dei giudici amministrativi di primo grado. È questa essenzialmente la linea che sarà tenuta dagli avvocati Lorenzo Lentini e Nicola Patalano per far valere davanti al Consiglio di Stato le ragioni del Comune di Lacco Ameno nei confronti della società Marina di Capitello Scarl, già concessionaria del porto turistico lacchese in virtù di una convenzione quinquennale, ma scaduta lo scorso 9 giugno. Convenzione che peraltro era già stata considerata risolta dal Comune durante il mandato del Commissario Prefettizio, visto l’inadempimento da parte della società, che non aveva versato i canoni annuali all’ente. Il provvedimento di risoluzione per inadempimento era stato contestato dalla società, ma dopo due decisioni cautelari a favore, il ricorso era stato definito nel merito con la dichiarazione di difetto di giurisdizione da parte del Tar. Visto che la società non ha riassunto il giudizio nei termini di legge, le misure cautelari erano decadute, quindi la risoluzione per inadempimento era tornata immediatamente ad essere efficace. Anche in virtù di tale risoluzione, che ai sensi del codice civile opera automaticamente, secondo il Comune non ci sarebbe stata alcuna possibilità di invocare e applicare il cosiddetto Decreto Cura Italia per concedere una proroga semestrale alla società concessionaria, consentendole di gestire per un’altra stagione turistica l’infrastruttura portuale. Inoltre la Società, pur avendo proposto giudizio arbitrale, non aveva però richiesto al tribunale ordinario misure cautelari per paralizzare l’efficacia del provvedimento di risoluzione per inadempimento, che quindi è tuttora valido ed efficace.

Il punto focale del ricorso del Comune, come accennato in apertura, è quello della sostanziale contraddittorietà della pronuncia del Tar, che da parte sua aveva già dichiarato con decisione la propria carenza di giurisdizione, mentre successivamente ha adottato due provvedimenti di sospensione, motivandoli in maniera incoerente e appunto contraddittoria con la precedente decisione. I legali del Comune fanno infatti notare che in quella sentenza i giudici amministrativi di primo grado avevano “ritenuto che la cognizione sulle vicende del rapporto convenzionale esistente inter partes sia demandata al giudice ordinario”, e facendo riferimento a numerose pronunce del Consiglio di Stato, hanno sottolineato che la controversia in questione relativa alla scadenza della convenzione, alla non applicabilità del regime di proroga legale (art. 103 D.L. 18/2020, decreto “Cura Italia2) e all’inammissibilità di rinnovo/proroga negoziale, investe la fase esecutiva del rapporto convenzionale, senza esercizio di poteri autoritativi.

I legali di fiducia del Comune puntano sulla carenza di giurisdizione del Tar nel concedere misure cautelari nella fase esecutiva della convenzione con la società, da considerarsi risolta per inadempimento: il concessionario non aveva versato il canone annuo

Il Tar, di conseguenza, non ha cognizione sugli atti impugnati, proprio perché non poteva eludere la sua precedente decisione, dopo aver contraddittoriamente dato atto nella stessa ordinanza appellata della competenza del Tribunale ordinario e della pendenza del giudizio arbitrale tra le stesse parti.

Una contraddizione stridente, che secondo l’ente di Piazza Santa Restituta è decisiva, in quanto la carenza di giurisdizione non può essere superata invocando i poteri cautelari del Tar, come del resto è previsto dal codice del processo amministrativo. Il difetto di giurisdizione esclude la concessione delle misure cautelari, visto che spetta al giudice ordinario ogni competenza cautelare quando pende un giudizio arbitrale (come è nel caso in questione). In sostanza, si sarebbe verificata una sorta di “invasione di campo”, perché se il rapporto tra Comune e società era già stato risolto come stabilisce il codice civile, era impossibile “conservarne” gli effetti, come invece il Tar ritenuto di fare.

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In ogni caso, anche senza considerare la risoluzione per inadempimento risalente all’estate 2020, il Comune ha rimarcato che la convenzione è poi scaduta irreversibilmente il 9 giugno. Un’estinzione naturale che supera ogni interesse a contestare la stessa risoluzione per inadempimento.

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Le vicende relative al rapporto tra società e Comune sono demandate al giudice ordinario, cosa che lo stesso Tar aveva riconosciuto con la precedente sentenza pronunciata tra le stesse parti: una contraddizione che secondo gli avvocati dell’ente può essere decisiva

Insomma, in un senso o nell’altro, secondo i legali del Comune il Tar non poteva applicare alcuna proroga, e comunque già con una precedente decisione aveva dichiarato la propria mancanza di giurisdizione.

Questi, in estrema sintesi e senza ricorrere troppo ai tecnicismi tipici della materia amministrativa, sono alcuni dei punti principali del ricorso del Comune, che punta a veder definitivamente riconosciuto il proprio ruolo di unico concessionario del demanio portuale, e a non vedere pregiudicato in maniera irreversibile l’interesse pubblico specifico a gestire lo scalo, pregiudizio che già è stato arrecato con le varie concessioni di misure cautelari alla società durante l’estate scorsa, consentendo alla Marina di Capitello di mantenere tuttora la gestione del porto. La lunga sfida è quindi pronta per il secondo atto, senza contare i paralleli procedimenti in corso, quello davanti al giudice ordinario e quello arbitrale.

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