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Lettere allo psicanalista – La legge del desiderio

Gentile Professore,

sono da poco laureata in psicologia e seguo con attenzione la sua rubrica. Spesso, leggendo i suoi articoli, m’imbatto in autori ai quali all’Università si fa distrattamente cenno o di cui non si tratta affatto. Trovo abbastanza sconvolgente tutto questo.

La settimana passata, tra i molti riferimenti da lei compiuti nel pezzo sull’omicidio collettivo, spiccava il discorso sul “capro espiatorio” di un pensatore a me, prima, totalmente sconosciuto: René Girard. Mi sono subito documentata sul Web e ho capito di aver scoperto una miniera. Appena potrò ne comprerò i libri. Nel frattempo, cosa potrebbe dirmi di più di lui? 

 

LA LEGGE DEL DESIDERIO

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Pensi, mia giovane collega, che quando io mi iscrissi all’università – ci situiamo in un’epoca remota della storia culturale, oramai – lo feci perché nutrivo un’ardente passione per la psicoanalisi di Freud, la psicologia analitica di Jung e quella individuale di Adler. Allora, infatti, la psicologia dinamica e la realtà del profondo rappresentavano il cardine dell’impianto di studio. Lungo il percorso, malgrado il numero elevato di delusioni dovute a proposte nozionistiche, incontrai alcuni insegnamenti stimolanti, che mi suggerirono  l’esistenza di ulteriori orizzonti. Oggi mi fa specie che il corso di studi di grandi atenei si fregi di definizioni come “Scienze e Tecniche Psicologiche”. Con esse si ambisce ad assimilare il discorso psicologico a quello delle scienze dure, basate sulla ripetibilità degli eventi, e, contemporaneamente, si idealizza il sapere tecnico, vera ossessione dei nostri tempi, laddove, in psicologia, le tecniche derivano soprattutto dalla personalità, dall’esperienza, dalla matrice e dalla visione culturale di chi le adotta, oltreché, ovviamente, dalle mutevoli necessità di chi ne fruisce.

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Provo a rispondere, adesso, alla sua richiesta.

Uno degli aspetti più interessanti della riflessione di Girard concerne il posto fondamentale che occupa la mimesi nella società umana. Per il pensatore  francese, in pratica, tutto si spiega attraverso questo spontaneo meccanismo di emulazione: vuoi il desiderio che la violenza collettiva sugli innocenti, della quale ho trattato espressamente nell’articolo della scorsa settimana. Prendiamo in esame, oggi, pertanto il desiderio. Per Girard esso è una forza che s’impone al soggetto “possedendolo”, al pari di una divinità o di un demone. Non è il singolo ad avere un desiderio, come siamo soliti credere superficialmente, egli afferma, ma è il desiderio ad impadronirsi di un essere umano manifestando il suo carattere dirompente e invasivo. Una volta che ciò accade a un singolo, anche altri individui sono catturati dal turbine di questa forza, proprio per la naturale tendenza mimetica dei gruppi umani. La «sarabanda» cresce autoalimentandosi, poiché il piacere consiste proprio nell’abbandonarsi alla dismisura e nell’alimentarla con ulteriore desiderio. L’annullamento temporaneo delle diversità individuali, la fusione che avviene quando monta il desiderio, genera nel contempo, però, una minaccia di dissoluzione delle personalità e delle strutture sociali, abbattendosi retroattivamente sul desiderio stesso. Nel suo crescere all’infinito esso rischia, infatti, di scatenare la violenza tra i membri del gruppo, simmetrici nel provare lo stesso desiderio. Nasce da qui la ricerca di un ostacolo al piacere, di una vittima sacrificale, di un «capro espiatorio» che, pur essendo innocente (o proprio perché lo è), viene a rappresentare l’impedimento simbolico al godimento del piacere. Un esempio straordinario di tale processo lo strutturalista francese lo scorge nella celebre storia evangelica di Erode, Erodiade e Salomè. Erode ha fatto incarcerare Giovanni Battista, che gli rammenta come sia nociva la concorrenza con suo fratello (che anche lui ha nome Erode, guarda caso), al quale ha sottratto la moglie Erodiade. Il re  incarcera il profeta, per il quale nutre un misto di paura e rispetto. Egli non intende ucciderlo. Ma Erodiade vede invece nel Battista l’unico ostacolo al godimento di un piacere ideale, illimitato. Attende i festeggiamenti del compleanno del nuovo consorte, al cui banchetto sono invitati dignitari e illustri ospiti. Al momento opportuno manda a chiamare la figlia, poco più di una bambina, e la esorta a danzare davanti al re. Questi resta abbacinato dalla abilità e dalla sensualità di Salomè e, già preda della vertigine del desiderio, le rivolge offerte esorbitanti per ricambiarla del piacere che gli ha procurato. La ragazzina, in realtà, non sa che chiedere (segno che non possiede ancora una propria intenzionalità nel gioco del desiderio) e viene prontamente indottrinata dalla madre: pretende allora, su un vassoio di argento, la testa di Giovanni Battista. Erode, allora, cerca di correggere il tiro, di sviare su possibili doni materiali il desiderio della bambina, ma Salomè resta irremovibile. Il re ha dato la sua parola al cospetto di tutti, di una collettività che ora potrebbe rivolgerglisi contro, che potrebbe denudarlo quella dignità regale tanto pomposa quanto fragile e farne il nuovo «capro espiatorio». Per cui, suo malgrado, accetta. Salvo, poi, fantasticare paranoicamente che il sant’uomo decollato si sia reincarnato in quel predicatore di cui tanto si parla, di nome Gesù.

Questo discorso sembra condurre diritto a quello formulato dallo psicanalista  Jacques Lacan, in merito alla dinamica “Legge-desiderio”. Nella sua concezione è la proibizione a generare il desiderio e non viceversa. La norma, il tabù, il limite, servono a indicare cosa sia desiderabile, distinguendolo dal resto del reale, e schiudendo il soggetto a un universo che va oltre la soddisfazione immediata, pulsionale, dei propri bisogni. La “Legge”, quel registro simbolico che Lacan chiama “Il nome del Padre”, in questo modo, inserisce nello spazio e nel tempo il discorso del singolo e della collettività. Si dà forma, così, a una dialettica aperta e viva tra chi desidera e i limiti che gli impediscono la soddisfazione. Una “Legge” stritolante soffoca e schiaccia le personalità, i gruppi e le società; dunque va abbattuta e riscritta. L’assenza totale della Legge, all’opposto, non pare affatto auspicabile; di fatti, essa non libera l’uomo ma lo psicotizza, impedendogli di declinare “il discorso del desiderio”.

Per lo scopritore della psicoanalisi, Sigmund Freud, invece, il desiderio appartiene all’uomo sin dal primo istante di vita. Esso procede sempre più, man mano che l’individuo matura, accrescendosi in certe zone dette “erogene” del corpo. A tali zone erogene corrispondono funzioni come quella del guardare e succhiare, dell’espellere o del trattenere le feci ecc., a salire fino alla acquisizione della genitalità adulta. Ad ognuna di queste mete del desiderio corrispondono specifici pensieri, idee, fantasie.  Per Freud il momento cruciale dell’esistenza umana si situa tra i tre e i cinque anni, quando si cristallizza il “complesso di Edipo” per i maschi e quello di “Elettra” per le femmine. Si tratta di configurazioni psichiche caratterizzate dall’identificazione con il genitore del proprio sesso e alla rinuncia a fantasticare il possesso dell’altro genitore, pur rimanendo inalterati questi moti d’animo nella psiche inconscia. In realtà spesso si trascura che queste complessualità Freud le definisce in modo più ampio, ipotizzando anche un legame erotico con il genitore del proprio stesso sesso. Una volta nell’Inconscio tali desideri attendono soltanto di essere risvegliati da sollecitazioni future e ciò avviene tanto più violentemente in seguito quanto meno è riuscita la soluzione in infanzia. Per Freud, la proibizione adulta nei confronti del bambino o della bambina è vissuta da essi  come “minaccia di castrazione” e, in fondo, la società stessa, egli sostiene, si sorregge sul fragile impianto dell’ adattamento a regole in procinto di sfaldarsi miseramente ad ogni passo, per l’enorme pressione esercitata proprio dai desideri repressi.

 

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