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Morte Diotallevi, “scontro” in aula sulle cause del decesso

ISCHIA. Ieri mattina il dottor Alfonso Maiellaro, consulente di parte civile, ha deposto nel processo per accertare le eventuale responsabilità nella scomparsa di Maria Diotallevi, avvenuta presso l’Ospedale Rizzoli quasi tre anni fa. Dinanzi al dottor Alberto Capuano, giudice penale della sezione di Ischia del Tribunale, il dibattimento si è da subito concentrato sul doppio binario costituito dalle cause che hanno provocato la morte della giovane donna e dall’eventuale nesso tra l’evento e la condotta del personale del Pronto Soccorso presso il nosocomio di Lacco Ameno. Tra i difensori di parte civile è stata l’avvocato Lucia Rosa Buono a dare inizio all’esame del consulente, specialista in medicina legale, che ha illustrato le conclusioni a cui è giunto nell’esaminare la documentazione. Il decesso, secondo il dottor Maiellaro, sarebbe sopravvenuto in conseguenza di una cosiddetta insufficienza multiorgano dovuta a uno shock settico da broncopolmonite, dove molte aree risultavano interessate, al punto da configurare una sindrome da risposta infiammatoria sistemica (Sirs).

Il giudice ha rivolto alcune domande dirette a capire da cosa si evidenziava tale shock settico,  non in sede autoptica, bensì in sede di ricovero. Secondo il consulente alcuni elementi che avrebbero potuto indicare il processo in corso erano costituiti dalla febbre, dai sintomi gastroenterici, dalla riduzione dei linfociti, e vari altri parametri chimici, che avrebbero potuto essere indicativi unitamente a una successiva attività di esami e rilievi che però al Pronto Soccorso non vennero compiuti (rilievi al distretto toracico ecc.), mentre furono effettuati altri, come quello sulla pressione arteriosa. Dunque, secondo la prospettazione del consulente di parte civile, la responsabilità si configurerebbe nella fase del ricovero, o meglio del mancato ricovero, dopo l’accesso al Pronto Soccorso, dal quale la paziente fu dimessa nonostante la “risposta parziale agli antipiretici somministrati”. L’avvocato Buono ha quindi chiesto se sia corretto dire che la dottoressa Pisano  che ebbe in cura la ragazza il 29 novembre non abbia seguito le linee guida dettate dalla comunità scientifica. Il dottor Maiellaro ha sostanzialmente assentito, affermando che visti gli esiti la condotta seguita può definirsi censurabile perché, a suo dire, il mancato ricovero ha condizionato la successiva evoluzione della vicenda. Col ricovero, secondo il consulente, si sarebbe proceduto all’effettuazione di esami clinici più approfonditi, e integrazioni con indagini strumentali. Una mancanza che, con la diagnosi di sindrome gastroenterica, impedì la somministrazione di una terapia antibiotica tempestiva. In proposito il consulente ha lungamente illustrato un studio secondo cui le probabilità di efficacia  dell’antibiotico e di sopravvivenza del paziente, molto alte se la cura inizia entro un’ora dal riscontro di uno stato patologico analogo al caso in questione, decrescono percentualmente in modo significativo per ogni ora di ritardo successivo. La setticemia di cui fu vittima la Diotallevi fu, secondo il dottor Maiellaro, comunque di origine polmonare, ed emergerebbe il nesso di causalità tra il decesso e la condotta del personale del Pronto Soccorso.

È poi toccato all’avvocato Vincenzo Aperto esaminare il teste. Il penalista ha chiesto al dottore di spiegare in cosa consiste la “lipomatosi” riscontrata al cuore della ragazza. Il consulente ha spiegato che tale fenomeno, costituito dall’accumulo localizzato di adipe, quindi di grasso, è presente nel 20-30% della popolazione sana, e molto spesso non si associa a un quadro sintomatico. Nel caso di Maria Diotallevi, la lipomatosi può aver influito nella fase terminale, secondo il teste, cioè nell’esasperare lo shock settico, durante il quale il cuore non ha più la possibilità di sostenere il ciclo ematico. L’organo, ha dichiarato il dottore, era già provato da una lipomatosi “severa”, cosa che potrebbe aver favorito l’evoluzione del processo patologico. L’avvocato Aperto ha quindi chiesto se sia corretto affermare che, se la sepsi fosse  stata correttamente diagnosticata il giorno 29 novembre e quindi adeguatamente curata, la severa lipomatosi sarebbe risultata ininfluente. Il teste ha sostanzialmente confermato tale asserzione, ritenendo necessario il ricovero della paziente il 29 novembre.

L’esame si è concluso con le domande della difesa, rappresentata dall’avvocato Massimo Stilla, legale di fiducia della dottoressa Pisano. Rispondendo alle domande del penalista, il teste ha dichiarato di non aver assistito all’autopsia e di non aver verificato gli effetti istologici, perché esulavano dalla sua competenza, e che la sua consulenza è maturata esclusivamente sulla base della documentazione fornitagli. Poi l’avvocato Stilla è tornato sul punto intorno al quale si gioca gran parte della strategia difensiva, chiedendo al dottore in quale percentuale è quantificabile la lipomatosi cardiaca, cioè quanto tessuto dell’organo era stato sostituito da adipe. Il teste ha confermato che si trattava di una lipomatosi “severa”, ma di non sapere o ricordare la percentuale esatta e se essa sia indicata nei documenti. A una precisa domanda del giudice, il teste ha definito come “severa” una lipomatosi che superi il 50% della massa esaminata. L’avvocato ha ricordato che nel caso in questione la percentuale si aggirava addirittura all’80%. In pratica, la massa di grasso aveva sostituto per quattro quinti il tessuto. Un elemento che potrebbe aver avuto un peso determinante nel tragico epilogo della vicenda. Nella prossima udienza, fissata a dicembre, saranno ascoltati alcuni testimoni indicati dalla difesa, tra cui un medico specialista, due infermieri che prestarono servizio al Pronto Soccorso il 29 novembre 2015, e un dirigente medico presente il successivo  1° dicembre, quando la situazione precipitò.

 

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