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Procida e l’ennesima “lezione” agli ischitani

La bussola indica la rotta da seguire, la stella cometa suggerì ai Re Magi la strada che dovevano percorrere. Per raggiungere un obiettivo bisogna sempre muoversi lungo un percorso, più o meno intricato e irto di ostacoli. Noi ischitani, ancora una volta, in questo senso subiamo una terribile lezione dai “cugini” procidani che hanno dimostrato di essere – quando serve – un popolo con le palle, e mi scuseranno i puristi della lingua italiana se usiamo un termine così esplicito. Sulla nostra isola abbiamo un limite enorme, ce lo portiamo tutti dentro,magari è presente anche nel DNA di ciascuno di noi: siamo pronti ad alzare la voce, a minacciare fuoco e fiamme, ad abbaiare (raramente a mordere) soltanto quando dobbiamo difendere un interesse personale. Quando la questione è invece collettiva, beh, chi se ne frega, a meno che tra la vittime del problema di turno non ci siamo dentro anche noi. Gli esempi potrebbero essere tanti: in fondo se alla protesta sul porto per i tagli dei collegamenti marittimi ci sono soltanto i pendolari più incalliti, se alle manifestazioni in difesa del diritto alla casa ci sono soltanto i poveri cristi sul cui capo pende un’ordinanza di demolizione, un motivo ci sarà pure. Finchè il problema non è esclusivamente mio non devo ritenerlo anche mio, questa è la corrente di pensiero che da sempre caratterizza l’isclano modus agendi.

Sarà stato il benessere che ha caratterizzato l’ultimo mezzo secolo (ormai andato pure quello, e ci fermiamo qui perché rischieremmo di aprire non soltanto un doloroso capitolo ma pure di andare fuori traccia e non è il caso), saranno state una serie di altre circostanze, la verità è che siamo diventati egoisti o egocentrici. Non esistono più i nostri diritti, esiste soltanto il diritto del singolo. E così, negli ultimi anni, le istituzioni che contano – partendo da quelle locali e proseguendo con quelle provinciali e regionali – ci hanno letteralmente preso a pesci in faccia, tanto alla fine metterci proni e subire passivamente è un qualcosa che ci riesce tremendamente facile, al punto tale da sembrare troppo banale anche a chi a turno ha sodomizzato noi e la nostra terra. Procida lo aveva già fatto e lo ha fatto nuovamente nella giornata di ieri ed in questi giorni caldi, caldissimi. La salute è un diritto di tutti, e tutti sono scesi in piazza. Quell’immagine di tantissimi cittadini che mano nella mano circondano il porto di Marina Grande è il segno di una unità di intenti, dell’orgoglio di una comunità, della volontà di non subire un’angheria, un sopruso. Ed è anche per questo che gli abbiamo dedicato la prima pagina dell’edizione domenicale de Il Golfo, perché crediamo sia uno scatto che simboleggia tanto. E dal quale, fossimo un po’ più intelligenti e meno aridi di quello che siamo diventati, potremmo prendere spunto per ripartire, anche se in fondo, come recitava l’antico adagio “chi nasce tondo non può morire quadro”.

Procida è un’isola, come Ischia. I procidani come ogni piccola comunità nella vita quotidiana sono parimenti litigiosi, come noi ischitani. Ma sono gente di un’altra pasta, capace di guardarsi negli occhi e – quando è necessario – mettere da parte astio, rancore e tutti gli annessi e connessi, per combattere in difesa di un diritto che non può essere negato. Mano nella mano, appunto. Un giorno, chissà, anche le giovani generazione ischitane sapranno ripartire da qui. Da quel senso di comunità che abbiamo terribilmente smarrito. E che ci sta facendo scivolare in un baratro apparentemente senza ritorno.

gaetanoferrandino@gmail.com

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