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“Schiaffo” da Cassazione

Una pronuncia della Suprema Corte, destinata a far discutere, sancisce che I gestori delle strutture ricettive sono obbligati a riversare l’imposta di soggiorno al Comune anche qualora il soggetto che ha alloggiato non abbia versato loro l’ammontare corrispondente. Luca D’Ambra laconico: «E’ l’ennesima volta che la categoria viene bistrattata, anche se…»

E’ una sentenza che potrebbe creare pochi grattacapi, dal momento che in questo caso è difficile che qualcuno riesca a sfuggire al pagamento di tale gabella, ma che certo non potrà far piacere a chi opera nel settore turistico (perché anche se magari dal punto di vista economico il danno potrebbe nella peggiore delle ipotesi essere residuale, resta il principio sancito che difficilmente andrà giù). E dunque parliamo di un qualcosa che interessa da vicino anche le tante, tantissime strutture ricettive che affollano la nostra isola, che adesso dovranno serrare le fila e far sì che i propri clienti mettano “mano alla tasca” per impedire che debbano essere loro stessi a farlo sostituendosi a turisti eventualmente morosi. Tradotto in soldoni, stiamo dicendo che i gestori delle strutture ricettive sono obbligati a riversare l’imposta di soggiorno al Comune anche qualora il soggetto che ha alloggiato non abbia versato loro l’ammontare corrispondente. Lo ha stabilito la Suprema Corte di Cassazione con la pronuncia n. 6187/2024 (che quindi diventa precedente ed è destinato a fare giurisprudenza a tutti gli effetti), rispondendo al ricorso di un albergatore, il quale riteneva di non poter essere considerato soggetto passivo del rapporto tributario. Di fatto la Suprema Corte ha stabilito che i gestori delle strutture ricettive sono responsabili d’imposta, con diritto di rivalsa dell’imposta di soggiorno nei confronti del turista, figura prevista e definita dall’art. 64 del D.P.R. n. 600/73, e non più incaricati di pubblico servizio, a seguito della riforma introdotta dall’art. 180 del D. L. n. 34/2020, convertito con modifiche nella legge 77/2020. Di conseguenza, i gestori degli hotel sono obbligati a versare il tributo anche qualora il soggetto che ha alloggiato non abbia versato loro l’ammontare corrispondente. Per tale motivo, in caso di omesso versamento del tributo, il Comune può rivolgersi anche solo al gestore, pretendendo il pagamento dell’imposta e della sanzione del 30 per cento, ex art. 13, D. Lgs. n. 471/97”.

In pratica, con questa pronuncia, la Cassazione stabilisce altresì che il responsabile della struttura ricettiva ha assunto la qualifica di responsabile d’imposta, quale soggetto che incassa e riversa l’imposta pagata dal turista, in quanto risulta essere in ogni caso incluso nel novero dei soggetti passivi dell’obbligazione tributaria (ovverosia il soggetto tenuto all’adempimento), destinatario di precisi obblighi dichiarativi e di versamento dell’imposta, riconducibile ad un rapporto trilatero gestore-cliente-ente locale, di natura esclusivamente tributaria, con conseguenti ricadute in termini di giurisdizione, come anche desumibile dal richiamo alla disciplina delle sanzioni tributarie non penali, applicabili in caso di omesso, ritardato o parziale versamento dell’imposta di soggiorno e del contributo di soggiorno. Di conseguenza, in caso di omesso versamento del tributo da parte del soggetto che ha alloggiato nell’albergo, il Comune può rivolgersi anche solo al gestore della strutturapretendendo il pagamento dell’imposta e della sanzione del 30%. La posizione della Cassazione è in linea a quanto affermato anche dal Dipartimento delle Finanze a Telefisco 2024. Posizione tuttavia criticata da Federalberghi in occasione dell’audizione del 16 gennaio 2024 in Commissione Finanze del Senato sulla proposta di risoluzione riguardante la necessità di una revisione generale dell’imposta di soggiorno.

Anche da parte dei Comuni è stata avanzata una proposta di riforma dell’imposta di soggiorno. Tra le questioni segnalate: estendere a tutti i Comuni del diritto di istituire il tributo, revisionare l’importo massimo dell’imposta, chiarire la qualificazione del gestore delle strutture ricettive, consentire una destinazione ampia del gettito, prevedere un meccanismo di comunicazione ai Comuni contestuale al riversamento, prevedere l’obbligo generalizzato a tutte le piattaforme di riscuotere direttamente l’imposta di soggiorno durante la fase di prenotazione, introdurre una graduazione della sanzione applicabile in ragione del tipo di condotta omissiva (Anci-Ifel, audizione 16/1/2024 in Senato). Ma le parti in causa come hanno accolto questa pronuncia della Cassazione? Luca D’Ambra, presidente di Federalberghi Ischia, si esprime così: «E’ l’ennesima volta che la nostra categoria non viene rappresentata dal pubblico e dallo Stato, ma mi viene da dire che ormai ci siamo abituati. Per quanto riguarda una realtà come la nostra, rimango dell’idea che la tassa di soggiorno debba essere tramutata in tassa di sbarco ma sono diverse le cose che non funzionano più e mi riferisco alla Tari ma soprattutto alla qualità dei trasporti, in particolare su quelli marittimi la situazione è divenuta a dir poco imbarazzante». D’Ambra poi puntualizza: «Il danno che viene arrecato dal punto di vista economica è poco, resta in ogni caso il principio che danneggia e va contro gli operatori del settore. Immagino che la pronuncia della Cassazione voglia rappresentare soprattutto un segnale a chi vuole fare il furbo ma c’è un vero e proprio “labirinto” anche dal punto di vista giuridico: a me, ad esempio, risultano addirittura sentenze che proprio recentemente hanno scagionato albergatori che addirittura volutamente non hanno inteso versare la tassa che pure era stata incassata dai clienti. Insomma, bisognerebbe mettere un po’ di ordine…». Stani Verde, sindaco di Forio e anche imprenditore alberghiero, ricorda che «dai tempi dell’amministrazione Franco Regine il Comune mette a disposizione degli alberghi un modulo da far firmare ai clienti che si rifiutino di pagare la tassa di soggiorno. Al netto della sentenza della Cassazione, è davvero bassa la percentuale di coloro che non pagano – e qui ovviamente mi rifaccio alla mia esperienza professionale – ma non è tutto: per capire meglio la ratio di una tale pronuncia, bisognerebbe capire cosa ha spinto l’albergatore a produrre ricorso e il Comune ad opporsi, solo così si potrebbe avere un quadro esaustivo della vicenda».

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