ARCHIVIO 2ARCHIVIO 3ARCHIVIO 5

SOCIOLOGIA IN SALSA ISCHITANA

Quando vengono meno i tradizionali punti di riferimento sociali: la famiglia, i partiti, i sindacati, perfino nel campo della pubblica amministrazione. la Chiesa Cattolica ( in quest’ultimo caso non di dissolvenza parlerei, ma di “ mutazione prosaica”) allora quelle che erano forme di aggregazione diventano niente altro che pluralità di individui; quelli che erano incubatori di istanze e bisogni, diventano nient’altro che confusa sommatoria di egoismi, tra loro inconciliabili. Chiarisco il giudizio, da me espresso sinteticamente, sull’attuale ruolo delle centrali cattoliche sull’isola: l’emblema di questa che ho definito “ mutazione prosaica” è il carisma di Don Carlo, del quale – a scanso di equivoci – ho stima. I detrattori lo dipingono come una specie di “capo politico” che manovra i suoi fedeli e seguaci anche sconfinando nel campo della pubblica amministrazione. Non lo si dice chiaramente, ma lo si lascia intendere. Don Carlo, portatore di voti, in grado di decidere gli equilibri comunali. Mi sembra una lettura alquanto semplificata e – tutto sommato – rozza. La questione è diversa: Don Carlo teorizza machiavellicamente che il fine giustifica i mezzi. Il fine, per Don Carlo, è l’espansione della fede e l’accrescimento della platea cattolica. Se per ottenere questo scopo, è utile aumentare le feste di parrocchia, sparare più botti, sparare musica ad alto volume, perfino tollerare bancarelle di tiro al bersaglio ( nonostante evochino il maledetto uso delle armi), organizzare salsicciate, lotterie, trasformarsi in “ mastro di festa”, ebbene tutto ciò è lecito e tutto serve allo scopo. Quindi la “ mutazione prosaica” è semplicemente un capovolgimento tattico dei termini: non la diffusione dei principii e della dottrina per acquisire fedeli, ma acquisizione di uomini, donne, giovani e bambini col richiamo festaiolo e ludico per poi “ indottrinarli”.

L’approccio può realizzarsi col soddisfacimento di un elementare bisogno ( è talmente lungo il taccuino di appuntamenti di Don Carlo che essere ricevuti da lui è già una grazia!) un piccolo favore, per esempio il pagamento di una bolletta della luce che la povertà non consente o “minimalia” del genere. L’unico problema serio di questa originale e personalissima strategia di proselitismo è che finisce con l’inquadrarsi, alla perfezione, nell’attuale clima nazionale di “ populismo”; assecondare cioè la pancia del paese, in particolare quella parte di paese più legata alla tradizione e al rito. E allora lunghe processioni, campane a distesa, botti singoli assordanti che non hanno senso e non vanno confusi con i fantasmagorici fuochi pirotecnici o piromusicali. Divieti di sosta, traffico bloccato, sensi unici creati alla bisogna e che invece andrebbero adottati nella disciplina quotidiana , schieramenti di polizia urbana senza eguali e, naturalmente, fasce tricolori di Sindaci o facenti funzioni. E la “ misericordia”? E il “ sacro”? E la “ parsimonia”? E la filosofia di papa Francesco, secondo cui non è il “ proselitismo” l’obiettivo primario della Chiesa? Non mi spingo oltre, avendo – da non credente – già detto troppo su un campo che non mi appartiene. La solidarietà e la fratellanza sì che mi appartengono. Qui siamo dinanzi a valori universali che dovrebbero intersecare tutte le anime belle, a prescindere dal credo, o non credo, religioso. E invece vai a leggere su facebook e hai sorprese. Anche Ischia, anche giovani sono stati contagiati dal “ morbo del pericolo straniero” Manca la sicurezza? Colpa degli immigrati. Mancano i posti di lavoro? Colpa loro. Si diffondono nuove o rinnovate vecchie malattie? Colpa degli immigrati. Prima gli italiani è il novello grido di battaglia, anzi prima gli ischitani, anzi prima quelli del mio Comune rispetto agli altri 5 Comuni dell’isola. La chiamano “ difesa dell’identità”! Sfido chiunque, oggi, ad andare a individuare un’identità isolana. Non è qui che Ilia Delizia scrisse quel magnifico libro su ”l’identità negata” di Ischia? Chi siamo? Da dove veniamo si sa, ed è di una nobiltà di origine da primato storico. Eppure, per molti, tale origine è posta nell’anticamera del dimenticatoio. Chi siamo e dove vogliamo andare resta la grande incognita. Non a caso, uno psichiatra vero, non dilettante e improvvisato, Eugenio Borgna, nell’ultimo suo libro “ La nostalgia ferita” difende qualsiasi forma di “ minorità” o debolezza.

A difesa di tutti i diversi, gli emarginati, i reietti ( diversamente abili, immigrati, omosessuali, disagiati mentali ecc.) Borgna evoca la “ speranza”. Speranza che gli uomini riacquistino la “ doppia responsabilità” verso se stessi e verso gli altri. Cita il filosofo Schelling, il quale sosteneva che l’uomo riesce a dare il meglio di se stesso solo nella misura in cui è capace di entrare in relazione con chi è fuori di lui e, più ancora, con chi è apparentemente figlio di un Dio minore A proposito della rivoluzione digitale e dell’influenza in particolare dei social, Borgna sostiene che le immagini prima, il linguaggio semplificato e diretto poi, hanno finito con l’uccidere la “ parola”, la conversazione, il confronto. Ci rimane solo lo “ scontro”, la malaparola, l’odio e il rancore, non sedimentato a causa dell’immediatezza e irriflessione di ogni messaggio. In questo senso, vorrei dire a Benedetto Valentino che proprio attraverso Facebook si è occupato ( anzi preoccupato) di questo tema, che non è vero che i social sono solo il “ registratore” del fenomeno, bensì l’amplificatore di esso. Non ne è la causa, ma non si limita a registrare, bensì ampliare, moltiplicare, diffondere quei sentimenti di solipsismo e rottura con gli altri. Infine una considerazione sul grave episodio ( anche reiterato) di aggressione a Giorgio Di Costanzo, evidentemente per la sua omosessualità, da parte di ragazzini. Ancora una volta, nell’esternare all’uomo di cultura tutta la solidarietà necessaria, non commettiamo l’errore di giudizi rapidi e impietosi sui ragazzi e sui rispettivi genitori. Troppo comodo ritenere sempre “ fuori di sé” quelle che sono responsabilità collettive. E’ ingeneroso questo dualismo “ genitori seri contro genitori cattivi”.

Quello che è accaduto è grave, ma oltre a responsabilità individuali, ci sono colpe collettive. Questo concetto mi si è chiarito, in tutta la sua evidenza, leggendo il libro di Carmelo Buono “ Il coraggio di scegliere”, con una splendida introduzione di Anna Di Meglio. Leggetelo ( se non lo avete già fatto) e capirete. Leggete questa odissea di sentimenti sparsa tra più paesi del mondo e in mezzo a individui di colore e caratteristiche diverse. Imparerete, come io ho imparato, a superare ogni barriera di pregiudizio. Capirete, come io ho capito, che cosa è l’omosessualità, quanto grandi siano i confini dell’amicizia, dell’amore fraterno, paterno, materno e di coppia. Cito, dal libro, solo una frase del protagonista narrante ( il libro è autobiografico): “ Noi siamo la somma di tutte le persone che conosciamo, che incontriamo. Il senso è che tu cambierai la tribù cui appartieni e la tribù cambierà te”. Quando Carmelo ha scritto queste parole, probabilmente non aveva letto” Le domande della vita” del filosofo spagnolo Fernando Savater, capitolo ottavo: “ Nessuno diventa umano da solo. Ci facciamo umani gli uni con gli altri. Riceviamo l’umanità che è in noi per contagio”. E’ lo stesso concetto, espresso con semplicità, da Carmelo. La tribù a cui fa riferimento Carmelo, siamo tutti noi. Il problema è che facciamo fatica oggi a “ incontrarci”, a vivere insieme. Ci separa ormai una tastiera dietro la quale sovente ci mascheriamo piuttosto per “ scontrarci”. La lettura di un libro, pregno di umanità, come quello di Carmelo Buono, può ricondurci alla solidarietà, all’amore e alla libertà di pensiero.

Ads

Articoli Correlati

0 0 voti
Article Rating
Sottoscrivi
Notificami
guest

0 Commenti
Inline Feedbacks
Visualizza tutti i commenti
Pulsante per tornare all'inizio
0
Mi piacerebbe avere i vostri pensieri, per favore commentatex