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I discorsi del C…

 

L’educazione che nella fanciullezza quelli della mia età ricevevano, non gli consentiva l’uso di parole che potessero far riferimento agli organi genitali della persona. Mia madre, un carabiniere d’ epoca, non esitava a “sganassarmi” se mi permettevo di usare la parola “cazzo” o far riferimento ad esso. A scuola i maestri mettevano in castigo lo sboccato e, in chiesa, bisognava confessare “il peccato” che, per la redenzione i gloria padre e le avemaria, aumentavano in relazione alla recidiva specifica dalla settimana precedente. Bacchettoni non siamo cresciuti; sciumuniti nemmeno né, nei rapporti, abbiamo patito limitazioni di sorta. Il successivo “metodo montessori”, per una diversa e più costruttiva educazione “a gauche”, ha prodotto risultati un tantino diversi.!  Potremmo dire che, al tempo della mia infanzia, la parola avanti detta (c….), era il contenuto di più espressioni idiomatiche della “lingua napoletana” che rappresentavano: un invito a futuro prossimo “non rompere il c.”; un intimazione al presente specifico “stai rumpenn u’…”; un avvertimento perentorio con sottile minaccia “me’ stai scassann’ u’ c….” .Oggi la parola “cazzo” con le relative espressioni di contenimento, è entrata a far parte della lingua corrente e non appare più nè una “parola sporca” o “impropria” o “contraria alla morale”. E’ definita espressione complessa di uno stato d’animo d’insieme. Nella omologazione complessiva, di cui son maestri gli italiani, le espressioni avanti dette, si usano con sempre maggiore frequenza: per strada, in televisione o sui giornali. Non ancora in chiesa anche se pur m’è capitato di ascoltarla da quale prete di mia zona, con relativa risposta piccata. Mai che si facesse (o si faccia) accenno, tanto nelle imprecazioni che nei modi di dire, all’attributo sessuale femminile. Nella sola lingua napoletana è rimasta qualche espressione contenente un invito di moto a luogo verso chi disturba del tipo “va a ffà ndà f…… e mammeta”, o, “…e soreta” a seconda della maggiore o minore perentorietà dell’invito. A sdoganare, pubblicamente, i diversi appellativi dialettali dell’organo femminile, ci pensò Benigni, grande cultore di Dante (padre della lingua italiana), dopo aver stretto le gonadi di Pippo Baudo innanzi a milioni di spettatori. Non riporto quì gli appellativi  per non ricevere qualche altro sganassone da mia mamma. Ciò per dire che, anche sotto il profilo linguistico, la donna resta fuori dalle caratterizzazioni sociali o dei modi del dire. E questo non è giusto, per quel principio di parità sempre sbandierato. La cosa che però mi fa incavolare, e non poco, è che l’argomento in trattazione è utilizzato anche nel sistema legislativo italiano. Si è incominciato col famoso prelievo forzoso dai conti correnti bancari, noto col termine “bail in” che si pronuncia “belin” che, però, in genovese significa “cazzo” e si continua, sempre in parlamento, con l’ormai famoso disegno di legge sulle unioni civili su stimolo della bella senatrice Cirinnà donna che sostiene l’argomento con chiara passionalità personale e con il risultato di riempire piazze, giornali e televisioni. Coinvolgendo uomini che lo tengono e non lo vorrebbero avere ma che, comunque, desiderano; donne che non ce l’hanno e lo vorrebbero avere e che in ogni modo lo utilizzano, sognando montoni ma che spesso si trovano dei montini. Insieme si azzuffano con chi lo tiene e che avendolo usato male, ha creato un casino infernale che sta mettendo a repentaglio addirittura il governo del paese. Alla fine: sempre di cazzo si tratta. Sembra un coup de theatre ma non lo è. La realtà è che, è il cazzo o argomenti di cazzo, a riempire la quotidianità del nostro paese. Sta di fatto però, che come insegna un vecchio detto: “non vuole pensieri”, perchè, diversamente sono guai. I problemi si ingigantiscono, con effetti distorsivi che, però, come il “belin” genovese, provocano dolore sempre agli stessi sederi. Quelli del popolo. Cos’ha fatto il popolo italiano  per prenderlo sempre in quel posto?. Si dice che ognuno di noi ha pensato troppo e solo ai (e quì torna la parola) ai cazzi suoi. Ritengo che sia vero e che è giunta l’ora di invertire la marcia e partendo da piccole esperienze di vita ricordo che, quando in famiglia c’erano guai seri, uscivano in strada le donne. Esse non si potevano nè toccare nè contraddire e con la loro intoccabilità fisica e del pensiero risolvevano il problema. Incalzando con  altro esempio guardiamo la Germania. Dopo la follia di Khol che, al culmine di un eccesso prostatico, volle riunificare i territori tedeschi divisi anche fisicamente dal 1963, provocò un disastro economico di dimensioni colossali, i tedeschi capirono di doversi affidare ad una donna per risollevarsi. Senza aver un “belin” l’ha messo in quel posto a tutti gli altri. E, questo è un dato di fatto. Con pochi pantaloni e giacche della stessa fattura, gira il mondo e ha trasformato un paese alla deriva economica (1979) in una potenza indescrivibile. Cari lettori è da Eva in poi che il centro dell’universo non il cazzo ma altra cosa e speriamo che non sia tardi quando la maggioranza l’avrà capito anche in Italia. Altrimenti continueremo a far discorsi del c….. (acuntovi@libero.it)

 

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