CRONACA

VIVERE LONTANO DA CASA: «VI RACCONTIAMO LA NOSTRA VITA DA SFOLLATI»

Le testimonianze di chi, a distanza di un anno dal 26 novembre 2022, vive ancora tra un albergo e l’altro: un destino che accomuna 112 persone. E alcuni cambieranno struttura proprio in occasione di questa triste giornata: sono 1.266 complessivamente gli sfollati

È un cantiere aperto, camion, pale meccaniche, operai, esperti e scienziati si muovono da monte a valle, spostano la terra dalle gole su per la montagna e di nuovo giù, ripercorrono il percorso a ritroso tra un sito di stoccaggio e l’altro prima di capire che fine dovrà fare quella terra. Milioni di euro si movimentano con la terra. Il fango resta così ammassato nei siti di stoccaggio provvisori, quelli in fitto, altri partono con una neve dedicata verso le discariche in terra ferma. Il riciclo resta un miraggio ovunque. Dei trecentomila stimati, solo centomila ne sono stati mossi dalle aree di intervento.C’è fango ovunque. Abita nelle case sventrate, che non rivedranno più i volti di chi un tempo le ha abitate, oggi simulacri.Le strade, i marciapiedi e persino i palazzi che costeggiano le vie principali custodiscono i segni di quel fango che in una notte è colato giù ed ha sepolto tutto. È trascorso un anno dalla frana di Casamicciola che ha causato 12 morti, eppure qui il tempo si è fermato. I segni ci sono ancora tutti nonostante gli apparenti sforzi. Forse un colpo così è stato davvero troppo persinoper la terra sinonimo delle catastrofi, dove le tracce profonde della frana si sovrappongono alle crepe mai sanate del sisma dell’agosto 2017.

Molte case restano disabitate e chiuse. Negozi, supermercati, una chiesa e qualche hotel che, forse, nemmeno riapriranno più. Si potrebbe stilare un elenco partendo dalla valle, dallo scarico della montagna a Piazza Bagni, dall’hotel Terme Manzi, passando per l’Elisabettaed il Nausica, o il Fiola sono tutti chiusi.Prima ancora ne avevano chiuso altri per effetto del terremoto. Qui soprattutto ha chiuso lo storico Chiappino. In questo pezzo di via Ombrasco, davvero il fango e le acque termali si ricavavano dalle gole di Negroponte ed il Vallone Sinigallia quando le terme di Casamicciola l’avevano resa grande nel mondo. Oggi sono canali di morte e pericolosa distruzione dove quelle ricchezze si sono trasformate in rifiuti da smaltire.

«Con mio marito Filippo da anni combattevamo per far comprendere il pericolo i rischi di non coltivare più le sorgenti di acque termali ed il fango. Per chiedere di non abbandonare i valloni. Allarmi tutti inascoltati, oggi piangiamo nuovi morti e nuove tragedie ed adesso abbiamo chiuso per sempre. Non lo riaprirò più», dice Maria Antonietta D’Orta riferendosi agli anni di lotta con la sua famiglia per tenere in vita il suo albergo, un dignitoso due stelle dove campeggia ancora l’insegna a neon e le pareti dove al fango del 2009 si aggiunge quello del 2022. La guarda, guarda i suoi figli che silenziosi l’ascoltano raccontare e si gira per non far vedere le sue lacrime. Lo stabilimento balneo termale, la sua famiglia, l’aveva chiuso più di 40 anni fa. Le Terme Piro che sorgevano ai piedi degli alvei di raccoltadel monte Epomeo recuperavano il fango che impastato con l’acqua termale diventava una amalgama, benefica, creata apposta per curarsi.Veniva lavorato direttamente dalle fangaie scavate tra i letti e le pareti delle forre per scopi terapeutici. Era un sistema antico ed ingegnoso, per decenni ha funzionato alla perfezione.E’ stato risorsa e protezione. Casamicciola resta pur sempre la patria del primo ospedale termale. «Per decenni da quando mi ricordo si facevano le Terme a Casamicciola e questi Alvei erano un paradiso. Poi sopra e sotto, mi ricordo che briglie e vasche fatte nei tempi antichi e anche dopo garantivano la nostra sicurezza, la montagna veniva curata.Poi nessuno si è occupato più di nulla. Le terme non si potevano fare più, la montagna non si lavorava più. Quello che è successo è stata una catastrofe non si poteva evitare. Però adesso vedo solo sprechi di denaro senza aiutare la povera gente, ne lavorare per riportare la gente a casa. Per aiutare quella povera gente che ha perso tutto anche i figli.Sono arrabbiato, non vedo buon senso e voglia di risolver le cose solo sprechi di soldi e altri distrarsi» dice come sempre Franco Mattera della Protezione Civile ormai un punto di riferimento anche al rinovassi di ogni canonica celebrazioni che impone l’alimentazione del circo mediatico-istituzionale.

L’isola ecosostenibile ha ceduto il posto al consumismo è all’abbandono. Per capirlo basta entrare al centro di questi alvei, un sistema articolati di canali dove l’Alveo La Rita, la Cava Fontana e il Negroponte rappresentano certamente i più pericolosi scavati nelle viscere del monte Epomeo.Ma sono anche i custodi di una saggezza antica: Le terme. Emblematico è il caso di La Rita con i suoi stabilimenti, costruite ai primi del ‘900 e abbandonate da anni, intoccabili, repeti storici che resteranno ancora lì chissà per quanto tempo ancora. Il Puzzillo e la sua discarica sul versante di barano meritano invece una trattazione a parte. Prima era un sistema organico che quasi funzionava a livelli svizzeri con la collaborazione del Demanio, il Genio Civile passando per Comune e Regione sino ai privati che in gran parte detengono la proprietà di una montagna, forse unico caso in Italia, i cui appezzamenti ed i boss chi sono quasi tutti privati.Ognuno per la sua competenza si dedicava alla cura del territorio. Poi non l’ha fatto più nessuno. Poi c’è stato il disastro del 2009,erano trascorsi 40-50 anni di abbandono. Ma non è bastato, il fango colato giù 14 anni fa non ha ripulito tutto e gli interventi fatti dopo quella tragedia non sono serviti a niente. Un anno fa il mortale impasto di terra e piante, ha di nuovo ostruito tutto. Acqua, fango detriti, quella maldetta notte di 12 mesi fa hanno inondato le strade. Sventrando case e tutto quello che la furia trovava.  

Poi certamente ci sono i centri abitati, il peso antropico, gli abusi edilizi ed i condoni, ma in questo disastro non spiegano niente. Basta guardare la landa desolata del Celario dove il massimo impatto della valanga ha ucciso due persone staccandosi da una crosta di terra incastrata nel fitto bosco.Polverizzati è spazzati via insieme alla loro minuscola casa di cui non resta più nulla oltre le fondamenta e un candito fazzoletto di pavimento dove con uno sforzo sono visibili i segni della vita che fu. 

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Scava via la terra dal tetto di casa, provando ad essere propositivo Amedeo Dotani li nella valle distrutta del Celario: «Preferisco non ricordare quella notte… vengo a casa e provo a ripulire qualcosa, dopo quello che è successo credo che qui in montagna sia il posto più sicuro, ma quando piove è meglio andare altrove». 

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Ha la morte nel cuore Giovanni Monti che la casa non l’ha persa, ma un anno fa in questa landa ha perso i suoi parenti: «Non sarà mai più lo stesso abbiamo, la morte nel cuore. Erano la mia famiglia. Come erano felici della vita che si stavano creando. Oggi continuo a venire qua sulla montagna, salgo oltre la zona rossaa lavorare i boschi come fa da sempre la nostra famiglia ma è solo per non farsi uccidere dalla disperazione». 

Nicola Di Iorio da un anno con la sua numerosa famiglia, moglie, 2 figli di 20 e 13 anni, il cane, sua madre e suo padre affronta il disagio della vita in albergo. Sua madre è finita più volte in ospedale, l’ultima con un trauma cranico nel tentavo di valutare l’ultimo trasloco d’hotel: «Siamo in circa 30 in hotel, la struttura non riesce ad affrontarei costi e chiuderà per l’inverno. Cambiano di nuovo, ma di tornare a casa non se ne parla, la mia famiglia ha paura ed ha ragione. Tutta la vita oggi si vive in una stanza d’hotel, mai potevo immaginare quel che accaduto che una montagna cadesse. Eppure, altrove non saprei vivere. Io non saprei dove altro andare. Sono fortunato, un giorno troveremo una soluzione, ma chi è morto, le loro famiglie, non si può non pesare a loro».  «Dopo quell’alluvione ho paura di tornare avevo superato terremoto, ma questo no! Non voglio tornare più, vorrei spostarmi altrove– fa da contraltare sua moglie Caterina- oggi viviamo qui in questa stanza d’hotel e qui facciamo tutto. Mio figlio studia, il cane resta e ci fa compagnia. Ho avuto troppa paura. Resto quo».

Assunta Di Costanzo, terremotata, alluvionata e ora anche in lotta per evitare che le abbattano quella casa costruita con fatica dopo un patteggiamento sul Condono è delusa ed arrabbiata: «Nessuna fiducia nelle istituzioni.Dopo sei anni, è impensabile non avere prospettive ed essere vivo per miracolo dopo una frana che ha colpito la casa dove era andata a vivere dopo il sisma e sapere di essere finita persino sotto accusa dalla o stato per un Condono». 

«Stiamo male!Siamo ultrasettantenni non sappiamo dove andare andare. E non voglio morire in una stanza d’albergo. Abbiamo provato a trovare casa, ma si trovano solo fino a maggio perché poi i proprietari guadagnano di più con i fitti estivi. Non è facile pensare al futuro. Miacognata Nina è morta mentre dormiva nella casa accanto alla nostra al Celario. Eravamo riparati li dopo il terremoto che ci aveva fatto paura. Siamo distrutti, mio fratello è disperato dopo aver perso la moglie che era il suo faro, la guida.E siamo distrutti anche noi.Le mie radici stanno da tre generazioni in quella piazza al Majo. Fateci tornare in sicurezza o dateci una casa in sicurezza non costringeteci a tornare nelle case polpetta», spiega amaramente Filomena Senese, sfollata due volte in hotel,era la cognata di Nina.La Bulgara, italiana per un giorno.

È rassegnato il Capitano Giovanni Di Iorio, papà di Nicola:«A 79 anni non vedrò la ricostruzione, io come Mosè non arriverò nella terra promessa non vedrò Casamicciola ricostruita. Io vedo i fatti.In un anno vedo camminare solo camion, per carità staranno lavorando rimuovo terra e non hanno ancora finito!Quindi immagino che io non rivedrò la mia casa». Non è neppure più una consolazione il fatto che questa catastrofe non ha mai fermato i turisti che anche adesso scorrazzano i taxi per le zone rosse. Nel frattempo proprio oggi 26 novembre 2023, quando la stagione estiva è finita il dramma di chi da sfollato deve cambiare di nuovo hotel si ripete. Presto anche il commissario Giovanni Legnini dovrà trovare loro una soluzione, perché non potranno più stare in hotel, l’assistenza alberghiera dovrà cessare per far spazio ai CAS.

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