CULTURA & SOCIETA'

Una categoria mortificata dalla cattiveria umana: un caso inquietante ancora di attualità: lavandaie “schiave” nei conventi d’Irlanda

In questi giorni a Ginevra il Comitato contro le torture dell'Onu ha chiesto al Governo irlandese di aprire un'inchiesta sulla vicenda

Un caso inquietante, ancora di attualità, tormenta il mondo delle storiche lavandaie e getta un velo pietoso su un duro lavoro, che le donne in situazioni di normalità, praticavano anche con soddisfazione, specie se quel lavoro a cui volontariamente si sottoponevano, veniva adeguatamente pagato. Una vicenda di cronaca particolare, che non ha nulla a che vedere con le nostre eroiche lavandaie ischitane, arrivata fino a noi, attraverso Internet, ci fa capire in senso drammatico, l’uso improprio di donne costrette al ruolo di lavandaie nel peggiore dei modi. La denuncia per altro, è di Alessandra Baduel. Questi, nudi e crudi i fatti su cui bisogna riflettere ed intervenire per “lavare” l’onta subita da donne in un lavoro trasformato in tortura fisica bella e buona. Le donne “perdute” in custodia di quattro ordini religiosi, dal 1922 al 1996, chiuse a lavare panni gratis agli ordini delle suore cattoliche, a subire violenze psicologiche, fisiche, spesso sessuali.

LAVANDAIE CIVILI USATE E TORTURATE IN CONVENTI DALLE SUORE ADDESTRATE IN CONVENTI IRLANDESI

Il Comitato contro le torture delle Nazioni Unite chiede ora un’inchiesta, cosa che dovrebbe obbligare la Chiesa a rendere conto dell’accaduto. Per le donne perdute d’Irlanda non c’è giustizia, né identità. Niente scuse, né indennizzi. Non ancora, dopo 18 anni. In 30mila, secondo le stime, sono passate per le lavanderie gestite da quattro ordini religiosi, fra il 1922 e il 1996. Scelte perché, appunto, Maddalene “perdute” alla causa di una famiglia cattolica osservante: categoria che tutto includeva, dalla madre nubile alla piccola ladra, passando per il carattere ribelle e quella troppo bella e corteggiata, arrivando fino a chi aveva l’unica “colpa” di essere stata violentata, come è accaduto a Mary-Jo McDonagh, una delle poche che poi hanno avuto la forza di testimoniare sui successivi abusi nella lavanderia che doveva “salvarla”. Espulse spesso adolescenti da famiglie e comunità che non le volevano, quelle ragazze finivano chiuse a lavare panni gratis agli ordini delle suore cattoliche, a subire – anche – regolari violenze psicologiche, fisiche, spesso sessuali. Ma non è bastata la prima scoperta di alcuni casi nel 1993, non è bastato il film di denuncia The Magdalene Sisters di Peter Mullan nel 2002, condannato senza incertezze dal Vaticano, né sono bastati libri, opere teatrali, canzoni di autori come Joni Mitchell (in Turbolent Indigo, album del ’94, poi di nuovo in Tears of stone nel ’99) e ancora poesie, poemi, racconti susseguitisi dagli anni 90 a oggi. Non è servito il documentario The Forgotten Maggies di Steven O’Riordan, che nel 2009 ha raccolto molte delle loro storie vere. Non è servito neppure l’esempio dello scandalo della pedofilia degli ultimi anni, davanti al quale la Chiesa è invece arrivata a scusarsi. Sulle Maddalene, gli ordini religiosi e lo Stato irlandese non ci sentono. In questi giorni a Ginevra il Comitato contro le torture dell’Onu ha chiesto all’Irlanda di aprire un’inchiesta sulla vicenda, gesto che peraltro dovrebbe obbligare anche la Chiesa e in particolare gli ordini religiosi coinvolti a rendere conto dell’accaduto.

michelelubrano@yahoo.it

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