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Lettere allo psicanalista

 

Gentile Professore,

il nostro mondo si sta infiammando ogni giorno di più. È stato per primo il Papa a parlare autorevolmente di una “Terza Guerra Mondiale” che si sviluppa sotto forma di molteplici conflitti regionali. Noi ne siamo sempre più assediati e l’intervento militare occidentale che si profila in Libia non farà che accrescere – speriamo momentaneamente e risolutivamente – il caos nel Mediterraneo. Ci attendono centinaia di migliaia di nuovi profughi con gli stati dell’Est e del Nord Europa rinchiusi sempre più a riccio nei loro terrori e pronti a sollevare barriere materiali e politiche.

Questo, in breve, è il quadro generale, mi sembra. Ma poi esistono le grandi questioni rispetto alle quali il mio disorientamento di cittadino diventa  massimo: come combattere il terrorismo islamico senza cadere nell’islamofobia, o nella xenofobia più becera e infame? È giusto parlare – come si fa spesso – di “scontro di civiltà” in atto? Quante colpe abbiamo noi occidentali e quante ne hanno i paesi orientali, mediorientali e nord-africani in questa tragedia senza fine?

Le chiedo, ovviamente, di rispondere a ciò soprattutto da un punto di vista psicologico, nel senso della riflessione su una questione che ci tormenta tutti interiormente, che impegna e mette in dubbio i capisaldi della nostra civiltà, oltre che dilagare nella realtà politica e sociale.

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L’URLO DI DAESH TERRORIZZA L’OCCIDENTE

 

 

Sebbene la sua lettera sia così densa e appassionata, cara lettrice, non mi lascerò tentare dall’evadere tutti i quesiti che, lucidamente e legittimamente, pone. Sarebbero troppo superficiali e volatili le mie possibili risposte. Mi concentrerò, piuttosto, sul problema della lotta al terrorismo islamico, dell’islamofobia e della xenofobia. Avevo già in qualche modo trattato o sfiorato questi temi in un precedente articolo per Il Golfo (“IL TERRORE MENTE”, 19 novembre 2015), ma vi tornerò adesso da una nuova prospettiva.

Trovo assai interessante, in merito alla questione, la posizione di uno degli intellettuali più lucidi e stimolanti della contemporaneità, Slavoj Žižek.  Il filosofo e psicanalista sloveno è più volte tornato sul tema del rapporto tra Occidente e quello che egli reputa “a torto” venga definito “fondamentalismo islamico” (cfr., ad esempio, i suoi due libri pubblicati, nel 2015, dall’editore Ponte alle Grazie di Milano: L’Islam e la modernità. Riflessioni blasfeme” ; e “Problemi in Paradiso. Il comunismo dopo la fine della storia”). In questo errore lessicale, secondo Žižek, si annida anche un pensiero erroneo e foriero di conseguenze esiziali. Il fondamentalismo religioso, sostiene, presuppone sempre un “sentimento di superiorità” in chi lo pratica, nei confronti di coloro che – nell’ottica del fondamentalista – non riescono a coglierne l’ineguagliabile verità. Al contrario, le milizie del terrore islamico appaiono chiaramente accecate da una devastante “invidia distruttiva” (vedi gli straordinari studi psicoanalitici di Melanie Klein), guardandosi esse con gli occhi occidentali e ricavandone, di conseguenza, un disperante “sentimento di inadeguatezza e inferiorità”. A tale sentire la violenza resta l’unica risposta possibile.

Slavoj sintetizza ottimamente il proprio pensiero anche in un recente articolo, comparso sullo storico settimanale britannico New Statesman (trad. in Italiano I Fondamentalisti e gli Ultimi Uomini, http://www.leparoleelecose.it/). Qui rivendica innanzitutto il valore di una riflessione sul problema che si ponga antiteticamente alle due tendenze opposte e complementari, prevalenti nel dibattito occidentale: da una parte, il cieco procedere obbedendo a un impulso reattivo-distruttivo in risposta agli attacchi del terrorismo di matrice islamica; dall’altra, la tendenza alla remissività, tipica di un certo pavido liberalismo di sinistra timoroso di cadere nell’islamofobia. Ed è soprattutto a questo secondo filone che il pensatore rivolge il suo j’accuse, da una posizione, però, di sinistra.

Il filosofo di Lubiana conferma la spietata previsione che già Nietzsche aveva formulato riguardo all’uomo occidentale moderno nell’Ottocento: « Molto tempo fa, Friedrich Nietzsche comprese che la cultura occidentale stava andando verso l’Ultimo Uomo, una creatura apatica senza grandi passioni o impegni. Incapace di sognare e stanco della vita, l’Ultimo Uomo non prende rischi; cerca solo comfort e sicurezza, tolleranza verso gli altri: “Un piccolo veleno di tanto in tanto: è quello che ci vuole per fare sogni piacevoli. E più veleno alla fine, per una morte piacevole. Hanno i loro piccoli piaceri diurni e i loro piccoli piaceri notturni, ma hanno riguardo per la propria salute. ‘Abbiamo scoperto la felicità’ – dicono gli Ultimi Uomini, e strizzano l’occhio”.».  Questo cedere è figlio di un sostanziale terrore della vita (il rifiuto de “il Dionisiaco” di Nietzsche) e una rinuncia al conflitto. Ed il fondamentale conflitto dell’essere umano – a livello inconscio – avviene con quella modalità di funzionamento psichica che Sigmund Freud definì Super-Io. Il Super-Io esige insaziabilmente dall’Io (e da tutto il “Sé”, diremmo oggi) un ritiro e una resa che, tendenzialmente, conducono individui e collettività ad abdicare ai propri diritti esistenziali, al rifiuto del piacere più autentico e profondo, e alla mortificazione dell’Anima. La conseguenza del predominio del Super-Io – che lavora sulle astrazioni morali e non sulla realtà effettiva degli esseri – è lo scadere nella crudeltà, nella sopraffazione, nella ferocia, nella barbarie. Quando cerchiamo scuse per non batterci contro il Super-Ioe chiunque lo vada incarnando in quel momento, poiché ce ne spaventa la forza, di fatto noi gli andiamo cedendo ancor più terreno. E maggiore è lo spazio che gli concediamo e più si accrescono le pretese superegotiche. Senza andare a vicende troppo remote, rammentiamo le devastazioni che inflisse Hitler all’Europa, mentre chi doveva contrastarlo nicchiava e dilazionava, cercando inutili compromessi, che resero il nazismo soltanto più vorace e convinto della sua fatale inarrestabilità.

Tornando all’analisi di Žižek, la risposta che egli indica non consiste nel predicare una semplice guerra senza quartiere, un “muro contro muro” simmetrico e nella sostanza eticamente e politicamente uguale. Questo non è solo brutale e degradante ma anche assolutamente sbagliato e autolesionistico. La sua risposta consiste nel cercare di scoprire perché sono falliti gli esperimenti “laici” nei paesi islamici (Per loro intrinseca debolezza? Perché artatamente affossati dalle maggiori potenze? Per ambedue i motivi? ecc.), dando libero corso a una deriva assolutistica, autoritaria e “psicotica”.

Questo, con un linguaggio junghiano, è proprio il procedere in direzione dell’Ombra, ovvero degli aspetti non sviluppati della psiche (e, mutatis mutandis, di un qualunque sistema, anche molto ampio  – politico, economico, culturale, spirituale). I motivi in Ombra sono quelli rimasti inauditi e invisibili, ma presenti e attivi nella loro forma “inferiore”. Da questa posizione di trascuratezza, lontani dalla Coscienza e, dunque, dalla capacità critica e autoriflessiva, essi muovono gli animi, li rendono ottusi e mortalmente ripetitivi nei propri errori. Le energie che corrono in direzione di questo funzionamento sono distolte da conquiste più alte e creative. La visione dominata dall’Ombra diventa letterale e concreta, i propri fantasmi interiori si trasformano in nemici esteriori da abbattere senza pietà. Ma ogni delitto produce fantasmi più persecutori, come ci insegna Shakespeare nel Macbeth:

«Le paure causate da eventi reali sono meno terrificanti di quelle causate dalla nostra immaginazione ed attinenti a fatti immaginari. I miei pensieri su un assassinio solo fantasticato scuotono la mia condizione umana; funzione e immaginazione si mescolano, e nulla esiste piu’, se non ciò che non esiste».

Dunque è sulla nostra Ombra, nel nostro stato disconosciuto e negletto, prima di tutto che dobbiamo indagare, mentre combattiamo per preservare l’umanità in noi e negli altri.

 

 Francesco Frigione è psicologo e psicodrammatista analitico, psicoterapeuta individuale e di gruppo, docente di psicodramma in una scuola di specializzazione per psicoterapeuti, formatore di educatori e studenti, autore di progetti psico-socio-culturali in Italia e all’estero. Nato a Napoli, vive e lavora a Roma e a Ischia. Ha fondato e dirige il webzine e il quadrimestrale internazionali “Animamediatica”.

Contatti

E-mail: francescofrigione62@gmail.it

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