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Lettere allo psicanalista – L’individuo e il collettivo

Gentile Professore,

sono una donna di cinquant’anni, dinamica, informata. Coltivo i miei interessi culturali e curo la sfera dei miei affetti da sempre, direi quasi, senza cedimenti. Eppure, se dovessi stilare un bilancio della mia vita, oggi mi verrebbe da dire che, forse, è fallimentare: malgrado tutti gli sforzi compiuti per emanciparmi personalmente, la società a cui devo rapportarmi per necessità resta profondamente arretrata, “paesana” nel senso più deteriore della parola.

La donna italiana, lo sappiamo, deve ancora sobbarcarsi molte più incombenze e rispondere a molti più doveri dell’uomo, e maggiormente quella meridionale; ma qui, sull’isola, mi tocca combattere con pregiudizi atavici duri a morire, e non solo negli uomini: qui ognuno conosce i fatti dell’altro, e tutti spettegolano, giudicano, condannano i comportamenti più liberi e autonomi. Ciò malgrado a questo tipo di combattimento quotidiano per il riconoscimento di diritti e prerogative sono ben preparata, e non è questa la difficoltà che può davvero abbattermi.

Vi è un altro dato incontrovertibile, però: potenti odi fratturano le famiglie e inquinano le amicizie, poiché le divergenze, le incomprensioni, non vengono discusse e affrontate sul piano del dialogo, ma agite con accanimento e spesso arrogante ignoranza. Manca il senso del riconoscimento dell’altro come interlocutore dotato di dignità; il modello che si ripropone è semplice e senza sfumature: o si sta tutti immersi nel calderone di una armonia fittizia, che cela nel suo seno preclusioni e ingiustizie, oppure si è respinti ai margini, esclusi, allontanati, così come è successo a me rispetto alla mia famiglia.

          Ciò che mi addolora e mi rattrista di più è non scorgere nessuna vera idea di sviluppo in questa società: vi regna una rassegnazione generale che deriva da esperienze che ci portiamo dietro da secoli, di povertà non solo materiale – dalla quale in buona parte ci siamo riscattati – ma culturale, etica e spirituale.

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L’INDIVIDUO E IL COLLETTIVO

 

 

Gentile lettrice,

in ogni tempo, in ogni luogo, l’affermazione del progresso psicologico, etico, culturale, spirituale, ha rappresentato una sfida potentissima, capace di lacerare e persino di distruggere gli individui che vi fossero maggiormente votati. Nulla è mai stato semplice per chiunque in questo senso, ma certo, per alcuni il tentativo di giungere a una nuova dimensione dell’esistenza, inoculando il germe del cambiamento nella società, è risultato ancora più penoso e difficile.

Molti hanno pagato con la vita la propria coerenza, o con varie forme di esilio e di isolamento. Pensare che la spinta ad evolverci ci porti necessariamente a un successo attuale sarebbe, dunque, illusorio, altrettanto come scartare questa possibilità, ritenendola impraticabile: abbiamo, infatti, innumerevoli esempi illustri a favore o a sfavore in questo senso; per un Giordano Bruno mandato al rogo vi è un Gandhi, ucciso solo dopo che la sua missione di liberazione pacifica era riuscita, almeno in buona parte. Spesso si semina per le generazioni a venire, che raccolgono i frutti delle sfide affrontate da chi le ha precedute.

In questo senso, il confronto psicologico con il mainstream collettivo, l’affermazione della verità soggettiva che libera gli altri, implica un processo spirituale di accettazione del fallimento personale, di superamento della nostra stessa individualità.

Per far ciò dobbiamo considerare che noi non ci confrontiamo soltanto con la famiglia, la comunità di appartenenza, le strutture della società, in quanto fattori esterni, bensì con forze che ci attraggono e ci seducono dall’interno, ovvero dagli strati più profondi della nostra stessa psiche.

Si tratta dell’eterna dialettica tra dimensione individuale e collettiva, quest’ultima presente nei miti e nelle fiabe in forma di drago, l’immagine per eccellenza dell’uroboro (sia “femminile” che “maschile”). Esso ci concepisce, ci partorisce, ci contiene, ci nutre, ci consente un certo grado di sviluppo, ma, contemporaneamente, ha il potere distruttivo di allontanarci da sé, di esporci senza protezioni e difese a una realtà ostile, o addirittura di sopprimerci e reingurcitarci, qualora la nostra personalità assuma tratti di autonomia e libertà soggettiva che sfuggono al suo controllo.

Pertanto, non solo gli altri ci ostacolano attivamente, per inerzia e inconsapevolezza, ma noi stessi, senza avvedercene, resistiamo alle nostre istanze di sviluppo e maturazione, che ampliano la coscienza e ci mettono davanti al dolore del mondo e alle difficili alternative che vanno percorse per sanarlo.

Lei, cara lettrice, è una donna coraggiosa e risoluta: sono certo che la sua costanza e la sua dedizione non sono vane e possono aiutare molte altre persone oltre che se stessa, sia nel presente che nel futuro.

 

 Francesco Frigione è psicologo e psicodrammatista analitico, psicoterapeuta individuale e di gruppo, docente di psicodramma in una scuola di specializzazione per psicoterapeuti, formatore di educatori e studenti, autore di progetti psico-socio-culturali in Italia e all’estero. Nato a Napoli, vive e lavora a Roma e a Ischia. Ha fondato e dirige il webzine e il quadrimestrale internazionali “Animamediatica”.

Contatti

E-mail: francescofrigione62@gmail.it

 

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