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Abusi su una minore, resta in carcere l’indagato

Il Tribunale del Riesame ha deciso sul ricorso del cittadino procidano accusato dalla figliastra, che dunque per il momento vede confermata la misura cautelare. Le motivazioni attese entro la prossima settimana

Resta in carcere il cittadino procidano arrestato con l’accusa di abusi sessuali nei confronti della figliastra minorenne. Lo ha deciso il Tribunale di Napoli in funzione di Riesame, innanzi al quale una settimana fa venne  discusso il ricorso presentato dalla difesa. Le motivazioni della decisione verranno rese note durante la prossima settimana.

Con tutta probabilità l’impianto accusatorio delineato sulla base delle accuse della ragazza e sui successivi accertamenti degli inquirenti sembra aver retto, almeno per il momento. La difesa del resto non si nascondeva la difficoltà costituita dal tentativo di contrastare un’accusa così pesante, nonostante tutto il lavoro che l’avvocato Antonio Intartaglia, legale di fiducia dell’indagato, ha compiuto per dimostrare l’innocenza del suo assistito, inoltrando l’istanza al Riesame dopo che il Gip aveva confermato la misura cautelare della custodia in carcere per l’indagato.

L’arresto fu eseguito un mese e mezzo dai Carabinieri fa sulla base delle indagini originate dalla denuncia sporta lo scorso novembre

La linea difensiva puntò soprattutto a dimostrare l’insussistenza degli indizi,  evidenziando  le contraddizioni  nelle accuse lanciate dalla giovane, in particolare tra quelle che sono contenute nella denuncia, avvenuta a poche ore dall’ultimo presunto abuso, e ciò che invece emerse diversi giorni dopo tramite le risposte che la minorenne  fornì, sollecitata dalle domande poste dalla pubblica accusa. L’avvocato ricordò anche la debolezza argomentativa nel riferire determinati episodi. Ad esempio come quando ella riferì di abusi che sarebbero avvenuti  mentre i suoi familiari,  sua madre e suo fratello, dormivano nello stesso appartamento teatro delle presunte molestie: secondo il legale, sarebbe stato  impossibile il verificarsi di una simile circostanza, vista la configurazione dell’abitazione, all’interno della quale vi è un basso solaio e dove fu ricavato un soppalco per ottenere un minimo di divisione tra ambienti. Soppalco a cui si accede tramite i gradini di una breve scala. Uno spazio abitativo dunque assai ristretto, nel quale sarebbe inverosimile lanciare delle urla senza che nessuna delle altre persone presenti nella casa le avverta. Dunque, secondo la linea difensiva, la ricostruzione accusatoria rimaneva altamente improbabile. Eppure, gli auspici della difesa circa un alleviamento della misura si sono infranti nella conferma decisa dal tribunale, nel cui verdetto pesa indubbiamente la natura dell’accusa, aggravata dalla minore età della denunciante.

Come si ricorderà, è stato poi rinviato ad aprile l’incidente probatorio: in quell’occasione la ragazza verrà nuovamente ascoltata, ma stavolta alla presenza dell’avvocato dell’indagato. Quest’ultimo dunque al momento resta in carcere, a un mese e mezzo di distanza da un arresto, che a Procida, e non solo, fece comprensibile rumore. La denuncia della giovane, raccolta dai Carabinieri della Stazione di Procida, risale  invece allo scorso novembre, e fece scattare una serie di accertamenti e verifiche da parte delle forze dell’ordine, concretatesi infine nell’ordinanza di custodia cautelare in carcere. La strategia difensiva sin dai primi momenti dopo l’arresto si è basata sul difficile percorso di vita della giovane, nata in Bulgaria e cresciuta dalla nonna, prima di giungere in Italia con la madre, e fare poi ritorno nel Paese d’origine per un paio d’anni, dove avrebbe subìto una violenza, rimanendo incinta: una gravidanza che si sarebbe conclusa con un aborto.

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Il matrimonio della madre con l’indagato non avrebbe migliorato le cose, visto il rapporto conflittuale instauratosi: secondo l’accusato, la ragazza non sopportava le imposizioni del patrigno, che le prescriveva di frequentare la scuola dell’obbligo e di evitare dannose abitudini per la salute, a partire dal fumo. La denuncia ai Carabinieri, secondo la ricostruzione difensiva, sarebbe quindi una sorta di “vendetta” nei confronti del patrigno e delle sue prescrizioni, ritenute troppo severe.  La difesa aveva comunque già sperato alcune settimane fa in un ridimensionamento delle esigenze cautelari, ma il Gip decise diversamente, nonostante l’indagato durante l’interrogatorio di garanzia non volle avvalersi della facoltà di non rispondere: anzi, in quell’occasione egli respinse con decisione tutte le accuse rivoltegli dalla ragazza. Il difensore di fiducia allo stesso tempo dimostrò che in un procedimento parallelo c’è in gioco la possibile revoca della patria potestà alla madre della ragazza e al suo padre naturale. Una situazione familiare delicatissima, nella quale nei mesi scorsi gli stessi servizi sociali avevano ritenuto che l’indagato fosse la persona più adatta per prendersi cura della ragazza.

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