LE OPINIONI

«Caffè Scorretto» «Il trionfo del caos. Eccheccaos»

A causa del coronavirus, COVID-19, abbiamo visto com’è facile entrare in piena emergenza e quanto il Servizio Sanitario Nazionale, quarto nella classifica mondiale, abbia invece necessità di una regolata e di una nuova messa a punto.

Al netto di ciò che è accaduto a Ischia sul porto, tra le sfuriate contro i turisti lombardo-veneti, i motivi sono la diffusione di un clima di panico e una pesante mancanza di fiducia nelle istituzioni non certo al razzismo come più volte affermato in trasmissioni televisive o sui giornali, bisogna rilevare l’assenza di una comunicazione strategica in grado di aiutare l’isola d’Ischia nei momenti più delicati. Uno di questi momenti è stato rappresentato – e generato – dall’ordinanza temporale deliberata dai cinque sindaci, che avrebbe voluto vietare l’ingresso a persone provenienti da specifiche zone focolaio del virus. Il clima imprevisto ci ha mostrato che la nostra è un’emergenza perenne. Inoltre ci ha rivelato una cosa su tutte: siamo una collettività sfilacciata, una massa sfibrata da anni di menefreghismo, un popolo pronto però a esaltarsi se il panorama ischitano è lo sfondo de «L’Amica geniale».

Lasciamo stare per un attimo la questione del Coronavirus e concentriamoci su altro. Per esempio sui pochissimi posti disponibili nel reparto di terapia intensiva dell’Ospedale Rizzoli che, a onore del vero rispecchia la percentuale e i numeri pubblicati sul sito dell’Organizzazione Mondiale della Sanità. Ogni 100 mila abitanti, in Italia, sono disponibili solo 273 posti in terapia intensiva (Figura 1) che in se fornisce l’immagine di una sanità italiana bisognosa di cure. Un paradosso, se ci pensiamo. Il fatto più preoccupante e che siamo condotti, specie in momenti di panico e isteria collettiva, dalla confusione imperante e dalla mancanza del sentimento di squadra oltre che da meccanismi infantili, egocentrici e poco professionali. Ciò non è poi così distante da quel che accade pure in momenti di relativa tranquillità generale, insomma.

Per la redazione dell’ordinanza, oltre all’ausilio di un avvocato, sarebbe bastato chiedere a qualche giornalista su quali effetti avrebbe potuto generare quel tipo di comunicazione. In ogni caso, limitare il “divieto di sbarco” a due regioni italiane e un paese straniero non si può certo dire sia stata una genialata, se vogliamo dirla tutta. La lezione è chiara: chi prende decisioni, chi è investito del potere di prenderne come ogni sindaco in questo caso, dovrebbe contare su una squadra di professionisti composta di legali, comunicatori, economisti, etc. Se invece già ci sono e fanno parte di un team, ma non sono stati interpellati in quel caso specifico, allora ci troviamo di fronte a una deficienza sistemica e istituzionale che andrebbe risolta al più presto.

È fuori di dubbio, poi, che gli effetti dell’emergenza coronavirus saranno impattanti anche nell’economia dell’isola e nel turismo. Ragione per la quale c’è da attrezzarsi, velocemente, per iniziare a costruire un messaggio nuovo, in grado di sostituire quello che ha contrassegnato il territorio isolano come razzista. C’è necessità di reagire all’emergenza. Abbiamo bisogno della costruzione di una narrativa diversa da quella che ci sta bollando come razzisti in questi ultimi giorni. Allo stesso tempo ci tocca dare uno sguardo alla veloce diffusione del virus e prepararci, comunque, a un suo sbarco sulle nostre coste, cosa che mi auguro non accada. Comunque, non so se avete notato che almeno un fatto positivo c’è stato: seppur per un tempo limitato i nostri sindaci, si sono seduti allo stesso tavolo e hanno tirato fuori una decisione comune. Se lo facessero più spesso, se riuscissero a rodare il meccanismo del confronto nel tentativo di risolvere pure altri problemi in seduta “comune”, sarebbe un piccolo passo per loro ma uno grande, grandissimo per tutti noi.

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