LE OPINIONI

«Caffè Scorretto» «Qualcosa bolle in pentola. E siamo noi»

Due scenari. Il primo. Quasi sei chilogrammi di sostanze stupefacenti rinvenuti in due diversi interventi. Le due operazioni condotte nelle scorse settimane dalla Polizia di Stato hanno fatto riaffiorare una parte, all’incirca occulta, della nostra società. Sei chili potrebbero lasciarci intendere che non si tratti di un fenomeno isolato e perciò non sarebbe da escludere che possa esserci dell’altro. Una fetta venuta in chiaro grazie al lavoro delle forze dell’ordine, l’altra ancora sommersa: come un iceberg. Tutto ciò somiglierebbe a una pentola di depressione isolana. In cui non di rado si mescolano storie e “fatti” in grado di contenere, chissà, pure una sequenza di coinvolgimenti senza distinzioni di razza e di “censo”.

Quasi sei chilogrammi di sostanze stupefacenti rinvenuti in due diversi interventi. Le due operazioni condotte nelle scorse settimane dalla Polizia di Stato hanno fatto riaffiorare una parte, all’incirca occulta, della nostra società. Sei chili potrebbero lasciarci intendere che non si tratti di un fenomeno isolato e perciò non sarebbe da escludere che possa esserci dell’altro. Una fetta venuta in chiaro grazie al lavoro delle forze dell’ordine, l’altra ancora sommersa: come un iceberg

Un terreno sommerso, poco esplorato anche a causa di un’omertà intrinseca che ha sempre caratterizzato l’isola d’Ischia. Una dimensione che si muove, esiste e galleggia pure sotto il naso di chi ancora è convinto che questo lembo di terra sia comunque un “paradiso”. Che dopo tutto sia ancora un posto tranquillo. Che qualche organizzazione criminale in grado di veicolare grandi quantitativi di stupefacenti non c’entra per niente.

Che il consumatore abituale è uno sfigato oltre che un caso a sé e non sussiste, per carità, una “rete” di approvvigionamento e distribuzione. Che il mare bagna le nostre coste, certamente, e ci protegge dai ceffi brutti e cattivi. Per qualcuno i due casi portati in rilievo dalla Polizia sono separati e non scalfiscono il candore angelico dell’isola “verde”. A dire il vero, nemmeno il suo letargo civile. Per qualche altro invece, c’è da farsi domande, tante. In particolare davanti alla quasi inesistente reazione della gente, dinanzi a una società che non sembra esserlo, di fronte alla replica sommessa di politica e istituzioni locali. Il Vice Questore del Commissariato di Ischia, il dottor Ciro Re sin dal giorno del suo insediamento, ha più volte affermato che l’isola deve chiedersi se vuole cambiare davvero. Un quesito semplice, in fin dei conti, che non riguarda soltanto la presenza –si potrebbe dire “robusta” – di sostanze quali cocaina, “erba” e probabilmente in quantità minore di eroina e altro, ma urla l’esigenza di abbattere la cecità per affrontare le cose in modo diverso, compresi quei piccoli casi in cui s’inserisce l’accoglienza di personaggi poco graditi o appartenenti a “famiglie” già conosciute dalle forze di polizia. Si potrebbe arrivare all’assunto, oltre che all’assurdo, secondo cui i ratti di solito stanno bene nei posti in cui si sentono a casa.

Il Vice Questore del Commissariato di Ischia, il dottor Ciro Re sin dal giorno del suo insediamento, ha più volte affermato che l’isola deve chiedersi se vuole cambiare davvero. Un quesito semplice, in fin dei conti, che non riguarda soltanto la presenza –si potrebbe dire “robusta” – di sostanze quali cocaina, “erba” e probabilmente in quantità minore di eroina e altro, ma urla l’esigenza di abbattere la cecità per affrontare le cose in modo diverso, compresi quei piccoli casi in cui s’inserisce l’accoglienza di personaggi poco graditi o appartenenti a “famiglie” già conosciute dalle forze di polizia

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Di fronte a tali “microscopiche storie stupefacenti” – sei chili potrebbero dirci della quantità che ancora non è stata scovata-, che a onore del vero hanno sempre contraddistinto il territorio isolano, bisognerebbe chiedersi se non ci sia chi vi si è aggrovigliato mani e piedi, tra personaggi noti o meno. Uno dei filoni di questo dubbio si potrebbe allargare e riprodurre con un’altra domanda. Cioè se dalla terraferma non sia già arrivato chi ha affondato le sue mani in questo mercato e se non sia infiltrato, addirittura, negli “affari comunali”. Se fosse così la situazione, dovrebbe metterci quantomeno in allarme. Chissà, anche se la cosa potrebbe essere avvenuta non direttamente ma in forma collegata, tanto da mandare a quel paese tutti i regolamenti sull’anticorruzione insieme all’efficacia e all’efficienza della pubblica amministrazione, troverebbe comunque spazio un certo timore che sembra non appassionare nessuno. In un tale contenuto che bolle sul fuoco dell’apparenza, dove tutto deve restare com’è, ciò dovrebbe stimolarci a prendere seriamente con attenzione un altro tema. Da qui il secondo scenario. Potrebbero essere tra i 100 e i 150 milioni di euro i soldi che arriverebbero sull’isola se si desse esecuzione al Patto per lo Sviluppo dell’Isola d’Ischia negli anni che mancano fino al 2029. Questo strumento se attuato dalle Amministrazioni dal 2015, anno della sua firma, avrebbe potuto intercettare cifre da capogiro se gli Enti locali – e la politica – si fossero decise a cooperare insieme, in forma stabile e permanente, per realizzare un’isola con moderne infrastrutture. D’accordo, ciò che è andato perduto non si può recuperare. Bisognerebbe fare in modo, però, di non perseverare nell’errore. Sarebbe opportuno riprendere il Patto Strategico, superare alcuni limiti per lo più “personali” e per niente amministrativi, e pensare come realizzare nuovi modelli nella sanità, nei trasporti, nel recupero del territorio per salvaguardarlo e mitigarne i rischi e come aumentare, al contempo, il potere attrattivo di Ischia attraverso la costituzione di una Zona Economica Speciale. Non solo turismo “low cost” o mordi e fuggi o come si vuole chiamare che, a oggi, sostiene il PIL isolano. Non più quantità, con numeri buttati a caso ma qualità con progettazione edificata su “visione” e “prospettiva” nell’ambito del “Patto Strategico”. Tra i vantaggi previsti, l’istituzione di una Zona a economia speciale propone la riduzione del 50% dell’imposta sui redditi e sui profitti societari per le imprese che avviano una nuova attività o aziende operative che avviano un’attività diversa e non esercitata fino a quel momento fino a sei periodi d’imposta successivi; aiuti per Ricerca e Sviluppo e per la formazione dei dipendenti.

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Potrebbero essere tra i 100 e i 150 milioni di euro i soldi che arriverebbero sull’isola se si desse esecuzione al Patto per lo Sviluppo dell’Isola d’Ischia negli anni che mancano fino al 2029. Questo strumento se attuato dalle Amministrazioni dal 2015, anno della sua firma, avrebbe potuto intercettare cifre da capogiro se gli Enti locali – e la politica – si fossero decise a cooperare insieme, in forma stabile e permanente, per realizzare un’isola con moderne infrastrutture. D’accordo, ciò che è andato perduto non si può recuperare. Bisognerebbe fare in modo, però, di non perseverare nell’errore

Altro fattore non di poca importanza ci sarebbero incentivi all’occupazione e disponibilità di aree per le imprese a prezzi ridotti e sgravi sulla tassazione immobiliare. Due spaccati, in definitiva, che oltre a creare danni di cui vediamo i risultati, forniscono la misura di quanto non si stia facendo per il territorio isolano e la sua popolazione. Da un lato persiste uno scenario nascosto, sfiduciato, con rami che s’intreccerebbero nell’organizzazione sociale a vario livello, probabilmente in ogni porzione dell’isola. Dall’altro esiste una possibilità, il Patto per lo Sviluppo appunto. Se combinata con una diversa consapevolezza sociale procurerebbe molte opportunità per rianimare un’isola afflitta e priva di slancio, immersa in uno stato di paralisi tanto da sembrare prossima al decesso e senza sentimenti di rivalsa in cui i giovani spesso vanno via mentre si fa largo, anche tra chi finora non ci ha mai pensato, la convinzione che sarebbe il caso di seguirli e saltare fuori dalla pentola. È chiaro che le forze dell’ordine da sole non possono fare molto. C’è bisogno che la politica ritrovi se stessa. Che riscopra, a un tempo, la sua capacità di programmare, di pianificare, di costruire, non limitandosi alla sola amministrazione dell’ordinario e di condominio. C’è l’obbligo e il dovere, qui si deve fare appello a quel profondo riscatto sociale delle persone, di pretendere che ci siano cuochi in questa cucina ischitana, non massaie disattente a quel che gli accade intorno forse capaci di commentarne i fatti ma pronte a farsi scivolare addosso ogni responsabilità di fronte a un’isola che grida il suo bisogno di una ricostruzione collettiva e sociale. Ci servono chef in grado di amalgamare il territorio per creare piatti visionari perché tocca a ognuno scegliere che ristorante vogliamo essere e diventare.

Pagina Fb Caffè Scorretto di Graziano Petrucci

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