CRONACAPRIMO PIANO

L’amarezza di Goffredo: «l’isola non ha imparato nulla dal dolore»

Il noto avvocato analizza l’attività del Comitato “La strada del buonsenso” ed analizza a tutto tondo i problemi e le criticità legate alla sicurezza stradale dell’isola d’Ischia. Con una serie di osservazioni e considerazioni accompagnate da un imperativo: serve una rivoluzione culturale

Incidenti anche mortali che si susseguono, eppure sembra che molti automobilisti proprio non riescano a imparare la lezione e la guida sull’isola rimanga quantomeno poco ortodossa. Secondo Lei a cosa è dovuto questo atteggiamento?

«Il tema della sicurezza stradale si lega anche a una cultura diffusa che purtroppo non tiene in debita considerazione la pericolosità della guida sconsiderata, né il contesto in cui viviamo, con infrastrutture non particolarmente efficienti, con dimensioni ridotte come peraltro è giusto che sia su un’isola. Va considerata anche la diffusione di una tipologia di veicoli capaci di elevatissime velocità: tutto questo determina il cortocircuito che quotidianamente viviamo. Tuttavia tale contesto rappresenta un’anomalia particolare: Ischia, nonostante sia un’isola, sulla quale l’incidentalità dovrebbe essere minore rispetto ad altre località, purtroppo presenta delle statistiche che lasciano di stucco. È veramente triste constatare che, nonostante tanto dolore, noi siamo costretti a piangere sempre il ripetersi di una drammatica realtà. Questo è stato anche uno degli impulsi che ci ha spinto a dare vita a una realtà associativa che potesse lavorare a favore della causa della sicurezza, perché è senza dubbio necessario cercare di dare delle diverse basi culturali».

«È veramente triste constatare che, nonostante tanto dolore, siamo costretti a piangere sempre il ripetersi di una drammatica realtà. Questo è stato anche uno degli impulsi che ci ha spinto a dare vita a un Comitato che potesse lavorare a favore della causa della sicurezza: è necessario cercare di dare delle diverse basi culturali»

Quanto sarebbe importante partire dalle scuole per innescare nelle nuove generazioni una adeguata cultura della sicurezza stradale?

«Di sicuro qualsiasi tema affrontato precocemente nel periodo formativo scolastico ha delle possibilità di sviluppo e di crescita migliori, naturalmente. Parallelamente l’approccio scolastico deve andare a formare dei futuri automobilisti, ma deve anche tenere in considerazione la situazione di ragazzi che ancora non hanno un approccio alla guida. Quindi non bisognerebbe valorizzare tanto le regole del codice della strada, che essi dovranno affrontare anni dopo, al compimento della maggiore età, ma bisogna sviluppare il valore di una serie di regole: rispettare la pedonalità, gli spazi, la vivibilità del territorio, e capire che un’automobile o una moto di grande cilindrata e potenza rappresentano un’arma impropria. Già un simile approccio sarebbe sufficiente per comprendere che basta una sola imprudenza per provocare l’irreparabile. Non è facile creare tali basi, ma come Comitato ci stiamo lavorando: abbiamo delle professoresse all’interno del gruppo molto attive, con cui abbiamo svolto già diverse riunioni».

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È quindi soddisfatto delle iniziative condotte dal Comitato La Strada del Buonsenso e quali saranno, gazebo a parte, le prossime iniziative?

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«Certo che sono soddisfatto. Naturalmente ci aspetta un lavoro immane, però di sicuro c’è un approccio costruttivo che vede attive diverse persone, che spero aumentino. Fondamentale è il dialogo con le amministrazioni, oltre che il lavoro di sensibilizzazione culturale nelle scuole: in questi giorni saremo sul corso di Forio con un gazebo informativo per distribuire materiale sul tema-sicurezza, anche per dare possibilità a chi vuol essere parte attiva di iscriversi al Comitato. Quest’ultimo vuole essere lo strumento per tutti coloro che hanno la volontà di agire in maniera costruttiva. Gli approcci sono di diverso tipo, affinché ci siano una maggiore cura delle infrastrutture, che va a unirsi al controllo delle forze dell’ordine, con un sistema sanzionatorio, necessario non nel senso repressivo ma in quello educativo, che a Ischia è ancora solo parzialmente efficiente».

I controlli delle forze dell’ordine negli ultimi tempi sono aumentati e soprattutto sono mirati e costanti, più di quanto avvenisse in passato. Può considerarsi un efficace deterrente?

«Può essere efficace nella misura in cui si comprende che vanno accompagnati da un’educazione da impartire. Sono infatti necessarie le logiche di buonsenso, che è l’elemento principale che deve animare l’utente della strada, sia esso pedone, ciclista, automobilista o ciclista. È il buonsenso che porta ad assumere in maniera autonoma e spontanea i comportamenti corretti per il rispetto reciproco. Nel momento in cui questo viene a mancare, l’attività sanzionatoria diventa necessaria. Vi sono anche elementi oggettivi come il parco-auto isolano, davvero abnorme, con numeri insostenibili: nessuno vuole demonizzare i veicoli o la libertà del cittadino di acquistare il veicolo che più gli aggrada, ma bisogna tenere in considerazione gli altri elementi del contesto. Abbiamo carreggiate che al massimo arrivano a cinque metri di larghezza (in rari casi), e ci sono veicoli che per quanto siano belli e performanti non si inseriscono bene nel contesto isolano».

«Sono molto soddisfatto del Comitato. Siamo di fronte a un lavoro immane, ma c’è un approccio costruttivo che vede attive diverse persone, che spero aumentino. Fondamentale è il dialogo con le amministrazioni, oltre che il lavoro di sensibilizzazione culturale nelle scuole che va a unirsi al controllo delle forze dell’ordine»

A proposito di comitato, ti aspettavi una maggiore adesione dei cittadini?

«Guardi, a dir la verità sono ormai diversi anni che faccio attività sociale sull’isola su vari temi, e ho imparato a non avere particolari aspettative. Si lavora sempre animati dalla volontà di coinvolgere molte più persone possibili, ma si è consapevoli che non è così facile. Comunque, gli elementi presenti sono molto in gamba, e ciò mi dà grande motivazione per lavorare ancora con loro: il contributo di chi vorrà aderire è ovviamente ben accetto».

Quali possono essere gli strumenti per limitare almeno sulle strade principali e ad alto rischio gli incidenti stradali?

«Quelle ad alto rischio sono quelle che hanno maggiormente bisogno di strumenti di rilevazione, che però finora non ci sono. Per il momento sull’isola non abbiamo autovelox fissi, ma abbiamo solo la possibilità di rilevazione con pattuglia, e ciò rende piuttosto articolata la procedura, quindi non costante nel tempo, anche se va riconosciuto che sono aumentati i controlli in tal senso. Tuttavia l’auspicio per i tratti di strada più pericolosi – potrei menzionare la Sopraelevata – è quello di avere rilevatori fissi, senonché intervengono problemi di tipo tecnico e più che altro burocratico, con le competenze che si allargano, chiamando in causa la Città Metropolitana…».

«Per ora sull’isola non abbiamo autovelox fissi, ma solo la possibilità di rilevazione con pattuglia: ciò rende la procedura piuttosto articolata e non costante nel tempo, pur se sono aumentati i controlli. Tuttavia per i tratti più pericolosi – potrei menzionare la Sopraelevata – è auspicabile avere rilevatori fissi»

Ecco, quanto pesa la competenza della Città Metropolitana su alcune arterie fondamentali e questo rimpallo tra enti e amministrazioni?

«Pesa perché rendono complicato anche il percorso di pressione civica al riguardo. Le assicuro che è facile trovare talvolta amministratori che rinviano ad altre competenze, anche se di fatto non dovrebbe essere così. Sebbene siano competenze diverse, stiamo comunque parlando di amministrazioni, che tramite diversi strumenti sono dal punto di vista sostanziale assolutamente capaci – e hanno il dovere – di coordinarsi per raggiungere l’obbiettivo necessario. E noi in tal senso stiamo facendo pressione sulle istituzioni competenti».

Sindaci e amministratori locali hanno recepito la gravità del problema o dovrebbero fare di più? E nel caso, in cosa si sono dimostrati fin qui carenti?

«In realtà la sensibilità generale al problema è sicuramente aumentata, ahimè anche in occasione dei drammi sempre più ricorrenti che ci riguardano e che spesso riguardano anche giovanissime vite, per dire che questa consapevolezza ha un prezzo altissimo, e non dovrebbe essere così. Senza dubbio si comincia a comprendere che la questione della sicurezza stradale, per quanto riguarda l’isola d’Ischia, è tra le priorità: c’è chi agisce in maniera un po’ più incisiva, chi un po’ meno, ma sicuramente siamo complessivamente in ritardo. Ci sono anche varie contraddizioni: nel periodo estivo ci si è resi conto che la concessione di deroghe al divieto di sbarco si è troppo ampliata rispetto agli anni precedenti, come il permesso ai residenti campani con prenotazioni turistiche sull’isola di sbarcare la propria auto. E d’estate quello che è un problema già gravoso si trasforma in una vera apocalisse di veicoli. Il diritto alla mobilità deve essere riconosciuto a tutti, ma esso non significa il diritto a sbarcare un’automobile sull’isola».

«Spesso le complicazioni sono di tipo burocratico, con le competenze che si allargano, chiamando in causa la Città Metropolitana rendendo complicato anche il percorso di pressione civica al riguardo. Bisogna superare le competenze formali affinché gli enti si coordinino per raggiungere l’obbiettivo»

L’ultima tragedia della strada, costata la vita al giovanissimo Manuel Calise, come Lei ha accennato, è sembrata aver mosso le coscienze soprattutto dei più giovani: vuol dire che almeno in parte, in termini di sensibilizzazione, il vento sta cambiando?

«Sì, sono stato molto felice della mobilitazione dei giovani, il cui apporto è stato costruttivo: è stato redatto un documento, poi consegnato alle amministrazioni da cui è stato recepito, e ciò senza dubbio aumenta gli orizzonti culturali di consapevolezza della questione. I giovani sono un elemento-chiave della questione: sono loro i padroni del futuro, quindi ben venga una loro mobilitazione. Sono stato felice di leggere delle loro molteplici iniziative, nonostante le critiche ricevute, del tutto ingiustificate».

Secondo una statistica dell’ACI la ex SS270 è una delle dieci strade più pericolose d’Italia. Cosa ha provato nell’apprendere questo dato?

«Nessuno stupore al riguardo: purtroppo non solo seguiamo le notizie di cronaca, ma viviamo queste strade in prima persona. Se i numeri degli incidenti sulle nostre strade non sono superiori a quelli attuali, già altissimi, a volte è solo per pura fortuna, perché taluni comportamenti sono spesso ancora assurdi, che creano situazioni di enorme pericolo».

«Si tratta di una mia opinione, ma ritengo che, complice anche il momento storico molto particolare in cui sono state soppresse le occasioni di socialità e molte possibilità di espressione e realizzazione umana, a volte si utilizzi la velocità come valvola di sfogo: bisogna dare a tutti la possibilità di incanalare tali energie in maniera positiva»

L’ultima domanda è forse la più complessa ed andrebbe rivolta più a uno psicologo che non ad un avvocato: perché sull’isola si corre così tanto?

«Premetto che si tratta di una mia opinione personale: ritengo che purtroppo, complice anche il momento storico molto particolare in cui sono state soppresse le occasioni di socialità e molte possibilità di espressione e realizzazione umana, a volte si utilizzi la velocità come valvola di sfogo. Ovviamente non voglio creare un nesso di causalità esclusiva, ma si tratta di un elemento che secondo me contribuisce a spiegare la questione, proprio perché è diventato difficile esprimersi esistenzialmente: Ischia è sempre stato un contesto particolare, caratterizzata da un’estate turistica e poi da un lungo e pesante inverno, anche di tipo sociale. Anche i giovani sono stati colpiti da questo fenomeno, con conseguenze distorsive molto gravose, ma non possiamo permetterlo: bisogna dare a tutti la possibilità di realizzazione e di espressione della propria energia, in maniera positiva».

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