CRONACAPRIMO PIANO

Iervolino: «Perseguitato da un pm, ho vissuto cinque anni da incubo»

Il Riformista racconta, attraverso le parole dell’imprenditore e attuale presidente della Salernitana, una storia di malagiustizia. Frutto di un’indagine, condotta da Henry John Woodcock, completamente fatta a pezzi dal Riesame e che non avrebbe mai dovuto avere inizio. «Sono stato vittima di stalking giudiziario che mi ha costretto a lasciare Napoli e svendere la metà del mio gruppo per proteggere i miei bambini»

Benvenuti in Italia, o meglio benvenuti nel Mezzogiorno d’Italia. Dove tutto ti è concesso: prendere il sole anche in pieno autunno, godere di bellezze naturali straordinarie e di una enogastronomia senza eguali. E in fondo, se vogliamo anche vivere con quel pizzico di disincanto e col sorriso sulle labbra, pronto pure a sorridere a quelle che possono essere le disavventure della vita quotidiana che – si sa – colpiscono tutti indistintamente. Ma la storia che raccontiamo, o meglio che viene raccontata, è iconica di quello che da queste parti non può e non deve mai accadere: sarà il frutto di chissà quale alchimia, fatto sta che al Sud sembra quasi essere diventato un reato fare impresa. E, particolare non trascurabile, riuscirvi con successo. Con straordinario successo. E quando scrivi successo, immediatamente leggi Danielo Iervolino, fondatore dell’Università Telematica Pegaso ceduta lo scorso anno e attuale presidente della Salernitana oltre che proprietario de L’Espresso. Che in una toccante, significativa e aggiungeremmo riflessiva intervista rilasciata al quotidiano Il Riformista racconta la sua incredibile vicenda e l’accanimento giudiziario nei suoi confronti da parte di un pubblico ministero che francamente (e sull’isola d’Ischia ne sappiamo qualcosa, in molti ricorderanno il caso CPL Concordia e soprattutto i suoi titoli di coda). Un racconto preciso, minuzioso e dettagliato e che pure sintetizza tutto nel suo primo concetto: «Sono stato costretto a vendere la società e ad andarmene. Purtroppo svolgere una attività imprenditoriale a Napoli era diventato impossibile a causa dell’attenzione, che definirei “morbosa”, della Procura della Repubblica nei miei confronti».

WOODCOCK, L’INDAGINE E UN INCUBO LUNGO CINQUE ANNI

Ma facciamo un attimo un salto indietro. Il pubblico ministero di cui sopra, ma immaginiamo in molti ci siano arrivati per intuito, è Henry John Woodcock, che per Iervolino ha chiesto il rinvio a giudizio con l’accusa di corruzione con l’udienza preliminare prevista per il 24 novembre e dunque dietro l’angolo. Ma con un teorema accusatorio che, come capirete dalle parole dell’imprenditore a Il Riformista è di fatto già smontato: di più, disintegrato. Danilo Iervolino parte dalla genesi: «Questa vicenda inizia nel 2018. I magistrati stavano indagando Franco Cavallaro, il segretario generale della Cisal, un sindacato molto presente nel pubblico impiego, nell’ambito di un procedimento per voto di scambio. Il trojan nel suo cellulare registra un colloquio con Concetta Ferrari, all’epoca direttore generale del Ministero del lavoro, con cui Cavallaro intratteneva rapporti di amicizia. Quest’ultimo rappresenta alla dirigente che poteva far avere al figlio, dottore di ricerca in ingegneria, un contratto di insegnamento presso la mia Università telematica. Teniamo presente che Cisal aveva una convenzione con l’Ateneo. Il ragazzo, che non conoscevo, come non conoscevo la madre, si presenta alla Pegaso e riceve un contratto integrativo. Ma come lui tanti altri». Una ricostruzione dalla quale appare davvero difficile (se non impossibile) rappresentare profili di illiceità, ma evidentemente qualcuno ha deciso di “puntare” Iervolino ed allora si cerca pure il pelo nell’uovo pur di appigliarsi a qualcosa. E così Iervolino prosegue il suo racconto: «Dagli ascolti del trojan, però, emerge che Cavallaro avrebbe fatto una serie di regali e attenzioni alla dottoressa Ferrari per ottenere un parere favorevole alla scissione del suo patronato e che gli avrebbe prodotto delle utilità. Cavallaro ad un certo punto chiede al professor Francesco Fimmanò, direttore scientifico della Pegaso e mio avvocato, di poter avere un appuntamento col vicecapo-gabinetto del Ministero del lavoro, la prefetta Fabia D’Andrea, per questioni inerenti il sindacato, avendo visto che entrambi sono spesso impegnati in convegni o pubblicazioni comuni anche al Cnel. Fimmanò glielo fissa aggiungendo, a fronte del tentativo di Cavallaro di spiegargli il problema, che D’andrea nessun ruolo o potere poteva avere nella vicenda. D’Andrea, comunque, offre dei consigli e da notizie per le quali avrebbe ricevuto molto tempo dopo un corso di formazione per una sua giovane amica. 

IL RIESAME CHE “DISINTEGRA” IL QUADRO ACCUSATORIO DEL PM

Il quadro non sembra favorire nulla che possa in qualche modo esulare dai parametri della normalità, eppure dopo quell’episodio succede qualcosa, e Iervolino la racconta così: «L’anno scorso io e Fimmanò riceviamo un invito a comparire da Woodcock con la descrizione del fatto. Gli mandiamo una nota rappresentando che è inutile sentirci non conoscendo nulla delle vicende connesse al contratto e alla presentazione. Come dice Fimmanò: “Non è che se le presento un ministro e dopo lo spara, posso mai rispondere di concorso in omicidio”. La scorsa estate, comunque, arriva la chiusura delle indagini sempre per le stesse cose». Insomma, bolla di sapone e amen anche se per qualcun altro le “attenzioni” del pm erano state di ben altra natura e tenore: «Woodcock in primavera – ricorda ancora Iervolino – aveva fatto una richiesta cautelare ai domiciliari per Ferrari e Cavallaro e un obbligo di dimora per D’Andrea. La richiesta è stata rigettata dal gip nel mese di maggio. Il magistrato ha allora fatto appello al Riesame. Senza attendere la decisione, a luglio ha chiesto il rinvio a giudizio per tutti». Una mossa avventata, decisamente avventata, perché al cronista Danilo Iervolino racconta come si è svolto il Riesame e che cosa ha sortito: «Ha annichilito l’appello del Pm. Con un provvedimento ineccepibile lo ha dichiarato inammissibile, in quanto non v’è alcun indizio visto che queste captazioni trojan di terzi ante 2020 sono inutilizzabili per giurisprudenza ormai consolidata. Guarda caso, esce la notizia della richiesta di rinvio a giudizio per un procedimento che è già su un binario morto». 

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«IO, INTERCETTATO PER ANNI ABUSIVAMENTE»

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Tutto questo a seguito di 5 lunghi anni di inspiegabile odissea giudiziaria visto che il procedimento si è incardinato nel 2018. Iervolino non ci sta e spiega: «Negli ultimi 5 anni il dottor Woodcock ha ‘gemmato’ una serie enorme di imputazioni, sempre dallo stesso procedimento in cui avrei corrotto il Parlamento. Anni fa, con un meccanismo per il quale ho sporto querela nei confronti di Woodcock, è stato abusivamente acquisito ogni dato che mi riguardasse. Sono stato intercettato per anni, con cimici in casa quando ero coi miei bambini e mia moglie, in auto, in ufficio, ovunque, uno stalking giudiziario. Come dicono i miei avvocati, dallo stesso procedimento se ne tira fuori un altro e così all’infinito, è una tecnica consolidata, così la competenza resta sempre allo stesso Pm che, che coincidenza, la prima volta era di turno». Quando gli si chiede che fine abbiano fatto i procedimenti cui fa riferimento, la risposta rappresenta un altro aspetto a tinte fosche di una vicenda che definire inquietante vuol quasi essere un mero eufemismo: «Faccia una ricerca in internet. Basterebbe leggere quello a seguito del riesame del 2021 per chiedersi come sia possibile che dopo quanto hanno rilevato e stigmatizzato con toni gravissimi i giudici in tre diverse ordinanze si continui ad andare avanti. Dove si configurerebbe la corruzione? Non lo so. Avremmo conferito un contratto ad un ingegnere dottore di ricerca che pare sarebbe stato poi utilizzato da Cavallaro per avere il via libera sulla scissione di un patronato. Ma lo leggo come voi, perché non so neppure di cosa parliamo ed è frutto di colloqui tra terzi, senza che io ne abbia avuto mai neppure contezza. Non ho mai messo piede al Ministero del lavoro, tanto meno per questioni sindacali. Non so neppure perché proceda la Procura di Napoli visto che i fatti si sarebbero svolti tra la Calabria e Roma». 

«UNA PERSECUZIONE CHE MI HA COSTRETTO AD ABBANDONARE NAPOLI»

Il giornalista Paolo Pandolfini chiede al suo interlocutore se si ritenga in guerra con Woodcock e la risposta è chiara e inequivocabile: «Ma no. Io non sono in guerra con nessuno, vorrei solo lavorare, produrre e vivere in pace coi miei figli. So soltanto che questa persecuzione mi ha costretto a lasciare Napoli ed a svendere la metà del mio gruppo per proteggere i miei bambini, ormai traumatizzati da perquisizioni con centinaia di poliziotti e finanzieri a casa ed in ufficio Ma questo è un tema che molti purtroppo conoscono da anni, dal Re Vittorio Emanuele, al povero sindaco di Castellaneta, all’Ispettore generale del Ministero della giustizia Andrea Nocera, agli imprenditori Alfredo Romeo e Gianluigi Aponte. La lista è così lunga che non basterebbe un intero giornale». Insomma, una incredibile bolla di sapone, così come l’indagine fiscale, giusto per non farsi mancare niente: «È finita con una archiviazione – ricorda Iervolino – dopo essere stata pubblicata sul Fatto Quotidiano, grazie alla notizia della proroga delle indagini di un altro procedimento, pure quello archiviato». Il cronista de Il Riformista pungola l’imprenditore e gli chiede se davvero abbia abbandonato il suo gruppo e detto addio a Napoli per queste vicende e lui risponde anche con toni comprensibilmente irritati: «Ma lei ha compreso cosa mi è capitato e mi sta capitando? Ha visto la rassegna stampa? Ha visto le dichiarazioni degli attuali gestori del mio vecchio gruppo? Vorrei che per un giorno si capisse quello che ho passato. Io ho avuto in casa centinaia e centinaia di poliziotti, i miei bambini terrorizzati hanno cominciato a pensare di avere un papà criminale. E poi tutte quelle imputazioni con gli aggettivi più turpi e disdicevoli: mi vergognerei solo a pensarle quelle cose. Questo per non parlare delle complicazioni nella mia vita di relazioni umane e a tutto quello che è accaduto a chi mi è stato intorno, i miei commercialisti, medici, avvocati, ad iniziare da Fimmanò che si trova in questo bailamme per aver presentato un segretario di un sindacato ad un vicecapo-gabinetto del Ministero del lavoro, una cosa normalissima in un Paese normale». 

LE RIPERCUSSIONI NELLA VITA PRIVATA E LA VENDITA DELL’AZIENDA

Iervolino ricorda anche le ripercussioni anche dal punto di vista della vita privata e della quotidianità, che non sono state di poco conto: «La gente ha cominciato ad evitarmi soprattutto per non incappare nel solito Pm che oggi trae una pubblicità inaspettata dal fatto che presiedo un club di serie A». Non solo ripercussioni, anche conseguenze reali, tangibili e concrete: «Ho dovuto vendere l’azienda per tre volte in meno il suo valore. Ma cos’altro potevo fare? Si rende conto che siamo ancora a parlare di questo procedimento a cinque anni di distanza? E poi che succede se verrò prosciolto nuovamente? Nulla, ci siamo sbagliati?». Poi l’amara conclusione: «Ho troppo rispetto per i giudici e sono abituato a difendermi nei processi. I giudici sono una delle categorie più sane e serie del Paese, non confondiamo con i casi di malagiustizia, anche se questa volta è ancora più incredibile degli altri. Sui co-indagati si è già pronunciato il gip ed il Riesame ha rigettato ogni richiesta per la totale mancanza di indizi. La richiesta di rinvio a giudizio ha solo una motivazione ed è quella per la quale mi sta intervistando. Stranamente una notizia vecchia di mesi esce, dopo che lo stesso Riesame ha azzerato l’inchiesta, su piccoli siti, individuati a b i l m e n t e , ed è subito diventata virale visto che riguarda il presidente di una squadra di serie A». Già, malagiustizia a parte anche questa è Italia. Purtroppo.

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