LE OPINIONI

IL COMMENTO Adesso ci vuole un punto

DI RAFFAELE MIRELLI

Basta con le speculazioni! I fatti parlano chiaro e il nostro intento deve essere quello della ricostruzione di noi stessi all’interno di un tessuto sociale che ha evidenziato, ancora una volta, la rabbia insita nei nostri spiriti. Ovviamente non tutti sono collerici, ma una buona parte esposta e – purtroppo – rappresentativa lo fa come professione. Ho difeso i ragazzi in passato e continuerò a farlo, ma non è tutto. La manifestazione tenutasi lunedì scorso, uno stare pacifico per dire “no” all’idea stessa del razzismo organizzata da un gruppo di cittadini, era ed è essenziale alla comunità isolana. Al di là delle partecipazioni di massa. Anche perché se la massa fosse contro questa idea, non si sarebbero create queste derive forti, assolutamente non innocue e che vanno considerate e prese in esame da tutta la comunità isolana.

Abbiamo raccolto tante persone a difesa dei diritti umani, con non poche difficoltà e opposizioni che – lasciatemelo dire – provengono dai luoghi comuni, quelli che nel loro essere superficiali generano atteggiamenti pericolosi. Aver organizzato questo “incontro”, ha purtroppo costruito anche malumori di vario tipo.

Non sono mancate le offese, non sono mancate le solite considerazioni, le banalità del pensiero: i fatti, però, devono spingere noi tutti a delle riflessioni e non a delle condanne. Non è vero che la cosa – solo perché sia nata da alcuni ragazzi – debba essere taciuta, perché, e cito: “State dando troppa importanza a questi”; “Così li mettete in risalto” e via dicendo con gli slogan dell’ultimo minuto. Non è possibile che, chi rivendica il diritto di una pacifica protesta, debba sentirsi costantemente in difetto nei confronti di una fetta di popolazione che così facendo alimenta il “dissenso” civico. Non è possibile che azioni del genere, debbano per forza provocare in alcuni di noi sguardi di odio e di collera, costanti e ossessivi. Non è possibile che azioni volte alla sensibilizzazione debbano essere tacciate come “manie di protagonismo”, “voglia di visibilità”. Scusate, a me non sembra affatto pertinente. Anzi, chi lo pensa, dovrebbe a questo punto capire se sono i meccanismi propri, limitati a sé stessi, che lasciano vedere le cose in modo ossessivo. Vedete, se lasciamo che questa prassi continui, allora è inutile “mandare” i nostri figli nei luoghi dell’educazione e – devo ripetermi come in passato – se non si instaurano processi pedagogici comunitari, allora vuol dire che persiste un corto circuito, un mal funzionamento, non solo per i ragazzi. Anzi, la causa e la responsabilità e da ricercarsi in noi, ipotetici adulti.

È difficile esprimere quello che voglio dirvi, ma credetemi, i giorni scorsi sono stati difficili per tutti, e mi voglio schierare anche a difesa dei docenti, dei dirigenti che in primis hanno visto in questo accaduto un loro fallimento. La ferita è aperta!

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Ma se la mentalità comune incita all’odio tra di noi, a essere costantemente in lotta, anche su questioni di importanza assoluta, allora il fallimento è più il nostro che dei ragazzi. Permettetelo di dirlo, in alcuni casi la maggioranza fa bene! E questa non rappresenta un’apologia per i colpevoli, anzi, a riguardo c’è poco da dire: devono prenderne atto e devono ricostruire la propria immagine. Tutto questo, però, non sarà semplice. I ragazzi, adesso, sono incudine e devono per forza di dialettica essere colpiti da una società che li vuole colpire. Ne abbiamo visto le conseguenze e molti di noi non sono convinti della loro consapevolezza. Anche se questo messaggio è nato da una chat privata, non vuol dire che non sia di una gravità capitale. Un mio caro amico ha ribadito che, proprio perché nasce in questo contesto, significa che il pensiero sia privato, intimo e vero.

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E rechiamoci ancora fuori dai luoghi comuni: adesso nascerà la contro opinione, attraverso cui vi sarà l’apologia dell’accaduto e la difesa dei ragazzi. Questo è campanilismo e non è pedagogico, nemmeno di aiuto alla riflessione. Purtroppo, qui insiste l’animo social e non quello profondamente umano e riflessivo, il quale non si acquisisce al supermercato. No! Quello va esercitato nella vita e nella prassi di comunità. Noi lo abbiamo appreso proprio a scuola! E poi oltre, negli anni. Allora, bene per la manifestazione e la partecipazione, bene anche per le polemiche che sono affiorate durante il sit-in, dove qualche adulto-collerico ha iniziato a urlare, urlare non fa bene, non va bene. Bisogna saper stare con gli altri. Abbiamo guardato con benevolenza anche la partecipazione dell’autorità, al di là del periodo di campagna elettorale. Basta con il qualunquismo e l’odio gratuito, ce n’è troppo tra di noi e continua a essere alimentato. Basta con le polemiche fine a sé stesse. Perché non creare il confronto diretto e smetterla di essere i martiri di un luogo senza sacralità? Mettiamo un punto a questa situazione e ricominciamo un po’ tutti, perché siamo tutti responsabili di un atto di pseudo-goliardia. È altresì vero che abbiamo bisogno di prendere in cura dei ragazzi (e non solo loro), alleggerendoli dal peso di un cambio epocale che li vede “troppo” protagonisti.

La politica ha bisogno di essere fatta “come” scuola, come educazione del “saper pensarsi” per agire, come formazione, perché è difficile reggere il carico di una società come la nostra – spesso molto aggressiva – che provoca inevitabilmente questi risultati. Abbiamo bisogno di scuole che formino alla politica, alla relazione pubblica, non possiamo caricare i ragazzi di questo peso troppo grande. Le scuse non bastano, cari ragazzi, e soprattutto non bastano le scuse con sé stessi: l’errore c’è stato e porta con sé conseguenze. Adesso bisogna essere bravi a ricevere i colpi e lo dico con benevolenza. È facile far risalire la causa di un male a qualcuno diverso da noi stessi. È la cosa più naturale, ma meno giusta! Non sempre la natura è capace di giustificare il nostro agire. E noi adulti? Noi adulti abbiamo bisogno di capire che la società ischitana deve costruirsi oltre la collera, i personalismi. Chi ricopre cariche in vista deve saperlo fare, non può cadere nel tranello egoistico e ossessivo, attaccare sempre e costantemente, senza cognizione di causa. Ci rendiamo conto che così stiamo già educando i giovani all’aggressione, immotivata, animalesca?

Personalmente questa cosa inizia a pesare e non solo per me. Il comitato di cittadini che ha organizzato la manifestazione è, tra l’altro, un gruppo fatto “anche” di amici – e questo lo dico a che ci ha appellati in altro modo – che credono nel loro operato e in queste pratiche di “bene comune”. Quando facciamo queste cose, noi crediamo in noi e non ci ergiamo a maestri per nessuno, se non per noi stessi. Noi siamo stati alunni del liceo, trenta anni fa; noi abbiamo avuto come insegnanti Gioacchino Buono, la mitica professoressa (vicepreside allora) Franca Di Meglio, il filosofo Franco Iaccarino, la filosofa Brigida Baldino, la preside Berenice Coppola e tanti altri che in noi hanno – con la giusta distanza che i tempi richiedevano nel rapporto pedagogico – seminato rispetto e ideali per i quali ancora oggi vale la pena combattere, e lo facciamo. E questo non significa che i tempi erano migliori di oggi e che noi siamo migliori dell’attuale gioventù. Con questo non sto nemmeno mettendo in disparte gli attuali insegnati e dirigenti che stimo tanto, che navigano in un cambiamento epocale, che richiede capacità istrioniche e gestionali di rilievo.

Mi chiedo, però, che cosa è andato storto? E ce lo possiamo chiedere tutti? Che cosa non ha funzionato, in noi tutti? La causa è da ricercarsi in questa collera interiore che, molti di noi, portano dentro. Generiamo esempi di un’isola che coltiva molte manie di protagonismo, le stesse che sono state appuntate a noi, solo perché abbiamo manifestato contro un’idea che non è affatto passata inosservata, prima che noi decidessimo di metterci in gioco. Alla fine di quel pacifico stare fuori al liceo, verso l’una di notte, si è presentato un ragazzo. Ci ha voluto fare una confessione, una confessione di amicizia verso chi aveva sbagliato. È giusto riportarla qui, perché il suo valore è grande proprio perché si muove nel sentimento dell’amicizia. Era molto dispiaciuto per la situazione e preoccupato per il suo amico. Sono tante le minacce che sta ricevendo, verbali e scritte. Ma lui si chiedeva, perché l’odio genera odio?

Bella domanda, ma non è una domanda, è un’affermazione: l’odio genera odio. Siamo noi a seminarlo ogni giorno, quando decidiamo di essere collerici, aggressivi con i nostri simili per partito preso, quando restiamo ossessionati da noi stessi e dal nostro ipertrofico Ego. Io ringrazio – senza fare nomi per evitare che queste persone vengano attaccate nuovamente – tutti i “liberi cittadini” che hanno organizzato, approvato e partecipato a questa piccola mozione di inclusione. Sono convinto che – come me – lo hanno fatto, perché spinti da un puro spirito di fratellanza e non di egocentrismo. Sono convinto che sia stata la cosa più giusta da fare. Lo rifarei, lo rifaremo ancora e ancora. Ai ragazzi lascio un monito: da un male può nascere un grande bene, commisurato alla grandezza e intensità del male creato. Non importa come esso sia stato pensato e architettato. Sono ottimisticamente sicuro che dall’accaduto nasceranno grandi occasioni, queste però vanno costruite nel proprio animo, ribaltando le proprie convinzioni, capovolgendo i rapporti di consuetudine e superficialità che ci propone il nostro Ego, ipertrofico.

Questo è uno scritto di bene e di fratellanza. Adesso basta con la rabbia. Adesso diamoci da fare veramente per cambiare e creare relazioni rispettose. L’opportunità che genera questo male “accaduto”, non è solo lì per i ragazzi, ma per noi, comunità di cittadini ischitani.

* FILOSOFO

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