LE OPINIONI

IL COMMENTO Da Venditti ai Maneskin. Quando al Rispoli la musica era vita 

Ricordo un tempo tanto lontano, troppo lontano, ad Ischia allo stadio comunale Rispoli, quando il campo era ancora una distesa di terreno. Ci giocavamo d’estate, anche nelle ore calde dei torridi pomeriggi di agosto. Mangiavamo polvere e cadevamo sulle pietre ed era quella l’essenza stessa della nostra vacanza. E qualche volta, su quello stesso campo ci andavamo di sera a vedere i concerti di musica. L’epoca era quella in cui ascoltavamo Edoardo Bennato, Francesco De Gregori, Lucio Dalla e Francesco Guccini. Eppure se devo pensare ad un concerto in particolare, la mente corre alla fine degli anni ’70, forse inizio ’80. Al Rispoli si esibiva Antonello Venditti, era il tempo di “Sotto il segno dei Pesci” o giù di lì. Erano anche anni difficili in Italia, dal punto di vista politico. E quando noi ragazzetti poco meno che quindicenni, comunicammo ai nostri genitori l’intenzione di andare a vedere il concerto, ci fu una sorta di mobilitazione generale. Il fronte del No si allargò da ombrellone ad ombrellone ed anche le mamme e i papà più permissivi, si lasciarono trascinare in quel vortice di paura e preoccupazione. Il motivo? Beh, null’altro che una “balla” messa in giro in quelle ore. Oggi si chiamerebbe una fake news. Girò voce che in quel concerto ci fosse un pericolo legato ad eventuali incidenti, volutamente provocati da non si sa quale tipo di estremismo politico. Qualcuno parlava anche di ordigni pronti ad esplodere. Alla fine il buonsenso prevalse sull’idiozia di qualcuno. 

Quella sera andammo tutti allo stadio a vedere il concerto di Venditti e l’unica “bomba” che esplose fu il titolo della canzone, “Bomba o non bomba”, cantata con ironia e un pizzico di sana provocazione dal cantautore romano. Ricordo anche che alcuni di noi entrarono al Rispoli senza pagare, scavalcando il muretto della tribuna, con l’aiuto delle persone che già erano all’interno dell’impianto. Avremmo fatto di tutto per seguire un concerto di musica, fosse rock o musica d’autore. E restavamo tre ore incantati davanti al palco, senza distogliere lo sguardo dai nostri idoli, cantando le loro canzoni, ballando a ritmo della musica. L’esatto contrario di quello che mi è capitato di vedere nei giorni scorsi, al Palapartenope di Napoli, in occasione dello spettacolo dei Maneskin. Forse il gruppo rock più famoso in Europa in questo momento. Sono bravi, fanno buona musica. Non è la nostra musica, non quella di chi ha superato i 50 anni da un pezzo. Non quella di chi, a distanza di tanti anni, continua imperterrito a sentire le canzoni di Venditti, Bennato e De Gregori. Ma i ragazzotti che hanno vinto Sanremo e l’Eurovision sono bravi, migliori di tanti altri. Questa volta, però, al concerto ci sono andato unicamente per motivi professionali. E ho visto qualcosa di assurdo, impensabile e profondamente malinconico. C’era la folla (oltre cinquemila ragazzi), le luci e c’erano anche i cori. Tutto quello che un concerto deve avere, per essere uno spettacolo vero. E c’era anche l’emozione dei ragazzi, la loro gioia. Quello che mancava e che rendeva quell’evento così profondamente diverso da quell’antico concerto di Antonello Venditti nel vecchio Rispoli di Ischia, era la partecipazione, lo stare assieme e la sinergia tra artisti e pubblico. Quell’essere un corpo unico, sopra e sotto al palco. 

I giovani erano immersi nel loro mondo virtuale, ognuno col suo bel cellulare in mano, acceso e diretto sul palco. Cinquemila luci accese e diecimila occhi che guardavano quegli schermi, come avrebbe potuto fare chiunque, anche comodamente seduto sul divano di casa. Cinquemila persone che non facevano un gruppo. Ognuno per se stesso, col suo bel telefonino. Le note che si diffondevano nel teatro tenda e intanto il mondo del virtuale che uccideva la vita reale. Sono passati oltre 40 anni dal concerto di Antonello Venditti. Chi era allo stadio di Ischia, quel giorno, ricorda ogni secondo di quella esperienza. Anche i testi delle canzoni. Io ricordo anche gli amici con cui andai allo stadio e la ragazza che avevo vicino. Si chiamava Fiorenza e oggi fa la giornalista al Corriere della Sera. È la nostra vita, rimasta con noi, senza aver bisogno di avviare un video. Cosa che potranno invece fare i fans dei Maneskin, che metteranno nell’archivio dei loro ricordi un freddo filmato, privo di emozioni.    

* DIRETTORE “SCRIVONAPOLI”

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