LE OPINIONI

IL COMMENTO Il Natale in apnea e il ritorno alla “realtà”

DI ARIANNA ORLANDO

Esplodeva il nuovo anno: un disordine di auto e un bisogno compulsivo di ostentare felicità misto a un’indigestione di buoni propositi. Persino il più saggio, il più composito, il più ordinario e indifferente degli uomini è sommerso dal movimento ondivago del cosmo ultra-natalizio che comincia piano in risacca verso il 23 dicembre e, attraversando il confine tra l’anno nuovo e il vecchio, sfocia il 2 gennaio in una esplosione di liberazione che assomiglia in verità a un lento spogliarsi, a un lento introdursi di nuovo nella vita reale. La potenza del periodo natalizio è così devastante da tramutare non solo l’aspetto degli uomini che, in quei giorni di festa, sentono la strana urgenza di sottostare alle leggi di un vestirsi straordinario, ma è capace di modificare anche l’assetto delle città. Nascono piste di ghiaccio dove il ghiaccio è una verità artificiale in un luogo così mediterraneo, si appendono ai lampioni, ai balconi e ai corridoi delle strade lustrini e caleidoscopiche luci in movimenti di grazia. Ci sembra di assistere al diradarsi dell’anno in questa magnificenza in cui la generosità e l’elemosina sono le code ipocrite dello sbafo. Le TV perseverano nelle pubblicità degli enti benefici che cercano di colpire al cuore tanto i consumatori di astici e champagne così come i tranquilli fruitori di calamari fritti e spumante da 3 euro e mentre la compravendita di pandori e panettoni, mentre la gara “a chi è il più buono” infervora gli scaffali e i ripiani e mentre ancora pesci e carni giacciono inconsueti sui fondali di ghiaccio dei frigoriferi, l’elemosina è un atto spontaneo di pace e di rimessa in ordine della coscienza.

A nessuno importa realmente nulla degli altri e si sa che tanto “ognuno guarda gli affari del proprio carrello” anche se “la roba nel carrello degli altri è sempre meglio” e si fa fatica ad allungare lo sguardo oltre le proprie buste stracolme, che grondano di formaggi e salumi. In questo straripare di consumo, dove noi stessi abbiamo esagerato, dove abbiamo comprato più di quanto potevamo comprare per compensare il vuoto di un natale formidabile che non sarà mai formidabile, per gestire il caos della felicità dei film americani natalizi in cui si alternano battute a fucilate di “oh tesoro, sei splendida” e la ragazza in questione è davvero splendida: non in tensione, non in ansia e in attacco di panico, non in sovrappeso, non in sottopeso, non preoccupata, non in difficoltà economiche, non in ‘”nessuno stato che possa alterare la calma di un giorno perfetto”, abbiamo scoperto alla fin fine che le farmacie erano in deficit di Tavor orosolubile e che occorreva ordinarlo e ordinarlo per tempo perché persino la terraferma ne deficitava. Ma il tutto perfetto del natale perfetto continua a rotolare giù dal pendio in discesa e a rovinare la visione grottesca dei nostri incontri con i parenti insopportabili, delle nostre risate forzate, dei vestiti che abbiamo buttato perché non ci stavano più come quei desideri che avevamo sperato e che non si usano più. La compravendita delle cose natalizie è stata un successo persino quest’anno in cui si è brindato per lo più con oki e ibuprofene, in cui si è ballato dall’est all’ovest dell’isola senza rimpianti di lasciarsi alle spalle un anno gonfio e approcciando al nuovo con la divina e innocente speranza delle cose umane davanti agli inizi. Le strade si ripopolano così di umani dalle facce stanche o ridenti, ansiose o asciutte, calde o infreddolite e se agli inizi di natale sembrava di essere piombati in un pianeta straniero, ora sappiamo di essere tornati a casa e il supermercato tornerà a essere il luogo primario delle diseguaglianze sociali dove però il ricco e povero faranno meno caso l’uno al carrello dell’altro. Almeno fino al prossimo Natale.

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