LE OPINIONI

IL COMMENTO La cultura dell’infelicità

DI RAFFAELE MIRELLI

La fatalità, il caso, un evento che forse non ha nulla di razionale, che non è inquadrabile in un contesto sociale di relazioni e di vita: così potrebbe sembrare, a prima vista, ciò che è accaduto sul nostro territorio se guardiamo a una domenica fa, quando due nostri concittadini – uno adulto e uno giovane – hanno compiuto due gesti estremi. Siamo alle porte della tanto agognata stagione turistica, alla quale ci stiamo presentando con l’ennesima cicatrice, con la voglia di riprendere in mano la situazione, con la brama di lasciarci tutto alle spalle. È difficile riprendersi da un inverno colmo di buio, troppo. È ancor più difficile trattare un argomento del genere e portarsi sul campo della riflessione, sul campo pratico che essa ci impone. Non voglio gravare sul peso collettivo che sopportiamo insieme da mesi, piuttosto mi farebbe piacere insinuare nei lettori il ragionamento che potrebbe aiutarci a sviluppare e a praticare una realtà diversa da quella che stiamo vivendo. Anche perché mi sembra chiaro che questi gesti siano da contestualizzare in “un luogo-non luogo”, in un momento in cui l’infelicità degli abitanti diventa palese. L’infelicità nega la bellezza nella quale ci troviamo. Perché?

Sapete che negli scorsi articoli mi sono espresso con molte remore sul “sistema ischitano”, intendendo il settore economico-occupazionale, il quale rende schiavi part-time gli abitanti. Non credo sia stata una buona mossa lanciare l’isola sul mercato turistico mondiale attraverso una campagna social che – da un punto di vista logico – sembra fregarsene degli accadimenti, dicendo ai cittadini di pensare al lavoro, mentre si stanno ancora raccogliendo lacrime dal fango. Tra pochi mesi, trascorsa l’estate, vivremo l’ennesimo inverno di paure, di fiaccolate e dolori.

Fino a ora le azioni compiute sono state davvero poche e, alla vigilia delle elezioni di due dei nostri comuni, mi sembra opportuno evidenziare degli aspetti che non credo siano stati presi in considerazione dalla nostra popolazione: Casamicciola è un territorio fragilissimo – ce lo dice la storia, la natura della storia – e negli ultimi anni l’amministrazione locale è stata davvero latitante, poco capace e con rarissimi picchi di lucidità. Non devo dilungarmi molto per presentarvi la situazione. Adesso, però, temo che ci sia una ripetizione dei fatti. Vedo che i cittadini, spinti come sempre dalla paura e dal servilismo locale, votino male e non creino alternative. Anche perché – premettendo che non conosco tutti i candidati – mi sembra ci sia in atto una pericolosa inversione al passato, che nulla ha portato se non questo presente. Anzi, alcuni degli ipotetici candidati non hanno un passato chiaro. Quindi invito i cittadini a riflettere bene prima di votare. Anche perché lo sapete: votare è un “diritto” che si confonde spesso con un “favore da fare” a qualcuno. Gli abitanti di Casamicciola devono pretendere il meglio e, il futuro o la futura leader, dovrà rimboccarsi le maniche. E non lo devono pretendere solo i “casamicciolesi”, ma tutta l’isola. Soccombiamo tutti alle catastrofi e ne paghiamo tutti le conseguenze. La politica è un affare serio che, se vista come scambio di favori, porta a tutto ciò che stiamo vivendo: un luogo stupendo, di grande passato che sta diventando un comune fantasma. A me sembra davvero assurdo!

Le elezioni a Forio? Beh, diciamo che sono meno preoccupato a riguardo, ma anche nel comune turrito la storia non narra di epiche politiche democratiche (termine che ormai ci sta quasi annoiando), e anche qui il fantasma di una ripetizione tra caste, famiglie e meccanismi poco virtuosi si fa avanti. La notizia del 30% in meno delle prenotazioni: come vedete la politica delle campagne social non funziona, meglio funziona quando ci si dimentica delle cose. Noi esseri umani abbiamo notoriamente una memoria corta e, come per il Covid, tra qualche mese sentiremo i nostri operatori dire che, in realtà, la stagione turistica è decollata al meglio e che – anzi – c’è troppo lavoro. Guarda il caso… Anche quest’anno si ripresenta il fantasma della carenza dei lavoratori stagionali, altro fattore importante innescato dal malfunzionamento del nostro paese italiota. E anche in questo caso non credo che il fenomeno sia da sottovalutare. Ecco, bisogna guardare a tutti questi accadimentI con l’occhio inclusivo e metterli in correlazione.

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Sull’isola sta accadendo qualcosa di grande e probabilmente la concretizzazione del grande sentimento di insoddisfazione e insofferenza genera dei cortocircuiti imprevedibili. Concomitanti. Eppure, nel comune ischitano la voce alta del sindaco Ferrandino contro la “faccenda Siena”, il parcheggio, è stata accolta come un fresco vento di cambiamento. Fa sperare in un’inversione del “ragionamento politico”. Almeno per un secondo, per un istante ci sentiamo ascoltati. Non c’è nulla da obiettare: quell’opera è nata sotto una cattiva stella e occupare un luogo di rara bellezza come Ischia Ponte per oltre dieci anni, con cantieri irrisolvibili, corredati da tantissimi eventi dubbiosi, di natura poco chiara, non ha fatto del bene, a nessuno. In questo caso ci conviene comprendere da subito come spazio pubblico e privato siano strettamente collegati tra loro. L’azione del sindaco, ossia del Comune d’Ischia, sembra giusta! Spero che gli intenti siano dei migliori, anche perché qui – tra pubblico e privato – parliamo solo di parcheggi. Parcheggi di qua, parcheggi di là! Credo sia avvilente per noi tutti pensare che negli ultimi anni le uniche opere pubbliche siano state dedicate al traffico, ossia a una vaga risoluzione di un problema atavico isolano. Intanto innalziamo totem alla memoria dei caduti.

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Signore e signori noi le auto dobbiamo rottamarle e pretendere la rivoluzione della mobilità.

Noi dobbiamo prenderci cura della nostra isola, quando siamo “tra di noi”, nei mesi invernali e non cadere in depressioni esistenziali. Dobbiamo vivere la nostra isola con amore e senso di accoglienza, non dobbiamo “nserrare” tutti e chiuderci in casa, non dobbiamo rintanarci come orsi. Basta! C’è molta sofferenza a Ischia, molta disattenzione e menefreghismo. Dobbiamo compiere il cambiamento, creare un luogo più accogliente per noi abitanti, non solo in vista del mercato turistico: ma quante volte dobbiamo ripeterlo? Abbiamo appena trascorso un inverno – l’ennesimo – troppo duro e raccogliamo frutti marci. Qualcuno mi ammonisce e dice: “Basta, non scrivere sempre cose negative sulla nostra isola”. Figuriamoci. Vorrei iniziare i commenti parlando di idee realizzate, di un’isola che viene presa in considerazione come patrimonio dell’umanità per la sua fragile bellezza e non perché una rivista ci incorona “isola più bella del mondo”. Bella per il mercato, per gli hotel, i panorami, ma le persone qui non vivono bene. Questa politica, di cui nessuno di noi vuole occuparsi realmente, deve essere allora lasciata nelle mani di chi la gestisce in modo personalistico? E allora che cosa posso dire? Va bene così. Diciamocelo pure: va benissimo, siamo tutti felici. Invece no. Credo che gli eventi catastrofici ci stiano dicendo, raccontando di una radicata “cultura dell’infelicità”, del menefreghismo a cui ci siamo abituati. La stiamo praticando da troppo tempo!

La stiamo tramandando al futuro, ai nostri figli. Allora il punto è questo: o impariamo a vedere la connessione tra le cose che ci stanno accadendo e cambiamo, oppure continuiamo così, infelicemente belli, ma assai fessi!

* FILOSOFO

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Beta

È inevitabile la totale letargia invernale sull’isola, anzi fisiologica…
È come il bisogno di digiunare dopo un’indigestione!
Vivere come sulle montagne russe però, è una scelta non un’obbligo, perché volendo si può anche spegnere la giostra, è solo una questione di gusti!

Claudio

Complimenti finalmente uno che parla chiaro.

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