LE OPINIONI

IL COMMENTO La sovraistruzione è un problema per il lavoro?

In Italia non sono molte le organizzazioni capaci di elaborare statistiche serie con annesse analisi socio economiche. Il Centro Studi della CGIA di Mestre, che rappresenta gli Artigiani e le Piccole Imprese, è una di queste. Qualche giorno fa la CGIA ha diffuso uno studio elaborato sulle percentuali di diplomati e laureati in Italia e sul rapporto tra occupati e istruiti. In esso appare evidente il paradosso che, da un lato, siamo ancora indietro, rispetto all’Europa, per numero di diplomati e laureati: infatti il segretario della CGIA Renato Mason sottolinea che la quota di popolazione italiana tra i 25 e i 64 anni in possesso di un titolo di studio superiore risultava – al 2019 – del 62,2%, a fronte di una media europea del 78,8% . Pensate che la Francia è all’80,4%, la Germania all’86,6% e il Regno Unito all’81,1%.

A fronte di ciò, abbiamo paradossalmente 5.800.000 occupati sovraistruiti. Negli ultimi 10 anni i sovraistruiti (ovvero quelli che hanno un titolo di studio superiore a ciò che richiede il mercato) sono aumentati del 30%. Siamo i meno scolarizzati tra i principali paesi europei ma abbiamo più disoccupati o sottoccupati istruiti d’Europa. Con delle conseguenze pesanti, come sottolinea il coordinatore del Centro Studi CGIA, Paolo Zabeo: i sottoccupati demotivati e scoraggiati abbassano il livello di produttività. Ancora più interessante è l’analisi esplosa per Regione: l’Umbria ha il 33% di sovraistruiti sul totale occupati, l’Abruzzo il 30,3% mentre diversa è la situazione per le Regioni del nord Italia; il Piemonte si ferma al 22,2%,, la Lombardia al 21,2% e il Trentino al 19,3%.

Per quanto riguarda la nostra Regione, la Campania, è ad una percentuale del 25,6% (circa 425mila sovraistruiti). Per quanto riguarda l’abbandono scolastico, nel 2019, è risultato del 13,5% (561mila giovani). Naturalmente, i fattori determinanti per l’abbandono prematuro degli studi sono di natura sociale, culturale ed economico. E’ ovvio che chi nasce e vive in un ambiente sottoculturale o molto povero (come è il caso del Mezzogiorno) è svantaggiato e ha più probabilità di abbandonate la scuola prima del tempo. Interessante notare che esiste anche un fattore di genere: abbandonano gli studi prematuramente più i maschi che le femmine. Motivi? Perché il maschio, tradizionalmente, è quello che per primo deve provvedere al sostentamento della famiglia disagiata, mentre la donna – già vessata da secoli di discriminazione di genere – sente la necessità di completare gli studi per un riscatto ed un’emancipazione. Ancora da sottolineare che i lavori più presenti tra i sovraistruiti laureati sono: tecnico informatico, contabile, personale di segreteria, impiegati amministrativi. I lavori, invece per i diplomati sovraistruiti sono: barista, cameriere, muratore e camionista. Dunque, ormai da anni, l’Italia perde colpi in Europa nel rapporto istruiti-occupati e il centro-sud Italia perde colpi rispetto al resto d’Italia e all’Europa. E così la sovraistruzione risulta un handicap. Che cosa si è cercato di fare, nel recente passato, per ovviare o attenuare questo handicap? Si è puntato ad un progressivo adeguamento della scuola al fabbisogno di addetti con livelli di istruzione meno elevati e più professionalizzanti. La scuola, in tal modo, si sta gradualmente trasformando in scuola-palestra per il lavoro. E c’è chi si rallegra per questo. La straordinarietà del Rapporto della CGIA è che capovolge il paradigma: raccomanda alle piccole e medie imprese di “adeguarsi” all’istruzione scolastica, non già il contrario, che cioè la Scuola debba abbassare il proprio livello d’istruzione alle esigenze del lavoro. E come può avvenire tale ribaltamento copernicano? Proprio nelle piccole e medie imprese, dove i giovani possono e devono avere “mansioni allargate” ovvero non parcellizzate e specializzate all’ossesso, come si rende purtroppo necessario nelle grandi imprese, specie quelle multinazionali. La piccole e media impresa deve essere flessibile al massimo per potersi adeguare via via ai mutamenti del mercato globalizzato e, per acquisire flessibilità, ha bisogno di lavoratori non specializzati bensì capaci di continui adattamenti. Se ci convinciamo di tutto ciò, supereremo anche l’annosa questione se sia meglio e superiore una cultura umanistica o tecnica, se sia più utile all’occupazione l’Istituto professionale o il Liceo classico.

Anche sull’isola d’Ischia, Presidi ed insegnanti a volte si sono confrontati su questo tema che, alla luce delle precedenti considerazioni, mi sembra un falso problema. L’importante è l’istruzione, l’azzeramento della dispersione scolastica e la massima attenzione del mondo delle imprese all’evoluzione della didattica scolastica. E’ lì, in quella fucina che si forgia la futura forza lavoro e sono le imprese che, oltre ai tradizionali fattori della produzione, devono valutare le caratteristiche, le potenzialità dei giovani. Ischia non ha grandi imprese, il che può essere un male ma anche un bene. E’ un male in quanto la maggior parte delle imprese (per lo più turistiche) risulta sottocapitalizzata ed incapace di nuovi importanti investimenti. Ma può essere un bene se visto nella logica di un’occupazione istruita e flessibile capace di adattarsi al mondo “liquido” e in continua trasformazione. Ridiamo dignità alla scuola, a tutti i tipi di scuola e anteponiamola agli interessi delle imprese senza visione. Viene prima l’uomo e poi il lavoro, non viceversa!

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