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Il j’accuse di De Mita: ultimi 20 anni da cancellare

Ciriaco De Mita, 87 anni, ex presidente del Consiglio e segretario della Dc (era detto “uomo del doppio incarico”), poi Ppi, Margherita, Ulivo, Pd, Udc, ora sindaco di Nusco in sostituzione del nipote. Con un colpo a sorpresa, alle ultime elezioni Regionali Campane, molla l’Ncd di Alfano e l’alleanza di centrodestra per Caldoro (sostenuto per un quinquennio), e con la sua Udc si accorda per portare a vincere Vincenzo De Luca, 66 anni, candidato Pd, da oltre vent’anni quasi ininterrottamente sindaco di Salerno. Noi de Il Golfo abbiamo incontrato l’ex presidente con una chiacchierata molto piacevole.

  • La festa regionale dell’UdC a Casamicciola è stata una tre giorni dedicata anche ai giovani. Perché secondo lei, come peraltro in molti momenti della manifestazione è stato ricordato, le nuove generazioni sono così clamorosamente lontane dalla politica attiva e non solo?

“Questo non è un fenomeno raro, anzi si potrebbe notare una coincidenza tra la suggestione della comunicazione e l’attenzione. I giovani non sono lontani per scelta, sono lontani perché non persuasi. E dunque, anziché riflettere sulla difficoltà della comunicazione, andiamo a cadere nella trappola di semplificare il discorso riducendolo ad una mera distanza delle nuove generazioni dalla politica”.

  • Quanto incide rispetto al passato la mancanza di una formazione politica ed il fatto che ci si ritrovi ad essere attori senza aver fatto prima la necessaria gavetta e la cosiddetta scuola?

“Questo è vero e sarebbe da sciocchi negare che una certa incidenza ce l’ha. Ma la mancata formazione politica non è, come dire, il non indottrinamento dei giovani, quanto piuttosto la mancanza di idee. Questo, non a caso, è palesemente contraddetto da partecipazioni di massa degli stessi giovani quando la motivazione del loro impegno nasceva da un qualcosa che condividevano e di cui magari si occupavano con abnegazione e passione in prima persona”.

  • Per chi ha vissuto la propria giovinezza con il riferimento chiaro di partiti ben radicati sui territori e nella società civile, insomma a cavallo tra la Prima e la Seconda Repubblica, quanto può aver inciso la perdita di quegli stessi riferimenti?

“Lei in fondo, facendomi questa domanda, sta individuando le ragioni di questa disattenzione di cui stiamo discutendo. Perché rispetto alla crisi della Prima Repubblica è stata data una risposta assolutamente sbagliata: invece di capire perché ci si stava fermando si semplificò ogni forma di ragionamento, indicando semplicemente che l’alternanza – che è diventata una specie di minuetto – rappresentava il futuro mentre il passato rappresentava poco più di un errore che andava assolutamente cancellato, ed anche in fretta, senza che si potesse nemmeno metabolizzare il passaggio da una fase all’altra”.

  • Il che, alla lunga, si è rivelato un errore storico, mi pare di capire.

“Guardi, le cose stanno così. Si è pensato che mettendo l’uno contro l’altro a governare, in realtà si pensava di coinvolgere. Il risultato purtroppo, e oggi è davanti agli occhi di tutti è stato totalmente e drammaticamente opposto. Perché la gente, man mano che si è andati avanti, ha scoperto con molta freddezza che la competizione un po’ era finta e poi, particolare questo non trascurabile, interessava soltanto chi la faceva. Ma la cosa che preoccupa maggiormente è che la curiosità politica oggi non tocca più nessuno”.

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  • Siamo messi male, dunque.

“Certo, mi pare evidente. La curiosità politica, o meglio tutto ciò che gravita attorno alla politica, si è ridotta ai mestieranti. Il fenomeno che dovrebbe maggiormente preoccuparci, e che a mio avviso ancora oggi viene colpevolmente sottovalutato, è che più della metà degli elettori non va più a votare. E attenzione ai falsi alibi: non è vero che non si va alle urne perché si preferisce il mare, non vota sulla scorta di una motivazione precisa. Posso usare un termine?”.

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“La gente è letteralmente schifata dalla politica che non riesce più a intercettare, comprendere, risolvere ma nemmeno intuire i bisogni delle persone”.

  • Lei ritiene possibile un’inversione di tendenza, magari a breve termine, o con questi attori ed allo stato dell’arte parliamo di mera utopia? In fondo oggi non ci scegliamo nemmeno più gli uomini, ma addirittura liste bloccate: insomma, il fenomeno potrebbe addirittura incancrenirsi ulteriormente…

“Beh, se uno ci riflette questo non è altro che una diretta conseguenza della mancanza di idee cui facevo riferimento poco fa. Noi abbiamo teorizzato il rinnovamento commettendo un errore grave, quello cioè di ignorare che il rinnovamento stesso non è altro che il pensiero che evolve. Insomma, lo abbiamo identificato con la mancanza di pensiero ed ecco i risultati. Tempo fa si rimproverava, quando si parlava, il discorso articolato, sostenendo che era eccessivamente complesso: lo abbiamo semplificato, fino a farlo arrivare al punto di non dire niente. All’inizio sembrava che correggessimo un errore, poi col tempo abbiamo preso coscienza del fatto che in realtà che siamo davanti ad un non pensiero. E questo i cittadini lo avvertono in maniera chiara”.

  • All’appello manca la via d’uscita: qual è l’inversione di tendenza auspicata o quantomeno auspicabile?

“La previsione del futuro non è semplice. Se dovesse rimanere un sistema così, io temo che il risultato non potrà essere altro che la fine della democrazia rappresentativa, non credo ci voglia la sfera di cristallo per capirlo. Sì, davvero ragionandoci sopra resto sempre più convinto che questa conclusione sia la più attendibile. Però…”.

  • Però?

“Però poi c’è anche il dubbio dell’intelligenza. Mi auguro che facciano crescere qualcuno che finalmente possa far capire che la strada, che tutti ritengono essere quella giusta, è invece assolutamente sbagliata”.

  • Ma negli ultimi vent’anni di storia della politica italiana c’è qualcosa da salvare?

“Da salvare? Onestamente una cosa sola potrebbe essere salvata: la cancellazione dei vent’anni…”.

  • Ritorniamo alla Festa regionale dell’UdC ed a questa tre giorni ischitana. Che cosa lascia, oltre ad un ritrovato senso di appartenenza e di orgoglio verso un simbolo come quello dello scudo crociato?

“Mah, non dimentichiamo che in fondo l’appartenenza rappresenta l’identità. La cosiddetta democrazia rappresentativa è fondata sulla comune opinione. Il problema è che noi la comune opinione l’abbiamo cancellata, abbiamo di fatto azzerato anche il senso dello stare insieme e dunque l’appartenenza stessa. Vede, se due persone si mettono d’accordo per andare a cena, possono discutere sulla scelta del ristorante: ma sono accomunati da una decisione di sedersi a tavola presa di comune accordo, quindi alla fine qualunque scelta prevale si arriva alla quadratura del cerchio perché il fine ultimo è lo stesso. Ma il problema è che senza avere un pensiero e senza sapere dove andare prima o poi, inesorabilmente, ci si perde…”.

  • Vabbè, lasciamo perdere la politica perché mi pare che quella attuale l’affascina ben poco. Il nostro è un paese dalle mille risorse che però non se la passa bene. Perché?

“Su questa domanda non vorrei correre il rischio di apparire banale, noi qualche volta commettiamo l’errore di immaginare che abbiamo la capacità di governare i movimenti. In realtà invece, come succede con il corso di un fiume, basta un piccolo ostacolo per cambiare il percorso. Basterebbe aiutare i giovani a pensare piuttosto che a distrarsi, che probabilmente potrebbe nascere qualcosa di buono. E, a quel punto, dare anche una svolta al nostro paese, alla nostra Italia. Partendo da un percorso politico diverso”.

  • L’unione europea, l’Italia in Europa e l’eterno dibattito sui pro ed i contro. Qual è il De Mita pensiero?

“La cosa strana, a mio avviso, è che noi spesso parliamo di unità europea come di un qualcosa di facoltativo, che si può fare o meno. E’ come chi da bambino diventa adolescente e si pone il problema ed il dilemma legato a se debba crescere oppure magari tornare indietro. Io ricordo in maniera ancora nitida che nella mia infanzia c’era qualcuno che di fronte alle difficoltà da affrontare immaginava o sognava di poter rimanere fermo. Ma purtroppo la storia non è così: quando questo fenomeno si verifica, si diventa rachitici e purtroppo il rachitismo è una malattia”.

  • Ci troviamo su una splendida isola, c’è qualche aneddoto in particolare che la lega ad Ischia?

“Parto da un presupposto chiaro, io preferisco Ischia a Capri ma è chiaro che debbo anche spiegare la ragione. Non essendo un buon nuotatore, ad Ischia si può stare a terra e contemporaneamente anche al mare. A Capri, invece, hai a disposizione soltanto la seconda opzione. Ma mi rendo conto che questa non è una ragione che vale per tutti…”.

  • Se dovessimo chiudere questa chiacchierata con un messaggio di speranza?

“Direi che le difficoltà sono sempre un’opportunità: quando le prime sono tante, paradossalmente si moltiplicano anche le seconde. Ma bisogna saperle cogliere. Io credo che presto o tardi qualcuno finalmente dirà che camminando in una certa direzione si arriverà da qualche parte”.

 

 

 

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