LE OPINIONI

Il ritorno a Ischia e quei ricordi del passato

DI ALBERTO GRAZIANO FERRARI

Abbiamo deciso di tornare a Ischia. Una vacanza ad Ischia significa che il peggio è passato. La salute non è più il solo ed angosciante argomento attorno al quale gira la nostra vita. L’idea di tornare sull’isola mi balena guardando una fotografia. Sono immerso, fino alla cintola, nell’acqua dei Maronti e tengo sulle braccia i miei due figli. Penso che potrei farmi fotografare ora, dopo ventitre anni, facendomi tenere sulle loro braccia. Ineluttabile circolarità del tempo. Torno a Ischia con due intenti: accettarmi e riconoscere l’unico vero amore della mia vita. Intendo trovare una via di uscita dal mio  pessimismo totale. Magari perdonarmi e benedire una donna. Attuare questo proposito è forse difficile, ma perché non tentare? Ricordo che a Casamicciola dalla mia camera, alla pensione Luna di miele, vedevo incombente il monte Epomeo. Il mio posto preferito però era in giardino. Lì c’era e probabilmente c’è ancora, un sedile di cemento curvato a esse e coperto di cuscini verdi. Tre piante di mandarini gli facevano ombra. L’ha costruito il padre dell’ amico Antonio, un vero perroniano. Una brezza, dopo pranzo, invitava a dormire e io ne approfittavo. Quand’ero bimbo mia madre mi diceva che, nelle prime  ore calde dei pomeriggi d’estate, quelle brezze erano portate dalle ali di un angelo.

All’hotel San Giorgio siedo nella penombra fresca della camera e guardo il mare. La linea dell’orizzonte è talmente ampia da suggerire la curvatura della terra. Sono con tutta la mia famiglia a Barano. Mia moglie, i miei figli, le loro mogli e la mia unica, vivacissima e deliziosa nipote. In altri tempi avrei acceso una sigaretta. Ma ho smesso di fumare. Tantissime sigarette fa, andavo a prendere fresco sulla scoscesa costa del monte Rotaro. Sedevo  accanto ad un soffione gelido. Guardavo le navi che manovravano per entrare ed uscire dal porto di Ischia. Avrei acceso volentieri una sigaretta, ma anche allora avevo incominciato a resistere al desiderio di fumare. Tenevo in bocca o tra le mani, come fosse una sigaretta vera, un bastoncino di mortella. È un legno duro ed assolutamente insapore. L’ avevo scorticato e dipinto un’estremità di rosso perché assomigliasse ad una brace. La foto nell’acqua dei Maronti è il racconto di un  ricordo felice di ieri. Fissa per sempre un attimo di spensieratezza. Eravamo lontani dall’immaginare quello che sarebbe accaduto negli anni a venire. Nella nuova fotografia saranno i miei  due giovani uomini a sorreggermi. Sarà  come ammettere che è possibile rinascere. Tessere la trama di una nuova storia.

Ma quale storia è finita?. Quella incominciata sulla la scala di Santa Caterina del Sasso Ballaro. Dopo aver salito con fatica duecentotrenta gradini dell’ impervio sentiero che risale dal monastero, pensai di fare ridere mia moglie e gli amici. Feci gli ultimi dieci gradini di corsa. E arrivato in cima alla scala mi voltai e gridai, ansimante: “Visto che cuore?” La settimana dopo ero, ironia del destino, in ospedale per essere operato di un doppio by pass coronarico. Un successivo blocco renale mi ha costretto in terapia dialitica nei seguenti due anni. Io che in sessantaquattro anni della mia vita al massimo ero stato dal dentista. Ero stroncato, annientato dal mattino alla sera. Molte volte avevo rincuorato un amico. Credevo con le mie parole di sapere risollevare un infelice. Ora che il dolore capitava a me, mi schiantavo. Mi domandavo cosa avessi fatto di male per meritare quel dolore che mi cadeva addosso improvviso ed ingestibile. Di quale colpa mi ero macchiato? Mi ponevo questa domanda, pur consapevole di quanto fosse oziosa e senza risposta. Certo è falso dire che Dio non ascolta, che l’Onnipotente non presta attenzione. Ma non riuscivo a non chiedermi che gli avevo fatto perché Lui mi percuotesse? Anche se, contemplando il cielo e osservando le nubi, alte e indifferenti ai dolori umani e di tutto il mondo sotto di loro, si formava in me una convinzione: se anche pecchi, che importa a loro? Se anche  moltiplicassimo i nostri delitti all’infinito, che danno gli arrecheremmo? Se questo vale per le candide nuvole quanto sarà vero per Dio? Forse ero dentro il gran gioco tra Satana e Lui. Mi sembrava di sentire uno di loro dire: ”Pelle per pelle”! E l’Altro rispondere: “Ecco è nelle tue mani. Soltanto non esagerare…non ammazzarlo”. La malattia stravolgeva ogni cosa. Niente aveva più il significato che aveva sempre avuto. Ero in  completa balia del caos che avevo sempre cercato di arginare. Ora tracimava, da ogni parte, nella mia vita, come un’alluvione.

L’unico scoglio a cui potevo aggrapparmi era Laura. Lei non è stata mai scema come la moglie di Giobbe. Solo a lei non ripugnava il mio alito. Ricordo che quella volta per salire all’Epomeo partimmo insieme da Serrara Fontana, lungo un sentiero ripido, una vecchia mulattiera polverosa. I profumi della macchia mediterranea ed il sole stordivano. Si saliva verso la cima. Dovevamo arrivare, prima del tramonto, alla chiesa di San Nicola. Lì eravamo certi di riuscire a vedere il raggio verde. Il piccolo belvedere era gremito da giovani coppie, come noi. Avrebbero addirittura dormito lì, nei loro sacchi a pelo. Tutti desideravamo assistere al miracolo prodotto dal sole, al tramonto sul mare. Nel momento in cui s’inabissa  produce, per un attimo, un raggio verde. Se si è testimoni di quel momento si riesce a vedere dentro se stessi e a leggere nel cuore della persona che si ama. Si resta così legati per tutta la vita. La proprietaria del ristorante  Cocò Gelo, a Ischia Ponte, mi dice che dalla morte di suo padre il locale si chiama solo Cocò. Me ne farò una ragione. Resta il fatto che lì, nel mio ricordo, si mangia il miglior fritto di paranza da accompagnare con bianco Epomeo. Mentre si ride ed i giovani mi prendono in giro, io bevo felice dalla coppa di Nestore. Finalmente è il giorno della fotografia, con i miei figli che mi reggono sulle loro braccia. Una mia nuora è la fotografa. Ad un segnale  convenuto lei scatta la foto mentre i miei figli mi scaraventano in acqua. Attorno sono tutte risate. Solo la mia nipotina è triste. Prende a pugni il sedere dalla mamma e urla: “io non voglio più essere la tua bambina! Il tuo bambino adesso è il nonno. Tu devi ridere solo con me!” Corre sotto l’ombrellone inseguita da tutti noi per consolarla. Non ho il coraggio di dirle che la capisco. So che il grande desiderio, anche delle piccole donne, è suscitare sentimento. Anche per me è così. 

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Mi domando, cos’è che ci lega stretti insieme nonostante le contrastanti diversità? Per mia moglie la risposta è semplice, l’amore. E allora io di rimando chiedo: “cos’è l’amore?” “L’amore sono i gesti che si compiono per l’altro”. Ribadisce stizzita. “Dopo tutti questi anni che abbiamo vissuto insieme ancora ti chiedi cos’è l’amore?” Ma così si riconosce l’amore per i suoi effetti, ma non la sua origine. Vorrei capire da dove scaturisce questa forza misteriosa, indipendente dalla nostra volontà. Ma in fine convengo con lei che è inutile cercare una ragione metafisica per ciò che è evidente.  Lei certamente sa cos’è l’amore. Non ha avuto un attimo di esitazione quando si è trattato di donarmi un rene. Mi ha liberato dall’inferno della dialisi con un magnifico e disinteressato gesto d’amore. Credo sia proprio così. Le cause e gli effetti si compenetrano fino a diventare un’unica cosa. È nella gratuità di un gesto d’amore la causa di se stesso.

* TURISTA, RESIDENTE A LAVENO MOMBELLO (VA)

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