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Inconsapevoli ingiustizie

DELL’AVV. GENNY TORTORA

“…Le mie notti sarebbero incubo al pensiero di un innocente che sconta colpa che non ha commesso…” (Emile Zola). “ È meglio correre il rischio di salvare un colpevole piuttosto che condannare un innocente…”, sosteneva uno dei padri dell’illuminismo (Voltaire).

Tanti gli episodi di “ cattiva giustizia” che suggeriscono l’incipit: Incolpevoli Ingiustizie. Un’analisi intellettualmente attenta non deve il alcun modo generare equivoci di fondo. Partiamo col dire che uno stato democratico è tale quando l’esercizio che compie della giurisdizione, innanzitutto, quella che può limitare la libertà personale, è scevro da inquinamenti, contaminazioni di casta, da incapacità, da logiche di cooptazione a discapito dell’efficienza del sistema. Uno scrittore francese (Daniel Pennac) scriveva che “un errore giudiziario è sempre un capolavoro di coerenza…”  Sgomento, è il sentimento più forte che invade la mente e l’anima, all’esito della lettura delle motivazione depositate dalla Suprema Corte di Cassazione sul caso Meredith. Un famosissimo giornale on-line H.P. cosi esordiva pochi giorno dopo il deposito “ Nell’inchiesta clamorose dèfaillance” riportando uno dei numerosi passi della motivazione con la quale si “ annientava” il quadro accusatorio e la ricostruzione probatoria che aveva condannato i due ragazzi a 24 e 27 anni di carcere. Diversi sono stati quei giudici che avevano affermato più volte la colpevolezza della Knox e di Sollecito.

Eppure, ci sono voluti otto anni per arrivare ad una soluzione affidabile, certa. La metà di quegli anni, ben quattro, sono stati passati in carcere, un carcere duro, che ha umiliato la dignità umana. Forse in pochi sanno che il nostro paese lo scorso anno è stato condannato dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo per la disumanità delle nostre carceri per il trattamento disumano che il sistema penitenziario riserba talvolta ai detenuti. Allora, quale riflessione? In un momento storico altamente fragile e disequilibrato verso una giustizia sommaria ed innanzitutto mediatica?

Da quella triste vicenda, ed innanzitutto della morte ingiustificabile di una giovane ragazza che non è complementare alla vita ormai distrutta di due ragazzi condannati dall’opinione pubblica, quale insegnamento è possibile trarre? L’argomento ha basi rigorosamente relativistiche, ognuno di noi, in coscienza, giudica ciò che lo circonda in base al proprio codice morale, etico, forse di puro opportunismo. Ma tale soggettività non può appartenere al sistema giudiziario, tale soggettivismo non deve contaminare la mano di chi è deputato ad  indagare, a giudicare. Il nostro sistema è garantista. Un garantismo diverso da quello che comunamente e sbagliando si sostiene esser rivolto a coloro che commettono reati. Un garantismo che è garanzia del sistema stesso. In pochi sanno che il dovere di chi indaga, come chiaramente scritto nel nostro ordinamento processual – penalistico, è anche quello di ricercare elementi in favore dell’indagato e non contro. Va detto che il nostro sistema giuridico, che si rifà ad un peculiare modello accusatorio (di parità delle parti), purtroppo è influenzato da una deriva secolarizzata di interessi di parte, di conflitti fra poteri. Talvolta, la giustizia fa politica, demolisce uomini, altre volte segna i sogni di intere generazioni (in tal senso, è una fortuna). In tanti, in quegli anni novanta, di cui  siamo un po’ tutti figli, si sono sentiti “magistrati” quando due giudici venivano massacrati ferocemente solo perché volevano costruire  – per noi tutti – una società migliore, epurata dal cancro delle Mafie, del sistema Mafia – Stato. (Non vorrei sbagliare, ma ricordo che presso la Corte di Assise di Palermo si celebra un processo sulla trattativa Stato – Mafia). Eppure, dopo venti anni, non c’è ancora una verità. Oggi, si scopre che i pentiti erano falsi, forse la mafia non aveva proprio un ruolo centrale in quegli eventi tragici (quantomeno nell’omicidio Borsellino). Persone all’epoca condannate all’ergastolo poiché ritenuti responsabili, oggi sono libere! sol perché, falsi erano i pentiti, falsi erano i loro racconti. Questo è il tema dell’accertamento della Corte di Assise di Caltanissetta ove si celebra il Borsellino quater, ancora dopo venti anni. Incolpevoli ingiustizie?

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Ripensando a temi attuali, “ di questa amata terra “, mi sovvengono le parole scritte da un eminente prof. di Storia di Diritto Romano della prestigiosa Università di Napoli “ Federico II” che oltre ad essere un giurista di fama mondiale è stato un uomo di Stato (che ho avuto la fortuna di incrociare in giovane età) – spero non me ne vorrà se inopinatamente lo cito.  In un articolo pubblicato per il Corriere della Sera, nella sezione locale campana, il 16 aprile di questo anno scriveva “La Procura Incompetente”… “Perché il mancato rispetto delle norme sulla competenza del giudice non rappresenta la inosservanza di una mera regola processuale (cosa che già di per sé sarebbe grave). Costituisce gravissima violazione del principio, solennemente affermato dalla Costituzione all’articolo 25, secondo cui «nessuno può essere distolto dal giudice naturale precostituito per legge»: cioè, dal giudice legalmente istituito «prima» della commissione del fatto. Si tratta di un principio di civiltà giuridica formalizzato per la prima volta nella rivoluzione francese, e universalmente recepito dai testi costituzionali dei paesi democratici quale elemento insopprimibile del «garantismo giudiziario». Esso è, tra l’altro, espressamente sancito dalla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (articolo 6) e dalla Convenzione europea per la loro salvaguardia. Occorre che dica altro?..” Incolpevole Ingiustizia? I casi possono essere tantissimi, eppure basta cambiare prospettiva, avere occhi diversi, una cultura diversa che lo scenario cambia radicalmente, tanto da ritenere che il ricorso ad un giustizialismo schematico e seriale sia l’unico modo per salvare la nostra malata società.

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I ragionamenti possono esser tanti, purtroppo nella ancor breve vita del nostro stato repubblicano, gli esempi non mancano, sono tanti i casi insoluti, dove prima si è condannata gente non colpevole ( forse non innocente?): Piazza Fontana, il rapido Napoli – Bologna. Altri tempi, altri contesti storici. C’è chi penserà che la sequenza degli argomenti non tiene, non c’è una logica. Troppo diversi i casi, le cause. Provate a pensare che il tema centrale è sempre lo stesso. Può una società democratica fondare uno dei propri pilastri, come quello della giustizia, su un sistema fallace, i cui errori si ripercuotono sulla vita delle persone?

Sono passati, ormai, trenta anni dalla sentenza della vergogna (come recita un articolo pubblicato sul quotidiano “ il Tempo” del 18 settembre scorso che invito i curiosi a leggere). Oggi, 30 anni dopo quella condanna in primo grado che ancora grida vendetta, gli errori giudiziari sono talmente tanti che lo Stato ha speso già oltre 600 milioni di euro per ripararne una minima parte. In un dossier di errorigiudiziari.com, pubblicato proprio dal «Tempo» nel 2014, si calcolava che dal 1989, anno della entrata in vigore del codice di procedura penale Vassalli, a tutto il 2013, 50 mila persone erano state vittime della cosiddetta mala giustizia. Praticamente 2 mila ogni anno. Pochi giorni fa, il vice ministro alla Giustizia, l’On.le Costa, denunciava che: “1000 ingiuste detenzioni l’anno sono patologiche. E dove c’è una patologia, ci devono essere sanzioni.”

A questo punto, è doverosa una riflessione: Cosa ha insegnato ai posteri il caso di quel famoso presentatore televisivo?

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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