LE OPINIONI

La tristezza. Quando il dolore ci fa crescere

Continua il nostro viaggio alla scoperta delle emozioni fondamentali. Dopo la rabbia, tocca alla tristezza. Questa emozione è, nella maggior parte dei casi, connotata negativamente. “Non essere triste! Non devi piangere, non ne vale la pena. La vita è bella. Bisogna essere felici e sorridere sempre”. Quante volte abbiamo sentito frasi del genere? Eppure la tristezza, come ogni emozione, ha la sua funzione e va ascoltata e vissuta.

Cosa ci rende tristi

La tristezza è l’emozione legata alla perdita e alla mancanza. Siamo tristi quando qualcosa o qualcuno che per noi era importante non c’è più o è lontano. Ci sentiamo abbattuti quando ci rendiamo conto di cosa non abbiamo e, forse, non avremo mai. Anche il sentirsi soli, isolati, rifiutati genera in noi questa emozione. Ma a che serve essere tristi?

La funzione della tristezza

Quando un bambino è solo, stanco e si sente separato dalla sua figura di attaccamento (in genere un genitore) emette un particolare segnale, chiamato separation call o separation cry, ovvero il richiamo o pianto di separazione (MacLean, 1985). A questo segnale, la mamma o il papà accorrono per sincerarsi delle sue condizioni e per offrire conforto e cura. Il bambino è programmato per richiedere attenzione, il genitore lo è per offrirgliene. Questo sistema si è evoluto nel corso dei millenni per favorire le possibilità di sopravvivenza. Se non avessimo imparato a chiedere aiuto, gli altri non avrebbero mai potuto accorgersi della nostra difficoltà e aiutarci. Negli adulti non è ovviamente solo il pianto a segnalare che si è in difficoltà: il tono della voce, l’espressione del viso, la postura, oltre alle parole, fanno capire ai nostri simili che siamo tristi, soli, isolati, in difficoltà, e che vorremmo aiuto. Gli altri, cogliendo questi segnali, potranno fare qualcosa per noi.

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Ma non solo: la tristezza ci spinge anche a ritirarci per un po’ dalle relazioni, a restare soli nel nostro dolore. In questo stato di raccoglimento la sofferenza trova spazio per essere ascoltata, il lutto inizia ad essere elaborato.

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Le reazioni al dolore

Talvolta la reazione più automatica di fronte alla tristezza è l’evitamento: cerchiamo di sfuggire alla sofferenza distraendoci, anestetizzandoci con alcool o droghe o cerchiamo una nuova fonte di soddisfazione immediata. Altre volte invece la reazione potrebbe essere diversa: non evitare, ma al contrario ritornare più e più volte sugli stessi pensieri, ruminare sulla perdita o sulla mancanza, rinnovare il dolore e amplificarlo. L’evitamento e la ruminazione sono due strategie vantaggiose solo a breve termine: nel lungo periodo, purtroppo, si rivelano controproducenti e dannose per il nostro benessere.

Cosa fare allora quando ci si sente tristi?

La prima, e forse la più importante cosa da fare, è ascoltare il nostro dolore. Come ogni emozione, anche la tristezza ci segnala qualcosa. Dobbiamo prendere atto del fatto che qualcosa manca nella nostra vita, che c’è un’assenza importante o che abbiamo subito una perdita. Questa emozione ci fa prendere consapevolezza del fatto che ci troviamo in una condizione di vulnerabilità, che ci sentiamo fragili e che desidereremmo essere aiutati, ascoltati, accuditi. La tristezza, con le sue espressioni (il pianto, la mimica facciale, la postura, il tono della voce) segnala agli altri la nostra condizione di fragilità e li incoraggia ad offrire il loro aiuto. Non dobbiamo quindi vergognarci di chiedere il conforto dei nostri cari. La tristezza ci permetterà di elaborare ciò che stiamo vivendo. Attenzione però a non cadere nella trappola della ruminazione: quando il tempo passa e   i vissuti dolorosi sono richiamati alla mente continuamente, non si fa altro che rinnovare il dolore e riaprire una ferita. Facciamo attenzione anche a quando lo facciamo con gli altri: parlare ancora e ancora di ciò che ci angoscia, lamentandoci e coinvolgendo le altre persone, non ci aiuta affatto. Si tratta di una co-ruminazione e ci impedisce di superare il dolore.

Lasciare andare il dolore

Quando abbiamo preso atto di ciò che ci addolora e abbiamo chiesto e ottenuto il supporto emotivo da parte dei nostri cari, arriva il momento di realizzare un altro passo, forse il più difficile: lasciare andare il dolore, fare un bel respiro e portare la nostra mente da un’altra parte. Distrarsi e tenersi impegnati, soprattutto in attività piacevoli e ricreative, ci aiuterà ad impedirci di ruminare per ore. Se queste soluzioni dovessero essere inattuabili, è anche possibile prendere in considerazione la possibilità di intraprendere un percorso psicoterapeutico e farsi aiutare da un professionista.

In conclusione

La tristezza non va soppressa né zittita. Come tutte le emozioni, va ascoltata e lasciata libera di fluire. L’unica cosa da evitare è che, con il suo continuo attivarsi, ci impedisca di vivere serenamente e ci impedisca di attingere alle nostre risorse per ottenere i risultati che desideriamo raggiungere nella vita.

Articolo scritto dalla dottoressa Tiziana Di Scala (tel: 3208531292)

“Liberamente” è curata da Ilaria Castagna, psicologa, laureata presso l’università degli studi de L’Aquila, specializzanda presso la scuola di Psicoterapia Cognitiva Comportamentale di Caserta A.T Beck.

Tel:3456260689

Email castagna.ilaria@yahoo.com

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