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La promessa di Emiddio: «Il Calise? Chiuderà solo alla mia morte»

ISCHIA. Questa non è un’intervista. O meglio non nasce come intervista. Questa è una chiacchierata, è il desiderio di curiosità e conoscenza – fonte alla quale ogni giornalista è portato ad abbeverarsi quasi come l’avesse nel dna – che ci ha spinto a capire se Emiddio Calise, che ad Ischia è un nome ed un’icona al punto di non aver bisogno di presentazione alcuna, avesse davvero in animo di mettere a segno quanto riportato sul web nell’imminenza della celebrazione del Premio Fedeltà, svoltosi proprio presso il suo “O’ Spasso”. Sono le 14 (orario non proprio consono per non dire inopportuno), quando ci presentiamo al Bar Calise di Piazza degli Eroi e chiediamo di conferire con quello che scherzosamente definiamo “il grande capo”. Ci accompagnano al piano superiore, dove ci accomodiamo al tavolino e rifiutiamo di tutto, dall’aperitivo al pranzo al caffè. Siamo gente che sa godere di certi piaceri, meglio non incontrare distrazioni lungo il cammino. Il nostro interlocutore chiede subito lumi su quanto riportato nel mondo virtuale e dopo la nostra risposta ci guarda con un sorriso amaro: «Vedi, Gaetano, il problema è che oggi un profilo Facebook è un qualcosa che gira in tutto il mondo». Non che non lo avessimo capito da soli, ma quando parla Emiddio c’è solo da annuire, punto e basta.

Vorremmo andare subito al sodo e gli chiediamo di ripetere per filo e per segno le parole pronunciate giovedì sera, ma è troppo grande la voglia di riannodare tutti i fili del discorso e partire da lontano. E ascoltarlo, credeteci, ha davvero il suo fascino. «Parto da un presupposto, gli albergatori sono tutti miei amici. Poco prima che arrivassi tu, ho parlato con uno di loro. Gli ho detto che oggi per alloggiare in quello che fu il Jolly Hotel si pagano 40-50 euro al giorno, e con quei soldi fai il pascià in pensione completa e puoi usufruire di una serie di servizi come bagni, piscine e quant’altro. Il problema è che se vieni da Calise e vuoi mangiare, quei soldi ti bastano per un pasto. Quel tipo di cliente non verrà mai qui o al massimo lo farà per sorseggiare un caffè e andare via. La clientela che c’era prima era di ben altro spessore, parliamo di gente che alloggiava in mezza pensione e la sera veniva da Calise ad ascoltare buona musica. Qualcuno mi dice che un determinato tipo di turismo non esiste più, io gli rispondo che però nel resto del mondo continua ad esserci. Mi chiedo come mai…».

Emiddio prosegue raccontando ancora quanto accaduto mercoledì e non lesina bordate all’indirizzo dei sindaci e degli operatori turisti presenti in sala, su cui vi risparmiamo una serie di dettagli giusto perché a Natale vogliamo essere tutti più buoni. Poi si arriva al momento legato all’intervento di Calise che lo stesso racconta così. «Mi ero temporaneamente allontanato dalla saletta tornando al Bar, quando la presentatrice della serata mi ha avvicinato dicendomi in maniera chiara: “Signor Calise, stavolta non può tirarsi indietro, deve dire quattro parole”. Nello stesso tempo Peppe, un mio dipendente che doveva essere premiato, ha insistito perché lo accompagnassi. E io non ho potuto esimermi…».

E che cosa è successo a quel punto?

«Sono arrivato e mi hanno accolto con tutti gli onori e le manfrine del caso, dicendo che finalmente erano riusciti a portarmi sul palco. Io però sono stato subito perentorio e ho detto che la loro non era stata una buona idea: ho spiegato di essere vecchio, stanco e di non avere una grossa stima dei presenti. Ai sindaci ho imputato una serie di responsabilità nella gestione del paese, ma anche con gli albergatori sono stato tutt’altro che tenero, ricordandogli che anche nelle trasferte all’estero i risultati conseguiti sono stati a dir poco scadenti. Avete offerto alberghi lussuosi che poi il cliente ha trovato mediocri e i risultati credo siano evidenti. E poi è successo quello che è successo…».

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«Mi sono rivolto ai presenti in sala e ho detto: guardate, io sto per chiudere».

Ecco, quindi l’avete detto?

«Certo, ma ho anche spiegato che sono stanco di rimetterci sempre. Le mie difficoltà economiche le conoscono tutti, ma a me non fanno paura. Mi vendo un’altra proprietà, se lo riterrò necessario, ma qui non chiuderò mai. Questa è la mia origine, è stata la mia storia, la mia vita: si chiuderà quando muoio».

Permettetemi la domanda, per quanto forse intima e personale. Ma perché un pezzo di storia della nostra isola deve chiudere quando lei, ovviamente tra cent’anni, passerà a miglior vita? Perché non passare la mano, in fondo avete anche dei nipoti…

«I miei nipoti in questo momento sono qui, ad Ischia, al Bar, abitualmente stanno in Australia. Uno di loro dirige un grande complesso in Australia. È venuto qui per rendersi conto personalmente della situazione ma ritiene che non ci siano l’educazione giusta e i presupposti per realizzare qualcosa di proficuo. Poi c’è la donna, l’altra mia nipote che ha cinque meravigliosi figli: sono rimasti un anno nella mia casa di Casamicciola lo scorso anno, poi il più grande di loro doveva terminare gli studi in Australia e non ha voluto far ritorno qui in Italia. Un altro si è fidanzato ed a quel punto mia nipote ha dovuto abbandonare Ischia, non avendo alcuna intenzione – ed è assolutamente comprensibile – di dividere la famiglia. Insomma, non corrisponde assolutamente al vero il fatto che non abbia mai voluto passare la mano ai miei congiunti, nulla di più falso».

Mi permetta un’ultima domanda, in fondo in tempi più o meno recenti se ne è parlato tanto, forse troppo. Ma c’è stato davvero un momento in cui il Bar Calise è stato vicinissimo dall’essere ceduto?

«Mai. Ho ricevuto tante offerte, in alcuni casi avrei potuto anche scrivere la cifra, mettere tutto io nero su bianco. Calise fa gola a tutti, c’è stato anche chi ha proposto una compartecipazione, dicendosi disposto a lasciarmi dentro fino alla mia morte, ma non ne ho voluto sapere. E non me ne pento».

Gaetano Ferrandino

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