LE OPINIONI

IL COMMENTO Tutte le anomalie del natale 2021

DI ELENA WHITEHEAD

È passato il Natale. La ricorrenza più amata di sempre, quest’anno, l’abbiamo vissuta piuttosto in sordina. Nella parte costiera del nostro Paese, le luci hanno ornato le case lontane e quelle vicine, ma, all’interno, gli addobbi sono stati appena accennati. A dar significato alla festa, un albero scarno, un presepe ristretto, senza la musica delle zampogne. Per strada, gli auguri a distanza erano solo il ricordo di un tempo nel quale gli abbracci donavano amore ed i regali portavano il segno di chi offre e riceve con la gioia nel cuore. Il pranzo della Vigilia, la tavola di Natale ed il cenone di San Silvestro sono stati segnati dalla brevità. Mancava l’attesa degli amici in arrivo, del parente più caro che ogni anno veniva da tanto lontano. Soltanto nella notte del 31 dicembre si son visti salire al cielo zampilli, cascate e fontane di luci, quale voglia tangibile di una ripresa sperata, invocata e perfino gridata. Questi fuochi, però, erano anche l’effetto di forze congiunte per dare l’ultimo colpo ad un anno difficile che finalmente imboccava l’uscita.

Ognuno era chiuso nel suo piccolo mondo. Nemmeno per posta si voleva comunicare. Per questo, ci sono tanto mancati i biglietti di auguri dall’America, Olanda e Inghilterra, che ogni anno, disposti a festone, trovavano luogo sulle pareti intorno al presepe. Né c’era, nell’animo triste, la voglia di ascoltare le musiche dolci che richiamano in vita i ricordi sopiti. Se col cuore leggero, la festa è più vera, quest’anno non è stato così. Tra vaccini, tamponi e varianti non c’era spazio per la tombolata, fosse stata pure “la Scostumata”. Tra i pensieri incupiti non sempre c’era un sorriso che fosse sincero. Non si era sereni. Mangiando, parlando ed anche brindando, ad un tratto, c’era chi chiedeva notizie su Omicron, la quarta dose ed il nuovo farmaco antivirale. Né alcuna evasione poteva dare la televisione che gira e rigira aveva sempre qualcosa da dire sulla pandemia. I virologi continuavano la consueta sfilata integrando e rimodulando le vecchie certezze senza dare l’atteso conforto.

Nel porre lo sguardo sulle zone pedemontane, a più di quattro anni dal terremoto, c’era ovunque desolazione. Piazza Bagni, Casa Rivera e dintorni, La Rita, Piazza Maio ed in parte La Sentinella continuano a dare l’immagine spenta delle rovine. Di giorno qualcosa si muove: un muratore dal passo veloce, un tecnico che affanna gravato da borse e faldoni ed intorno movimenti furtivi di chi non si arrende al degrado e dà l’impressione di una ripresa, ma è solo un sembrare perché il tutto è ancora da fare. La gente si illude. Basta poco per farla sperare. Si cerca un appiglio per risollevarsi, ma la risalita è ancora lontana. Ed intanto, dalle finestre vedo persone che hanno la casa tra le macerie. Nel loro avanzare, il volto è severo, il passo pesante, le spalle ricurve. In esse io vedo i figuranti della “Passione”. Per loro chiediamo, all’anno appena arrivato, la sospirata ricostruzione e per tutti il ritorno della salute con la perduta serenità. Speriamo che tra dodici mesi ritorni il nostro Natale con i presepi e i tanti pastori, le luci dell’albero grande, le care zampogne col suono più antico. Vorremmo sui tavoli, di nuovo allungati, che col capitone non manchi la pace e che ovunque ritorni l’abbraccio di un tempo con i canti corali intorno al presepe.

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