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MA IL POPOLO CI AZZECCA SEMPRE?

Frequento Facebook per via indiretta, senza avere un mio profilo e senza avere voglia di esprimere, in tale sede, le mie opinioni (preferisco la carta stampata). Riconosco, però, la capacità di alcuni soggetti di riuscire ad esprimere serenamente sui social le proprie opinioni, nonostante le incursioni rozze e fastidiose dei molestatori mediatici di professione. Cito, ad esempio, Lello Montuori che se – a livello comunale – appare, per dovere istituzionale, più prudente e controllato, risulta invece disinibito, franco, riflessivo e colto nell’esprimere opinioni su fatti di interesse generale riguardanti la politica, la società, la religione ed altri aspetti fondamentali della vita. Le sue riflessioni mi trovano quasi sempre d’accordo ma, in particolare, vorrei soffermarmi su un post del 7 marzo, a proposito del dopo elezioni e delle scelte che dovrebbe fare il PD, dopo la batosta elettorale. Lello avverte “un senso di profonda alterità dal Movimento 5 Stelle o meglio di distanza da molti dei suoi esponenti ed elettori”. La penso allo stesso modo, mi permetto solo di osservare che la dizione “movimento” non si addice più ai 5 Stelle. Ora sono un partito politico a tutti gli effetti e, per giunta, un partito fortemente “personalizzato”, come va di moda. Addirittura il M5S è “bipersonalizzato”: il capo politico è Luigi Di Maio che sta via via assumendo un atteggiamento borioso, simile a quello che ha già decretato l’insuccesso di Matteo Renzi  e c’è poi un capo “visonario”, come Beppe Grillo, la cui ultima apocalittica previsione è che “ il lavoro è finito, comincia l’epoca del reddito garantito per nascita”. Insomma una sorta di “pensionamento a vita”. Nessuno deve avergli detto che una società “inattiva”, senza stimoli, senza ambizioni, senza concorrenza, è una società morta.

Ma torniamo a Lello Montuori e al suo post. Egli ritiene che il PD farebbe bene a non restare alla finestra e ad agevolare (con appoggio esterno) la nascita di un governo 5 Stelle. La motivazione è di ordine legislativo, in quanto l’attuale legge elettorale Rosatellum, con la quota di proporzionale e senza premio di maggioranza, di fatto ci consegna una situazione di stallo tripolare. E dunque, il terzo polo, per quanto ridimensionato e sconfitto, non può considerarsi del tutto “fuori gioco”. C’è poi una considerazione psicologica: “la politica non si fa con le ripicche. Quelle delle zite puntigliose”. Il ragionamento non fa una grinza. Eccepirei due perplessità (riconosco: non decisive e sostanziali). La prima: ciò presuppone che consideriamo i 5 Stelle preferibili e diversi rispetto al centro destra . Seconda: un’agevolazione del PD nella nascita di un governo 5 Stelle, rischierebbe di ritardare un processo autocritico e di rifondazione dei valori fondanti del partito di sinistra. Certo, gli interessi generali devono prevalere su quelli particolari di una forza politica, ma un PD così malridotto e disorientato è utile al Paese? Io penso di no. Quanto al fatto che è meglio un appoggio ai 5 Stelle che al centro destra, ci andrei cauto. E’ vero che gli analisti hanno verificato come moltissimi ex elettori del PD sono trasmigrati nel M5S, ma davvero riteniamo che le principali opzioni programmatiche dei grillini siano preferibili e diverse da quelle del centro destra e più specificamente della Lega?

Per quanto riguarda la politica di integrazione europea, degli immigrati, l’atteggiamento verso la medicina e la scienza ufficiali, la retorica dell’onestà e degli sprechi dei politici (ma l’auto blu con i vetri fumé di Di Maio o l’albergo a 5 stelle per le riunioni di partito, non sono di certo francescani come la morigerata Merkel) questi non sono forse temi che apparentano la destra di Salvini e i 5 Stelle? Ma il punto che più mi stuzzica, delle riflessioni di Lello Montuori, è quando scrive: “Pare che il popolo, quando si pronuncia, abbia sempre ragione. Si badi bene, non per me. Perché mi picco di non pensare affatto che il popolo abbia sempre ragione. Ma per la gente sì”. Questa è un’affermazione coraggiosa, soprattutto se esternata sui social. Si rischia di scatenare una canea. Dirò la mia con altrettanta sincerità di Montuori; con un vantaggio a mio favore: che perlomeno le eventuali proteste non possono manifestarsi in tempo reale. Io penso, come Winston Churcill e come Karl Popper che la democrazia sia la peggiore forma di governo ad eccezione di tutte le altre forme conosciute. Che abbia cioè i suoi inconvenienti, ma che – nel complesso – è la forma che meglio preserva gli interessi collettivi.

Tra gli inconvenienti c’è anche quello di possibili errori di valutazione degli elettori. Vox populi non è sempre Vox Dei. La locuzione medioevale del britannico Alcuino a volte si rivela fallace. Possono subentrare, nelle scelte., fattori emotivi, condizionamenti esterni, che fanno fare scelte di cui lo stesso popolo può successivamente pentirsi. Tuttavia, non si può non tener conto di come il popolo si è espresso. “Tenere conto” è però un concetto relativamente elastico. Alla fine spetta ai rappresentanti, alla élite politica, calibrare in che modo e in che misura si può soddisfare le aspettative popolari, senza creare problemi di bilancio, di equilibri sociali, economici e finanziari del Paese. A questo proposito devo citare una bella lettera di un cittadino della provincia di Lucca e un’altrettanto bella risposta di Corrado Augias su Repubblica. Il lettore scrive: “vacilla la fede nel suffragio universale, vacilla la fede che democrazia e progresso coincidano”. Poi aggiunge che il binomio democrazia- progresso se rimane valido per le classi dirigenti intellettuali, politiche e anche economiche, non si può dire altrettanto per il popolo votante.

Augias risponde: “E’ intoccabile il diritto di tutti a partecipare alle decisioni collettive, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali, come sancito dall’art, 3 della Costituzione. Tuttavia il male c’è. Le ambizioni politiche generali sono cambiate, la comunicazione, a partire da quella politica, è stata rivoluzionata, è venuta meno  la funzione mediatrice-educatrice dei grandi partiti di solida cultura politica, è scomparsa la fiducia nelle élite, sostituite dalla diffusa arroganza degli incompetenti”.  Ma Augias osserva giustamente che se l’analisi è largamente condivisa, difettano le proposte per eliminare i mali della democrazia. Ci ha provato, ci informa Augias, un pensatore politico americano: Jason Brennan, con un saggio dal titolo forte: “Contro la democrazia”. Brennan propone di sostituire l’attuale sistema democratico con una “epistocrazia”, vale a dire una democrazia degli informati. Con questo non s’intende privare del diritto di voto il cittadino qualunque. Piuttosto si pensa a limitare l’universalità del voto referendario o di natura simile, su aspetti tecnicamente molto complessi e non alla portata di tutti.  Per esempio, non ha senso chiamare tutti i cittadini ad esprimersi a favore o contro l’euro, le cui  conseguenze non tutti sono in grado di valutare. Ma il partito di Di Maio accetterebbe l’epistocrazia? O rimarrebbe vincolato alla democrazia del web? Mi piacerebbe che gli uomini pensanti, come Lello Montuori ,si esercitassero su questo dilemma.

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FRANCO BORGOGNA

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