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TTIP: A RISCHIO LA SICUREZZA ALIMENTARE?

La sicurezza alimentare resta un tema molto sentito e che, in base alla definizione sintetica dell’Unione Europea e dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), rappresenta una responsabilità condivisa dai campi alla tavola.Le procedure di sicurezza alimentare dell’UE riguardano tutta la catena di produzione degli alimenti destinati al consumo animale e umano. L’Unione Europea fornisce una legislazione esaustiva e delinea le responsabilità di produttori e fornitori per contribuire a garantire la qualità e la sicurezza della catena alimentare.

In questo senso si è affermata una dimensione “etica” dell’alimentazione, che ha portato ad una maggiore attenzione sulle modalità di produzione e di consumo del cibo, nel rispetto della tutela della salute, della qualità degli alimenti e delle dinamiche commerciali europee ed internazionali.
La politica dell’ UE per la sicurezza alimentare prevede una stretta normativa che riguarda l’intero ciclo della filiera e punta a garantire la sicurezza dei generi alimentari e dei mangimi; elevati standard di salute e benessere per gli animali e di tutela per le piante; informazioni chiare sull’origine, il contenuto e l’uso degli alimenti. Inoltre comprende: una legislazione esaustiva sulla sicurezza degli alimenti e dei mangimi e sull’igiene alimentare; valida consulenza scientifica sulla quale basare le decisioni; controlli e verifiche serrate. Purtroppo, nonostante queste regole in materia siano le più rigide e sicure al mondo, la tranquillità del nostro continente è di recente stata turbata dalla notizia della negoziazione di un accordo commerciale segreto fra l’UE e gli Usa chiamato TTIP. Il TTIP, “Transatlantic Trade and Investment Partnership”, è un trattato di liberalizzazione commerciale transatlantico che ha l’intento dichiarato di modificare regolamentazioni e standard (le cosiddette “barriere non tariffarie”) e di abbattere dazi e dogane tra Europa e Stati Uniti, rendendo il commercio più fluido e penetrante tra le due sponde dell’oceano. Vale a dire, abbattere le norme e i requisiti che i prodotti devono rispettare per poter accedere ai mercati e queste norme ovviamente non sono un semplice atto di protezionismo, ma hanno uno scopo ben preciso: tutelare l’ambiente, la salute umana e la sicurezza alimentare.

I benefici del TTIP per lavoratori e famiglie saranno minimi, ma quelli per i grandi attori economici saranno enormi. Nel trattato la tutela di ambiente e salute non è nemmeno nominata, facendo quindi mancare qualsiasi meccanismo capace di bilanciare almeno in parte lo strapotere del libero mercato. Dal punto di vista della sicurezza alimentare il nodo della questione è palese: le norme europee in termini di sicurezza alimentare, per quanto eterogenee, sono in media enormemente più stringenti di quelle americane. Unificando i mercati e abbattendo le barriere legislative il TTIP aprirebbe le porte dei nostri mercati non solo a prodotti trattati con i pesticidi, ma anche a prodotti OGM o contenenti sostanze da noi vietate, con standard per le etichette troppo poco trasparenti per una corretta informazione. Il TTIP permetterebbe ai colossi americani dell’agroalimentare di “sfondare” le difese europee della sicurezza alimentare e vendere ugualmente un prodotto che abbiamo bandito dai nostri mercati, con la possibilità di denunciare chiunque legiferi contro per violazione del trattato.  Il dato sconcertante che emerge da queste informazioni è come vengano considerati il diritto alla salute e all’ambiente dai grandi mercati internazionali, ossia meri ostacoli al profitto.

E allora, su cosa non possiamo né dobbiamo cedere?

Il principio di precauzione. Dopo lo scandalo della “mucca pazza” l’Europa si è dotata di un sistema legislativo piuttosto rigido sulla sicurezza alimentare: se c’è un rischio molto elevato che un prodotto possa far male, le autorità possono intervenire in attesa di accertamenti scientifici; negli States, invece, vige il principio praticamente opposto, per cui alimenti e procedure sono sicuri fino a prova scientifica contraria.

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Severità sulla filiera. In Europa la sicurezza alimentare deve essere garantita lungo tutta la filiera produttiva, “from farm to fork” (dai campi alla tavola), con prerequisiti igienici dei produttori, tracciabilità del prodotto ecc.; il sistema Usa, invece, verifica per lo più la sicurezza del prodotto finito (ecco perché i trattamenti di decontaminazione chimica delle carni, come la clorina, sono così diffusi). Un cambio di approccio non sarebbe ammissibile.

Meno potere alle imprese. Anche le procedure di controllo sono diverse: le autorità americane si fidano molto delle aziende, che possono autodichiarare la sicurezza dei prodotti informandone la Fda (Food and Drug Administration), che non ha alcun obbligo di rivedere la loro valutazione.

In Europa, invece, i prodotti regolamentati (ad esempio gli Ogm) vengono autorizzati solo dopo i controlli dell’autorità competente, l’Efsa (European Food Safety Authority) e dopo l’approvazione della Commissione Ue, del Parlamento e dei singoli Paesi membri.

Niente ormoni nella carne. In Europa è proibito somministrare ormoni al bestiame per farlo crescere di più, perché mancano sufficienti studi circa la loro sicurezza. Negli Usa invece è ammesso l’uso di queste sostanze che riducono i tempi di allevamento e quindi fruttano moltissimo alle industrie. Il nostro divieto si applica naturalmente anche alle importazioni: nonostante le insistenti richieste degli Usa, la carne americana che si vende da noi, è solo quella che rispetta i nostri standard. Esigiamo che continui ad essere così.

Meno antibiotici. Negli allevamenti americani gli antibiotici possono essere usati in dosi maggiori, anche per far crescere di più gli animali.

In Europa i limiti sono più restrittivi e questi farmaci possono essere usati solo per proteggere il bestiame dalle malattie. Il problema legato agli antibiotici comunque sussiste: quello che sta succedendo è che usandone sempre di più negli allevamenti, i batteri diventano sempre più resistenti e questa resistenza può trasferirsi anche agli antibiotici usati per gli uomini, che perdono il loro effetto (25mila morti all’anno in Europa e 23mila negli Stati Uniti per problemi legati alla restistenza dei batteri).

Da tempo chiediamo all’Ue ancora più severità, figuriamoci se potremmo mai accettare una deregolamentazione per far entrare più carne americana.

Pollo igienizzato con la clorina. Per eliminare i batteri, negli Usa, le carcasse del pollame vengono disinfettate con prodotti chimici come il cloro. Una procedura vietata per l’Ue che, sempre sulla base del principio “farm to fork”, deve garantire l’igiene a monte, con severi regolamenti da rispettare negli allevamenti e nel trasporto.

Oltre a non esserci certezza sulla sicurezza di questi trattamenti, è proprio il principio che riteniamo scorretto. Non si può pensare di tralasciare l’igiene nella filiera, perché tanto poi la carne verrà lavata prima della vendita con disinfettanti chimici.

Questi e molti altri principi sono elementi che compongono il nostro diritto alla salute che è un bene primario, indisponibile e non vendibile.

Ed inoltre, volendo vedere anche il risvolto venale del TTIP, quale reale vantaggio ci sarebbe a guadagnare di più sui mercati a costo della salute e dover quindi rispendere gli stessi soldi in termini di sistema sanitario nazionale per curare la popolazione?

Possiamo davvero sacrificarci sull’altare del libero mercato? La risposta è NO, soprattutto se il tutto avvenisse a prezzo di svendita, visto che così facendo rinunceremmo al principio per cui vengono prima le persone piuttosto che i profitti in cambio di benefici fruibili solo dalla minima percentuale di ricchi industriali e finanzieri.

Difendiamo il nostro cibo, difendiamo la nostra salute, difendiamo il Made in Italy.

 

*** Biologo Nutrizionista Spec. In Biochimica Clinica

 

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