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Quel masochismo tutto ischitano

Sarò sincero: quando ieri sera a un certo punto i riflettori si sono spenti su Ischia e come in una ideale staffetta il sipario si è aperto sulla Sicilia, ho tirato un sospiro di sollievo. Un po’ come quando stai perdendo una partita di calcio 5-0 e non vedi l’ora che l’arbitro fischi la fine (a proposito di pallone, meno male che ieri sera il posticipo di serie A era la partitissima Milan-Juve e non Frosinone-Empoli, almeno abbiamo limitato i danni…) per chiudere un’agonia alla quale proprio non puoi sottratti. “Non è l’arena”, è questa la trasmissione che domenica sera su La 7 si è occupata del “caso Ischia”. Che detto per inciso un’arena lo è diventata per davvero per colpa di chi ormai ci tiene “puntati” e trova buona ogni occasione per fare questo squallido e discutibile gioco al massacro, (in)degnamente spalleggiato da chi invece riesce ad essere così masochista da fustigarsi da solo. Perché su una cosa, prima di proseguire nel ragionamento, bisogna essere chiari: certa stampa sta artatamente strumentalizzando questa vicenda – e in taluni casi in una maniera che definire oscena sarebbe un eufemismo – ma dall’altra parte della barricata bisogna riconoscere che noi isolani siamo animati da una dose di masochismo che senza dubbio è da guinness dei primati. E da psicanalisi.

Ma dico, senza offesa alcuna, voi l’avete visto il signore che si è vantato che da queste parti si tiravano su le case abusive nello spazio di 24 ore? Parole pronunciate con lo stesso entusiasmo ed orgoglio di chi magari è riuscito a portarsi a letto per una notte Miss Mondo. In una puntata che è stata una perenne coltellata al cuore per chi ama Ischia, credo che quel preciso momento abbia mostrato all’Italia intera la nostra peggiore fotografia. E non pensate che un elemento del genere costituisca l’eccezione. A proposito, ci si lamenta del politico di turno, che avrebbe invogliato il cittadino a costruire promettendogli poi l’impunità e dunque la certezza che non sarebbe stato perseguito. Per carità, per dirla alla Montanelli ci tocca turarci il naso nel dover almeno in parte (e ci piace sottolineare “in parte”) difendere chi ha amministrato questo scoglio negli ultimi lustri, ma è il caso che noi ischitani nemmeno ci proviamo a fare gli gnorri scaricando su terzi responsabilità che quantomeno ci vedono implicati per il reato di “concorso di colpa”, e questo a voler essere generosi. Negli anni in cui c’è stato il cosiddetto sacco edilizio, è accaduto l’inenarrabile e non si venga a raccontare che tutti avevano il culo coperto, è una favoletta alla quale non crederebbe nemmeno il più ingenuo dei bambini. Ognuno di noi ha costruito punto e basta, fottendosene di eventuali coperture politiche.

Insomma, stendiamo un velo pietoso e passiamo appresso. Perché poi – proseguendo sulla falsariga delle nefandezze – potremmo parlare del barcaiolo che si diverte a portare in “tour” il giornalista raccontando questo e quello, senza nemmeno guadagnarsi il quarto d’ora di gloria visto che ha chiesto e ottenuto pure di rimanere nell’anonimato. Insomma, siamo sotto attacco ma se a questo punto finiamo pure col metterci del nostro, allora è chiaro che non resta che alzare bandiera bianca e arrendersi senza condizioni ad un nemico difficile da combattere. A scanso di equivoci faccio una considerazione: qualcuno potrà obiettare che non è nascondendo i nostri “peccati” che possiamo pensare di risolvere un problema e su questo non ci piove. Ma l’abusivismo edilizio, come confermano i numeri, è un fenomeno che investe in maniera pesante anche il “civilissimo” nord Italia, dove forse però sono un po’ più intelligenti di noi ed evitano di “evirarsi” con le proprie mani.

Il resto è stato davanti agli occhi di tutti. Dinanzi ad un format che era già stato costruito in maniera pretestuosa, Giacomo Pascale ha fatto di tutto per provare a smontare una serie di teoremi che non hanno né capo né coda (quanto ci vorrà a far capire a questi soloni dell’informazione che non siamo davanti a un nuovo condono o peggio ancora a un condono tombale?), altrettanto hanno provato a fare Arnaldo Ferrandino e Annalisa Iaccarino. Ma quella che è mancata è stata una adeguata regia: chi ha scelto nomi, cognomi e caratteristiche dei cittadini che dovevano essere presenti domenica sera in zona rossa? Chi li aveva adeguatamente indottrinati sui tasti sui quali battere? Con tutto il rispetto e la stima che nutriamo nei confronti di qualche amministratore di vecchissima data, forse era il caso che lo stesso (vabbè, nome e cognome Parisio Iacono) rimanesse davanti alla televisione, per evitare di fare ulteriori danni. Il resto è poca roba. Giletti ha fatto quello che doveva, e a un certo punto l’assist che gli ha fornito il nostro cittadino che ha inteso “spararsi la posa” sulla casa costruita in 24 ore rappresentava un boccone sul quale lanciarsi in maniera famelica (non farlo, detto da giornalista, sarebbe stato da stupidi) mentre ascoltare Dino Giarrusso fare una disamina quanto meno esaustiva ed obiettiva della problematica lascia intendere che finché c’è vita c’è speranza.

E poi c’è lui, Antonio Di Pietro, ex magistrato, l’uomo che con Mani Pulite ha fatto la guerra alla politica distruggendo la Prima Repubblica, prima di entrarci anche lui, in politica. Ci ha definito abusivi, ha detto che condono o meno non bisogna assolutamente dare un contributo agli isolani per ricostruire la casa distrutta dal terremoto, ha parlato di nuovo condono ignorando che il riferimento era agli immobili in attesa di concessione in sanatoria per il 1985, 1994 e 2003. Ha avuto finanche l’ardire ci citare che gli ischitani non pagano tasse senza sapere che per case non ancora regolarizzate, e che forse regolarizzate non lo saranno mai, è stata versata regolarmente l’Imu, la Tari e tutta un’altra serie di tributi. Pensare che quest’uomo resterù sui libri della storia d’Italia, francamente, fa venire i brividi. Ma fortunatamente siamo agli sgoccioli, il Senato discuterà e approverà il cosiddetto Decreto Genova e magari finalmente potrà tornare il silenzio e calare il sipario. Con sommo dispiacere di qualche nostro compaesano che non potrà più fare danni, nella speranza che chi li ha prodotti avesse almeno la capacità di intendere e di volere. Forse sarà tutto finito. Forse.

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gaetanoferrandino@gmail.com

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