LE OPINIONI

IL COMMENTO La bagarre di Lacco è figlia dell’epoca

Dai commentatori dell’informazione ai preti delle Chiese, tutti hanno provato a sedare gli impulsi odiatori accesisi in quel di Lacco Ameno. Scambio di accuse, il paese spaccato a metà, famiglie dilaniate. Ad onor del vero, negli ultimi giorni, c’è stato un affievolimento della polemica anche per il ripetersi di malori di Pascale, di fronte ai quali De Siano ha voluto rispettare il primato della salute rispetto a quello della politica. Comunque andrà l’esito elettorale finale, ci vorranno anni perché il corpo sociale rimargini le profonde ferite. Ma è tutta colpa dei due protagonisti e dei suoi seguaci? Assolutamente no. Pascale e De Siano sono figli dell’epoca e nemmeno troppo degeneri. Basterebbe riascoltare il confronto di 96 minuti di martedì scorso tra Trump e Biden per rendersi conto della barbarie del linguaggio politico imperante in un mondo, in cui Lacco Ameno è soltanto un piccolo fungo spuntato nel mare. A livello di esperienza personale devo riferire che per molto tempo mi sono tenuto fuori della bagarre di Facebook, poi ho deciso di entrare nell’agone, ma da spettatore passivo. Non potevo pretendere di continuare ad essere “opinionista” del Golfo stando all’esterno del ring più frequentato dalle persone. Avrei avuto una visione parziale della realtà sociale. Bisogna buttarcisi dentro a questo pentolone di pulsioni, per capire come siamo fatti e quali sono i nostri comportamenti, i nostri istinti. Ovviamente mi guardo bene dallo scavalcare il bordo ring ed entrare direttamente nell’arena del pugilato virtuale. Non sono il Giletti di turno. Non mi piace istigare né essere istigato. Rimango fermamente convinto della necessità di recuperare l’attenzione e la capacità critica, di mantenere la lucidità del ragionamento e la calma del confronto civile.

Quali sono le cause di questo imbarbarimento della vita politica e civile? Una spiegazione ce la dà lo psicanalista Massimo Recalcati. Egli sostiene che “nell’agone politico contemporaneo anche quando vengono impugnati ragioni apparentemente ideologiche – razziste, nazionaliste, classiste – al centro resta sempre l’interesse di bottega, l’accumulo di consenso personale. La tragedia della storia ha lasciato il posto alla forza della cronaca. In questo nuovo contesto l’insulto sembra essere un’arma irresistibile per far crescere i propri meriti agli occhi degli elettori. Esiste un fondo pulsionale, acefalo – letteralmente senza testa – della lotta politica che prevale sulla dimensione socratica del confronto aperto e del dialogo critico. L’insulto ha lo stesso statuto dell’allucinazione psicotica: “verme”, “negro”, ”troia” ,”ladro”, “frocio” tagliano corto, fratturando ogni possibile dialettica critica”. Poi Recalcati tiene a distinguere l’insulto che imperava nel Novecento, che aveva un fondo ontologico (si vedeva nell’ebreo, nel comunista, nel capitalista l’incarnazione del Male, dall’insulto attuale. La lotta politica assumeva un carattere apocalittico: il Bene assoluto contro il Male assoluto. Invece l’insulto odierno non ha uno sfondo ontologico ma è solo tatticamente astuto. Per fare degli esempi concreti: l’ultimo giapponese della politica italiana (reduce del Novecento) è Silvio Berlusconi, che vede col fumo negli occhi il Comunismo, che non c’è più.

Ma ci crede per davvero, a differenza di Salvini che è un tattico astuto, che sa parlare alla pancia degli italiani (ma non è uno stratega, come si è visto con la crisi di governo che lui stesso aprì, suicidandosi politicamente). Attenzione, che l’insulto non è praticato sui social soltanto dagli strati sociali meno acculturati. Al contrario, le maggiori nefandezze provengono da persone che hanno compiuto gli studi, da insegnanti, da professionisti, da cattolici conservatori che detestano il Papa, considerato “omunista”. Il verbo di questi “odiatori colti” è che bisogna mettere al bando il “politically correct” per sostituirlo col politicamente scorretto. Bando alle cautele – essi gridano – e alle moderazioni di linguaggio, meglio essere diretti e tranchant e chiamare “traditore” il papa e “buonisti radical chic” gli intellettuali che predicano solidarietà, giustizia sociale e democrazia. Questi – a loro dire – sono “italioti” (cioè italiani idioti). Citano filosofi francesi come Regis Debray, Michel Onfray, Michel Houellebecq o Alain Finkielkraut. Molti di questi “odiatori colti” hanno avuto parte attiva nel recente Referendum, schierandosi paradossalmente per il “no” e dico paradossalmente perché il loro intento non era quello (legittimo) di difendere la democrazia parlamentare e la rappresentanza dei diversi territori, ma era quello di spazzar via Cinquestelle e PD. Via comunisti ed ignoranti scansafatiche, era il loro grido di battaglia.

Questo è lo scenario sociale in cui siamo immersi e nel quale, giorno per giorno, scivoliamo sempre più, come nelle sabbie mobili. Ora, considerare De Siano e Pascale come gli unici esemplari dell’odio, mi sembra sproporzionato e fuorviante. Chiedere che facciano entrambi un passo indietro per favorire il ricambio della classe dirigente locale, non mi sembra risolutivo. Forse che dopo di loro e alle loro spalle ci sono all’orizzonte candidati competenti, onesti, fautori della trasparenza degli atti e del confronto democratico e civile? Credo di no (salvando qualche rara eccezione), perché se esistessero avrebbero già da tempo fatto pressione per un’inversione di tendenza. Non credo alle scorciatoie. I fenomeni sociali e culturali che portano verso la “regressione” vanno combattuti sul campo, contrapponendo e proponendo paradigmi e linguaggi diversi da quelli che -al momento – prevalgono. L’amore deve sconfiggere l’odio, il confronto civile deve soppiantare la prevaricazione e la falsificazione della realtà, l’accettazione delle diversità deve prevalere sulle spinte divisive per razza, censo, sesso, religione .Ritornando a De Siano e Pascale, che sembrano diventati – a giudizio di molti – gli unici orchi politici dell’isola , vorrei dire due cose: una, che dobbiamo cercare di trarre, da colui che risulterà vincitore, il meglio che ha. Se sarà De Siano, dovremo pretendere di realizzare il Comune Unico che ha sempre propugnato; se sarà Pascale, ci attendiamo che realizzi una mobilità sostenibile e l’unificazione del servizio taxi e microtaxi intercomunale come ha sempre sostenuto a parole. La seconda cosa che ci tengo a sottolineare è che non dobbiamo lasciarci ingannare dall’apparente moderazione di altri Sindaci isolani. Faccio l’esempio del Sindaco di Fori, Francesco Del Deo, che ha fatto invasione di campo elettorale nel Comune di Lacco e del Sindaco di Ischia, Enzo Ferrandino. Quest’ultimo, in un’intervista, molto ragionata e pacata, rlasciata martedì a Il Golfo, ad un certo punto, scantonando, ha detto: “In paese spesso si dicono scemenze e anche questa (n.d.r. la voce che vorrebbe Enzo stanco dell’esperienza amministrativa) è una scemenza”. Ecco, trovo che una simile espressione sia fuori luogo e che sia offensivo definire “scemenza” una semplice ed innocua sensazione popolare. Un Sindaco deve rispetto a tutti i cittadini, anche quando possono sbagliare. Come si vede, il cerchio della violenza verbale, sia pure con accenti e gradazioni diverse, si allarga oltre Lacco Ameno e oltre Pascale e De Siano. Per richiamare una nota poesia, dedicata alla politica, della poetessa polacca Wislava Szimborska: “Siamo tutti figli dell’epoca”!

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