CULTURA & SOCIETA'

Un viaggio particolare alla scoperta delle principali isole italiane

Presso la Biblioteca Antoniana si è tenuta la presentazione del libro “33 isole. A vela in solitaria alla scoperta del loro futuro” di Lucio Bellomo, velista e istruttore subacqueo di Palermo

Ci sono tantissimi modi per ammirare le bellezze paesaggistiche del nostro paese e molto spesso scegliamo di viaggiare in assoluta comodità. Non è certamente il caso di Lucio Bellomo che nel 2018 ha navigato in solitaria per più di quattro mesi su Maribelle, una specie di ibrido fra barca a vela, gommone e windsurf, di dimensioni molto ridotte e non abitabile (senza cabina) toccando tutte le piccole isole italiane abitate: 33 per essere precisi tra cui anche Ischia. Partito da Palermo nell’aprile 2018 è arrivato a Venezia dopo aver percorso ben 2800 miglia nautiche! Una vera e propria impresa che ha portato Lucio Bellomo a sostare nelle isole prescelte per 2-3 giorni, una permanenza che gli ha permesso di conoscere nuove realtà e realizzare delle interviste, soprattutto ai giovani del posto, che attraverso il loro vissutoe la loro storia personale potessero parlare del presente e del futuro delle piccole isole italiane.Da questo viaggio, indubbiamente ricco di peripezie ma anche di enormi soddisfazioni, è nata l’idea di scrivere un libro in due volumi uscito da poco per la casa editrice Mursia. Durante la sua traversata Lucio Bellomo, come dicevamo, è stato anche a Ischia dove ha potuto toccare con mano le bellezze marine e paesaggistiche della nostra isola. La presentazione del libro alla Biblioteca Antoniana ha visto anche la presenza del giornalista Pasquale Raicaldo che ha dialogato con l’autore, di Antonino Miccio, Presidente dell’Area Marina Protetta “Regno di Nettuno” e di Giuseppe Iacono, cimentatosi nella lettura di alcuni significativi passi del libro. A margine dell’evento abbiamo avuto modo di intervistareBellomo che si è detto entusiasta dell’affetto ricevuto dal pubblico:

Come è nata l’idea di intraprendere questo viaggio? E quanto è durato?

«L’idea è nata nel 2017 in un momento particolare della mia vita quando ero alle Maldive come istruttore subacqueo. Ero sempre in giro per il mondo per questioni di lavoro, ma non ero del tutto completo perché in me sentivo delle impellenti esigenze da soddisfare. Sentivo di dover intraprendere una lunga avventura che mi mettesse alla prova sia mentalmente che fisicamente e poi avevo bisogno di stare da solo. A questi desideri, poi, si è aggiunto il mio grande amore verso l’umanità del Mediterraneo e verso le piccole isole che, a mio modo di vedere, sono un vero e proprio universo nel bel mezzo del mare. E così, dopo un po’ di tempo, sono tornato in Italia e nell’aprile 2017 ho recuperato l’imbarcazione “Maribelle” alla Lega Navale di Livorno, dove giaceva inutilizzata da molto tempo. Ricordo che era messa davvero male e ho passato molti mesi per rimetterla in sestoin modo da affrontare in sicurezza il lungo viaggio in solitaria che mi apprestavo a fare. Dopo una serie di preparativi sono partito da Palermonell’aprile 2018 e sono arrivato a Venezia quattro mesi e mezzo dopo facendo scalo su 33 isole senza mai toccare la terraferma».

La traversata sicuramente è stata complessa e faticosa. C’è stato un momento in cui hai creduto di non farcela?

«Le difficoltà maggiori le ho incontrate inevitabilmente nella navigazione anche perché la barca che ho utilizzato era piuttosto ‘spartana’. Era lunga poco più di sei metri, non abitabile perché priva di cabina e in condizioni di mare agitato era difficile tenere la rotta. Inoltre, sono partito senza una grande esperienza nautica alle spalle e i timori iniziali, di conseguenza, erano tanti. Ricordo che la prima tappa da Palermo a Ustica fu davvero disastrosa per una serie di motivi e ricordo che arrivai sull’isola sconsolato e avvilito. Tuttavia non mi sono dato per vinto e, pian pianino, ho cominciato ad ‘ascoltare’ Maribelle, fedele compagna di viaggio. Con pazienza ci ho preso la mano e mi sono goduto il tragitto da un’isola all’altra. Posso dire con certezza che i momenti più belli e gratificanti erano quelli in cui mi trovavo in mezzo al mare, ascoltando il rumore delle onde in totale pace e tranquillità».

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Nelle varie isole che hai avuto modo di visitare perché hai fatto delle interviste alle persone del luogo?

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«L’obiettivo delle mie interviste era quello di interfacciarmi con gli abitanti delle 33 isole in cui sono stato. Ho privilegiato soprattutto i giovani chiedendo loro come vedessero il futuro delle proprie isole e, con enorme piacere, devo dire che ho trovato una serie di ragazzi molto intraprendenti con una grande voglia di mettersi in gioco e di lasciare un segno per la propria comunità».

Quando sei arrivato a Ischia che accoglienza hai trovato? E che idea ti sei fatto dell’isola e dei suoi abitanti?

«Inizialmente Ischia non era tra le mie mete perché con una popolazione di circa 70.000 abitanti non credevo di trovare quel tipo storie, piccole e caratteristiche, di cui ero alla ricerca. Mi sono dovuto ricredere perché mentre ero a Procida alcune persone del posto mi hanno saputo dare delle dritte su chi contattare a Ischia. E così ho fatto. Ho chiamato le persone che mi erano state indicate e, con sommo stupore, mi si è aperto un mondo incredibile. Giunto sul porto di Ischia ho ricevuto un’accoglienza quasi commovente e, parlando un po’ con gli isolani, ho potuto constatare quanto fosse forte in loro il concetto di insularità e di appartenenza. Nei due giorni di permanenza ho avuto modo di conoscere varie persone che sono state ben felici di raccontarmi le loro storie e il proprio vissuto. Ho appreso che le dimensioni di un’isola e il numero dei loro abitanti non contano perché si può trovare un radicato senso di insularità anche in posti impensabili. A Ischia, poi, sono tornato l’anno scorso quando l’ho scelta come luogo di residenza per l’inverno. In questi mesi ho avuto modo di approfondire la conoscenza dei posti. Devo dire che ho trovato un’anima rurale molto emozionante che peròè in continua tensione con uno sviluppo turistico massificato e in perenne evoluzione. A Ischia ci sono queste due anime contrapposte e, stando sull’isola, ho avvertito una sorta di distanza dalla natura che è relegata solo ad alcuni angoli di paradiso. Probabilmente gli anni peggiori della cementificazione sono passati, ma ci sono delle tracce difficili da cancellare e che non permettono di tornare indietro». 

Perché hai deciso di scrivere questo libro?

«Già prima di partire avevo la voglia di scrivere un libro che potesse un giorno testimoniare la mia traversata. E così, dopo i quattro mesi e mezzo trascorsi in mare, ho cominciato a mettermi all’opera e, tra scrittura e correzioni, sono passati circa quattro anni prima di vedere il libro concluso. Mancava solo una casa editrice. Grazie a una persona che mi aveva seguito durante il viaggio e che lavorava per Mursia sono riuscito a far recapitare il manoscritto a questa casa editrice che ha deciso di premiare i miei sforzi e di pubblicare il libro. Mursia, per chi non lo sapesse, ha in catalogo più di quattrocento titoli sul mare ed è uno degli editori più conosciuti in Italia nello specifico settore. Questo ha fatto sì che potessi gioire per il risultato ottenuto sentendomi davvero realizzato per quello che avevo fatto».

Il libro, diviso in due volumi, parla nel titolo del futuro delle isole. Cosa c’è da aspettarsi in questo senso? Non credi che il turismo di massa snaturi e sfregi l’identità di questi luoghi?

«Sicuramente il turismo di massa, il cosiddetto overtourism, è una realtà che accomuna alcune isole del nostro paese, così come altri posti d’Italia. Tuttavia nel mio viaggio ho avuto il piacere di trovare anche isole virtuose che danno un forte esempio di turismo sostenibile. Un esempio, in questo senso, può essere l’isola di Capraia nell’arcipelago toscano dove esiste un’azienda dedita all’itticoltura che offre al visitatore una grande qualità del pesce e che permette a quasi tutti i giovani dell’isola di lavorare in questo settore. Ecco, io credo che questa piccola realtàsia molto bella perché ci fa capire che c’è una strada alternativa».

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