LE OPINIONI

Premio Concetta Barra L’infanzia magica di Peppe Barra

Di Giorgio Di Dio

Doveva esserci Tosca a chiudere la serata del premio Concetta Barra, mercoledì scorso settembre. Ma per problemi di salute Tosca non ha potuto esserci e Peppe Barra ha dovuto, con pochissimo preavviso, organizzare un suo concerto. Sono andato a sentirlo con mia moglie, Anna Capobianchi, e durante uno degli intervalli siamo andati a salutarlo. Il viso di Peppe si è fatto pieno di luce appena ci ha visti. E subito ha cominciato a chiedere: “Ma ci sono Maria, Anna grande, Gemma, Silvana, Marilina?”  e, così via, nel citare tutti i cugini. Nel citare la sua infanzia, la sua adolescenza. Quel mondo mai dimenticato, alla ricerca di un sogno lontano, a immaginare musica, canzoni a far ridere bambini tristi, e gioire insieme a loro, a passare intere ore a sconfiggere solitudine, tristezza, a recitare ancora prima di imparare a farlo per i cugini e i bambini di Terra Murata. 

L’infanzia e l’adolescenza di Peppe Barra me le racconta sempre mia moglie. Lei ci ha vissuto insieme, erano cugini, abitavano a due passi. Peppe era più grande e, insieme al fratello Gabriele, già organizzavano spettacoli, recitavano in continuazione. Un giorno, mi racconta mia moglie, lui e Gabriele si presentarono a casa sua con un copione. “Abbiamo scritto una commedia” dissero “volete recitare?” A quell’età, naturalmente, metà entusiasmo vola.  E poi avere un motivo per non stare in casa ad aiutare la mamma nelle faccende domestiche fa volare l’altra metà. E così cominciavano faticose prove che duravano ore, tutte le mattine. Naturalmente la cosa non poteva durare perché la mamma reclamava, diciamo pure a gran voce, l’aiuto che aveva perso. Ma la commedia andava recitata e pure davanti a un pubblico, e che pubblico. Bambini, bambine, ragazzi, ragazzine, tutti diretti verso una terra misteriosa che non sapevano ancora si chiamasse teatro, tutti diretti verso un treno che li facesse sognare, che li strappasse alla quotidianità, alla vita che non era male, ma era troppo semplice.

Su quel treno ci sono saliti solo Peppe e Gabriele e solo Peppe ha continuato tutta la corsa. Prima come allievo prediletto di zietta Liù, poi con la “Nuova compagnia di canto popolare” e il suo strepitoso successo. Quel treno è andato lontano, ha attraversato grandi palcoscenici, raggiunto livelli altissimi, portando innovazioni nella musica nel canto, nella recitazione, nella tecnica.

E come poteva esser diverso? Peppe è figlio di Concetta Barra che l’arte ce l’aveva nel sangue. Già durante la Seconda guerra mondiale, con le sorelle Nella e Maria fondò la compagnia Vittoria, facendosi già conoscere come cantante. Scritturata da personaggi del calibro di Totò, Fabrizi e Sordi, prima di approdare, poi, a Roberto De Simone. La voce stupenda, le filastrocche antiche cantate insieme alla cugina Enrichetta Capobianchi. Ma per le cugine e i cugini procidani di Peppe, Concetta era solo “zia Concetta”, l’artista, la zia incredibile che aveva rotto la tradizione della donna procidana.

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Il sangue di zia Concetta è sangue di artista e non poteva non condividerlo con i figli. Oggi quel sangue condiviso lo troviamo nella voce di Peppe, nella sua mimica, nella sua recitazione, nel suo viso dalle mille espressioni. È stato per   crescere i figli che la fiamma di Concetta si è dovuta interrompere per poi riaccendersi nuova, diversa, plasmata dalla ricerca di tracce antiche della canzone napoletana. È da lei che è nato Peppe, che mercoledì sera abbiamo ascoltato nelle sue mille voci lente, poi veloci, in un movimento prima timido, timoroso, poi che si sollevava nell’aria, avanzava, potente, vibrante, con mille sfumature. Abbiamo ascoltato le sue narrazioni, i suoi racconti, dove c’era sempre qualcosa di suo. Peppe dice a tutti che ha trascorso a Procida buona parte della sua infanzia, che i suoi ricordi sono legati alle tradizioni procidane, alle feste che si svolgevano sull’isola, ai misteri del Venerdì Santo, agli odori, ai colori della sua isola, ai canti di sua madre, allo scialle che copriva le sue spalle magre, alla sua voce magica e all’altra magia, quelle della chitarra di suo fratello Gabriele. Canti antichi di un mondo antico, di un’isola che lui ha amato e amerà sempre.

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