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Al cinema arriva ‘Men in black – International’ il Castello è una fortezza, ma Sant’Angelo non c’è

Chris Hemsworth e Tessa Thompson nelle sale con lo spin-off senza confini geografici di una saga un tempo fortunata

Che spreco! Eppure c’erano milioni di motivi per fare un film come “Men in black – International”, e corrispondono all’incirca ai miliardi incassati da una delle saghe cinematografiche più redditizie e fortunate della storia del cinema. Al mix irresistibile tra fantasy e fantascienza, azione e avventura, humor e commedia, protagonisti scanzonati e montaggio indiavolato. Inseguimenti via terra, via mare, via cielo.
E poi gli alieni, che (ci dicono gli allarmisti/sovranisti) arrivano dallo spazio per conquistare la Terra, sedurre le nostre donne, parassitare i nostri corpi. Oppure, più realisticamente, per ammonirci dei rischi che corriamo a causa della nostra stupidità. Tutto in un solo biglietto e spettacolo, con un surplus di effetti speciali, ma senza (più) la coppia storica Will Smith & Tommy Lee Jones.

Tocca quindi armarsi di santa pazienza e calmierare le proprie aspettative per godersi un giocattolone privo di baldanza come “Men in black – International”, anteprima a Ischia Global e ora arrivato nelle sale italiane durante l’estate che getta sul tavolo i blockbuster per rianimare il botteghino tricolore (che langue & piange). Devono farlo in particolar modo gli ischitani, che magari vorranno rivedersi sul set di Sant’Angelo mentre fanno il bagno, passeggiano sul porticciolo o girano in Vespa. Invece no: le forbici del cinema sono spesso le più affilate, e ogni odissea di celluloide conta vittime più o meno illustri.
Nel quarto capitolo della saga diretto da F. Cary Gray, tutta la sequenza girata nel borgo di Sant’Angelo è praticamente sparita (ma non quella al Castello, la “fortezza di Riza dalla morte sicura”).
Dispiacere locale, ma poca roba rispetto scarsa riuscita del film.

L’impianto è quello tradizionale: da più di quarant’anni gli alieni abitano il nostro pianeta. Il governo lo sa e tiene il fenomeno sotto controllo. Quando qualcuno particolarmente antipatico, o con progetti sinistri, esce fuori dal coro, viene subito rintracciato dagli agenti speciali e rimesso in riga.
Cosa manca dunque a questo blockbuster per guadagnarsi quella simpatia che si sarebbe potuto meritare? La trama di per sé non esiste, né interessano la psicologia (o melting pot sociologico) dei tipacci (umani o alieni) che occupano dall’inizio alla fine la grottesca e variopinta passerella. Loro sicuramente si saranno divertiti, a fare se stessi o caricaturare certe figure pop medializzate (si pensi a Pedino, ultimo sopravvissuto di un piccolo gruppo di alieni buoni, o all’intesa, innegabile, tra Chris Hemsworth e Tessa Thompson, i due protagonisti), ma il ritmo, ingrediente connaturato al genere, è qui sostituito da un puzze di scenette (alcune soporifere, altre meno) attaccate alla buona e rese più intriganti solo da questo curioso zigzagare da una località all’altra del globo.
Il tour comincia (e finisce) nella Ville Lumiere («Quanto odio Parigi”, esclama uno spaesato Liam Neeson), dove la Torre Eiffel è porta d’accesso per un ostile mondo extraterrestre. Hemsworth è agente prestante e valoroso, quanto superficiale e arrogante. Poiché i tempi del #metoo lo richiedono, lo sparring partner non è un collega più vecchio e più saggio, ma una giovane donna che da bambina ha fatto amicizia con un piccolo animaletto alieno e che, da quel giorno, vive nell’adorazione del mondo dei Men in Black. Insomma, vuole diventare un agente speciale e ci riesce al grido di motivazioni inoppugnabili per la severa Emma Thompson: «Non ho un amore, non ho famiglia, non ho un gatto, un cane o una vita privata».

Bene, presa. La nuova coppia caffellatte si ritrova ad affrontare subito un caso spinoso: il forte sospetto che via sia una spia all’interno dell’organizzazione. Peccato che, nel rocambolesco vagabondaggio tra Londra, New York e Marrakesh a caccia di cattivissimi extraterrestri, i dialoghi non siano mai abbastanza scoppiettanti per reggere da soli, le situazioni mai nuove, e le dinamiche di una coppia che non s’accoppia si traducano in una patina verbosa poggiata su un copione tutto sommato trascurabile.

Ok, i lettori del Golfo vorranno sapere del Castello Aragonese. Tocca aspettare un ora e un quarto, prima di vederlo. In pieno deserto, riparata la moto a razzo che arriva dappertutto, l’agente H propone all’agente M: «Andiamo a Napoli!».
Di confetto vestito, a bordo di un pezzo di chincaglieria d’epoca d’alta classe (motoscafo Riva), Hemsworth arriva nella baia di Cartaromana, dove l’isolotto con il Castello (misericordiosamente separato dalla terraferma grazie agli effetti speciali!) è la fortezza di Riza, cinica trafficante d’armi aliena con tre braccia e un debole per l’agente H. Dai bastioni fioccano raggi laser, ma Hemsworth arriva in pace (sul Riva sventola bandierina bianca!). La missione è recuperare un cristallo, arma micidiale di energia pura.

Il simbolo di Ischia è catturato da riprese aeree che ne valorizzano forma e bellezza, gli interni (tutti rifatti al computer) richiamano un po’ l’Alto Giardino del “Trono di spade”. Certo, in questo caso la dimensione turistico-produttiva legata all’immagine di Ischia è pienamente soddisfatta. Non lo sono invece, i produttori del filmone (che pure è stato in vetta al botteghino italiano), i quali si aspettavano ben altri incassi. Per il rilancio in grande stile del franchise MIB bisogna attendere un nuovo capitolo.
Sempre se ci sarà.

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