CULTURA & SOCIETA'

Beni Culturali a Ischia, un patrimonio da salvare. Ma la sinergia pubblico-privato qui non decolla

Parte dal delicato tema della gestione il ciclo di conferenze “Chorìa”. Dalla terraferma, modelli di partenariato che, partendo dal basso, sono riusciti a sottrarre luoghi di grande interesse artistico a un destino di abbandono e degrado, creando turismo e occupazione. All’incontro, come da copione, nessun sindaco o assessore isolano alla Cultura. Non a caso

La lista fa impressione. Museo degli Scavi di Santa Restituta, chiuso. Sito archeologico di Punta Chiarito, a Panza, chiuso. Sito archeologico di Mazzola, a Lacco Ameno, chiuso. Osservatorio geofisico della Sentinella, chiuso. Torre medievale del Testaccio, chiusa (e oggetto di una contestata compravendita dal privato all’ente pubblico). Eremo di San Nicola all’Epomeo, chiuso. Villa La Colombaia di Luchino Visconti, chiusa. Torre dei Guevara a Cartaromana, chiusa (per restauro). Perfino il Museo archeologico Pithecusae a Villa Arbusto è in questi giorni chiuso (per lavori). Complesso del Pio Monte a Casamicciola? Non ne parliamo proprio.

Una geografia di luoghi preziosi che diamo per scontati e che invece ci sono negati. Senza poterne comprendere valore, potenzialità e fragilità, soprattutto quando vengono trascurati. Il terremoto del 2017 ci ha messo del suo, ma – in tutta onestà – quanti di questi beni erano aperti e funzionanti prima del sisma? Certamente non tutti. Perché tenerli aperti ha un costo. Meglio serrare le porte, togliendo i chiavistelli giusto qualche giorno all’anno. Matrimoni, cerimoniali ‘culturali’, eventi una tantum, shooting fotografici che mostrano ciò che, nella realtà quotidiana, non si può fruire.

In alcuni casi o circostanze si ripiega sul volontariato. Ma la gestione della cultura è questione seria e per mettersi in mostra ha bisogno (anche) di professionisti. Che, giustamente, vogliono essere pagati. Insomma, a guardare la mappa della Grande bellezza negata, l’isola d’Ischia non sembra proprio in grado di gestire come si deve l’immenso e straordinario patrimonio culturale che possiede.

Sei Comuni rappresentano una elefantiaca macchina amministrativa il più delle volte inutile e dannosa, uno stipendificio per dirigenti e funzionari caratterizzato da sprechi, clientelismo, scelte politico-amministrative individualiste (quindi suicide), mancata lungimiranza, pochi investimenti e sinergia tra Enti prossima allo zero.
L’isola verde – tranne poche eccezioni (Castello Aragonese; Giardini La Mortella, non a caso a gestione privata) – ha dimostrato in questi anni una scarsa capacità di mettere davvero a reddito i suoi tesori culturali e ambientali, nonostante i dati in crescita nel settore del turismo culturale.
E non si tratta soltanto di una questione di finanze che – com’è noto – sono sempre più scarse (e usate male), ma di una forte miopia, una progettualità carente, un interesse a corrente alterna.
Non ci credono. O almeno non abbastanza.

E così, siti e beni che altrove ci invidierebbero, si trovano immersi in un contesto che definire semplicemente “malato” è un eufemismo, a meno che non si voglia aggiungere l’aggettivo “terminale”. Ma di questa situazione, sempre più desolante, sono responsabili tutte le componenti politiche, sociali ed economiche del territorio: amministratori, imprenditori, gestori di servizi, cittadinanza. Che spesso nemmeno conoscono ciò che hanno tra le mani.
Un circolo vizioso che non porta da nessuna parte, ma che rischia di impoverire un territorio che proprio nella cultura potrebbe trovare la sua chiave di volta per uscire dalla crisi economica e turistica (quindi d’identità) di questi anni .

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Sul terreno minato della gestione dei Beni Culturali si è svolto il primo appuntamento di “Chorìa, storie di uomini e del loro territorio: la molteplice identità del paesaggio”, un ciclo di conferenze, a cadenza mensile, a cura dell’archeologa Mariangela Catuogno, per una riflessione sull’identità del Paesaggio inteso come luogo dove l’uomo interagisce con i propri simili e crea molteplici relazioni culturali e sociali, generando un luogo fisico unico e irripetibile.
L’isola d’Ischia, con il suo patrimonio culturale millenario, rappresenta un osservatorio privilegiato da analizzare e da confrontare in aperto dialogo con le altre realtà che ci circondano. Fondamentale, in questo processo, una comunità consapevole della propria storia e delle proprie radici culturali, capace di mettere in moto una serie di attività volte alla valorizzazione e fruizione del proprio patrimonio culturale, in sinergia con le istituzioni che regolano la tutela dello stesso. In Biblioteca Antoniana, sede di questi incontri per “la necessità di condurre, soprattutto le nuove generazioni, alla consapevolezza dello straordinario patrimonio di cui si ha il privilegio di essere custodi» (lo ha detto la Direttrice Lucia Annicelli), due interventi davvero interessanti per i case history illustrati e la sfide lanciate alla comunità isolana.

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Fabio Pagano, Direttore del Parco Archeologico dei Campi Flegrei, ha illustrato tutte le recenti strategie culturali messe in campo per la valorizzazione di una realtà archeologica unica nel panorama culturale italiano. Unica anche nelle problematiche, a partire dalla “forzatura” che ha visto nascere (nel 2016) il parco stesso. Una realtà distribuita su quattro amministrazioni comunali, senza una perimetrazione fisica («non siamo Pompei, non siamo Ercolano», ha precisato il Direttore), o cancelli da chiudere all’imbrunire. Ricca di un patrimonio con un passato glorioso, un passato prossimo di tutela o poco più, e un presente di grande vitalità malgrado il contesto sociale, urbanistico e logistico indubbiamente sfavorevole.
A cominciare dal trasporto pubblico, scarso o inesistente. Il Cuma Express dalla stazione di Montesanto di Napoli? Nei weekend, e praticamente solo d’estate. Insufficiente per un territorio che custodisce i più importanti miti dell’antichità: la Gigantomachia, la Sibilla cumana, la porta degli Inferi nell’Averno, porto commerciale dell’Urbe, Puteoli, oltre alla fama ineguagliata di Baia, località prediletta per la villeggiatura della nobiltà romana e poi sede del palatium imperiale.

Sono 25 i siti assegnati al Parco Archeologico dei Campi Flegrei con decreto ministeriale del 2016. Alcuni funzionano bene, altri a singhiozzo, «perché la creazione del Parco – ha sottolineato Pagano durante l’incontro – rappresenta una sfida eccezionale, ma anche una potenziale risposta a quelle aspettative di sviluppo sostenibile e culturale, fondato su questo patrimonio, che arrivano dalla società

Ora è chiaro, qui come ai Campi Flegrei (come altrove), che la scarsità delle risorse pubbliche disponibili per questa importante funzione, unitamente alla potenzialità di generare ricavi che la pubblica fruizione dei Beni culturali comporta, ha spinto il legislatore a delineare strumenti normativi che consentissero il coinvolgimento dei privati nelle attività di valorizzazione. I partenariati pubblico–privato nella gestione dei Beni culturali rappresentano, pertanto, un’alternativa significativa alla gestione diretta. Le norme, dunque, non mancano.

Non tanto il codice Urbani del 2004 (ormai superato), quanto il più recente codice degli appalti. Senza mai dimenticare (o trascurare) la delicatezza e l’importanza che le attività di valorizzazione dei Beni culturali rivestono, quindi anche l’attenzione alla progettazione e al monitoraggio degli affidamenti in questione. E’ questa la strada che dovrebbe portare, ad esempio, alla rinascita di due siti, la Piscina Mirabilis a Bacoli e il Tempio di Serapide a Pozzuoli. Attraverso avvisi pubblici di manifestazione d’interesse, l’individuazione di interlocutori che vincano (e convincano) con la bontà di un programma culturale che rispetti l’identità del luogo, la compatibilità e la sostenibilità economica.
«Un’occasione per dimostrare che, intorno alle colonne del Serapide e alla Piscina Mirabilis, si può consolidare una crescita non soltanto sociale, ma anche economica, poichè si tratta di due luoghi che hanno prospettive, non solo turistiche, importanti», ha osservato Pagano. Ma anche attraverso un “Parco delle idee”, sorta di laboratorio collettivo che chiama a raccolta idee ed energie nuove per progetti di giovane imprenditoria culturale.

Il Prof. Stefano Consiglio, Direttore del Dipartimento di Scienze Sociali Università degli Studi di Napoli Federico II, è intervenuto presentando, numeri e dati alla mano, alcuni esempi virtuosi di sperimentazione della collaborazione con soggetti privati o del terzo settore, per aprire e gestire alcuni siti culturali. Il Parco Sommerso di Gaiola, ad esempio, tra Marechiaro e la baia di Trentaremi. Dal degrado e l’abbandono degli anni passati (terra di nessuno tra discariche e rave party) ad Area marina protetta dove si fa ricerca, turismo sostenibile ed educazione ambientale. Perché, ha chiarito Consiglio, «tra la tutela, la conservazione, la fruizione e la valorizzazione c’è un legame fortissimo. Se non c’è conoscenza e nessuno ci va, quel luogo non sarà mai tutelato o conservato. Sarà invece distrutto e depredato».

Modello di gestione? Pubblico-privato. Oggi, dopo 12 anni di lavoro durissimo, il Ministero dell’Ambiente ha dato in affidamento l’Area Marina Protetta a giovani realtà imprenditoriali fatte di ragazzi che si sono rimboccati le maniche. Come quelli della Sanità, caso ancora più eclatante perché nato in un “quartiere-periferia”, ad alto tasso criminale, dentro il cuore di Napoli. Un mondo a parte caratterizzato da forte densità abitativa, disoccupazione dilagante, pessima reputazione ma un patrimonio artistico straordinario: Catacombe di San Gennaro, Basilica e Catacombe di San Gaudioso, Cimitero delle Fontanelle, Palazzo dello Spagnolo. Fino a 10 anni fa, bellezze negate; oggi completamente rinate (e visitate) grazie all’azione di una decina di ragazzi della Sanità che avevano un sogno: creare lavoro attraverso la valorizzazione del patrimonio storico artistico. Un’esperienza, quella della Cooperativa La Paranza Onlus, presentata in tutte le business school del mondo.
Modello di gestione? Investimento iniziale di 600.000 € attraverso la Fondazione Sud, una delle poche fondazioni bancarie che opera nel Mezzogiorno a sostegno dell’inclusione sociale attraverso progetti sul bene culturale, sui beni confiscati, su progetti educativi. Anche qui, i costi di gestione sono abbastanza limitati e le coperture garantite attraverso ingresso e visite guidate. Si partiva da 9000 visitatori; nel 2019 hanno chiuso a 170.000 visitatori, in un quartiere considerato inavvicinabile (dagli stessi napoletani) fino a pochi anni fa.

«In tutti i casi che abbiamo esaminato – ha ricordato Stefano Consiglio – c’era gente che non si lamentava. Si è data da fare, provando a mettersi insieme e cambiare le cose. Al nostro corso di laurea abbiamo avuto diversi studenti isolani, bravissimi, che poi sono andati via a lavorare altrove. Esperienze come quelle di Gaiola o della Sanità potrebbero essercene tante, anche a Ischia, ma devono partire dal basso».
Solo che, nel naturale movimento di lievitazione, ci si imbatte puntualmente negli Enti locali, o nella guerriglia che spesso oppone questi ultimi alla Soprintendenze o alla Curia.
Un ginepraio da cui è difficile uscire, salvo rare eccezioni (il sito di Aenaria a Ischia Ponte è un esempio tutto sommato riuscito). Avvisi di manifestazione di interesse, in realtà, sono stati promossi anche sull’isola d’Ischia, in passato, salvo poi arenarsi o dissolversi misteriosamente tra le nebbie di un “vorrei ma non posso” o “potrei ma non voglio”.
Dove trovare, sul nostro territorio, un sacerdote come Don Antonio Loffredo?
Cosa conoscono, gli ischitani, del loro patrimonio artistico?

«Il futuro è nelle vostre mani», taglia corto l’esperto. «Non aspettate che venga un sindaco a darvi una mano. Queste cose vanno pensate e progettate a prescindere dai sindaci, dagli assessori alla Cultura, da quelli regionali o dalla Soprintendenza. Cercando di convincere in primo luogo la comunità. E’ chiuso quel posto? In altri luoghi si è riuscito ad aprire. Non perché c’era un sindaco illuminato, ma una comunità che ha trovato il modo di aprirlo
Sarà anche così, però all’incontro in Biblioteca, dove si è discusso di patrimonio pubblico e delle molteplici forme di gestione altrove felicemente risolte, non c’era alcun sindaco, né assessore alla Cultura. Nemmeno di passaggio. E non a caso.

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