LE OPINIONI

«Caffè Scorretto» «La differenza tra fare turismo e le brutte figure» 

Premessa 1. Passi il problema che siamo alle prese con un modo di fare turismo elementare e che veramente pochi sono gli albergatori degni tal nome e i gestori lungimiranti. Passi che per una sorta di diffidenza di tipo feudale non abbiamo imparato a vivere e guardare l’isola come un territorio unico, tanto è vero che il pensiero predominate è la divisione. Passi pure, si fa per dire, che non c’è la volontà spiccata di seguire la medesima direzione ma sei direttrici isolate, il tema al quale bisogna dedicare attenzione è che va corretta la visione monoculare che molti tra imprenditori e amministratori dimostrano di non aver perduto.

In un periodo delicato come l’attuale quel che può fare la differenza, specie nel turismo, è rappresentato da due elementi fondamentali ossia l’apertura a nuovi modelli di sviluppo e un’accoglienza rinnovata. Premessa 2. Mentre rimbalzano le notizie per l’ennesimo articolo che come ogni anno “canta” le bellezze di Ischia, questa volta siamo finiti sul New York Times dal quale mancavamo dal 2015, con la gente impazzita per lo scoop e dimostra di avere l’attenzione di un bradipo, voglio raccontarvi una storia. Immaginate che una grossa azienda, multinazionale della moda, abbia deciso di scegliere Ischia invece della vicina Capri presso la quale si è sempre rivolta per le sue campagne pubblicitarie. Immaginate che abbia la necessità di individuare una location adatta per un servizio fotografico e per farlo abbia ingaggiato un’agenzia pubblicitaria. Che questa a sua volta dopo aver incaricato i propri referenti li abbia mandati a Ischia per ricercare un posto da favola in conformità a precise specifiche. Immaginate che i rappresentanti dell’agenzia, armati di telefono e buona volontà, giunti sull’isola, dopo aver fatto il giro di vari siti a un certo punto del loro “viaggio” siano arrivati a La Scannella per produrre materiale fotografico che ritraesse la scogliera mozzafiato. La location in questione il “famoso” articolo del New York Times non solo la linka reindirizzando l’utente al sito dell’hotel ma la descrive come “favolosa location a picco sul mare, in cui prenotare per il pranzo”. Immaginate che il team dei tre rappresentanti dell’agenzia, percorsa la strada ripida che unisce la parte alta a quella bassa, giunto all’ingresso blindato dell’hotel abbia bussato al citofono e che l’interlocutore, dopo aver ascoltato la richiesta, abbia chiamato il proprietario o comunque il titolato a rispondere.

La signorina del gruppo di lavoro, dopo essersi presentata di nuovo, chiede gentilmente se è possibile accedere alla struttura per scattare alcune fotografie della scogliera da sottoporre all’agenzia e alla multinazionale. Immaginate la risposta. Dopo averla ascoltata il surreale scorre come un fulmine nel citofono con quasi trentacinque gradi all’ombra. Il titolato alla replica, infatti, esplode rispondendo che nella sua struttura non si fanno servizi fotografici. Anzi, di più, testualmente e in lingua locale, afferma che “se esce una sola fotografia vi levo pure la casa”. Con uno sforzo di immaginazione, lo vedete che il piccolo gruppo se ne va via demotivato e scosso? Il tutto però nel ricordo che proprio quella struttura si è prestata negli anni scorsi per una serie di servizi fotografici. C’è da dire che era quasi ora di pranzo e probabilmente i tre non avevano prenotato. Premessa 3. La storia continua ma questa volta è di altra natura. Il team inviato per le fotografie si reca presso il Regina Isabella (citata insieme con altre strutture nel famoso articolo del New York Times). Come il ristorante Lo Scoglio a Sant’Angelo, anche il Regina Isabella, dopo una pausa caffè, apre le porte per dare al gruppo di lavoro la possibilità di fotografare la scogliera. Insomma se alcuni fanno di tutto per allontanare lo spettro di una catastrofe nel turismo e nell’accoglienza, altri lavorano alacremente per l’olocausto. 

Pagina Facebook Caffè Scorretto di Graziano Petrucci  

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