LE OPINIONI

IL COMMENTO I giovani e la satira

Come sapete, siamo alle soglie (3 novembre prossimo) delle elezioni presidenziali in America (Covid permettendo). Abbiamo già sottolineato il degrado della lotta politica e del linguaggio violento che sta riguardando anche quello che – per molti anni – è stato considerato il paese crogiolo della democrazia occidentale. Ma c’è un aspetto che è stato fin qui sottovalutato e che invece ha un peso enorme nello scadimento valoriale della lotta politica, in America come nei Paesi europei.

Questo aspetto, non da tutti considerato, è il peso crescente che ha assunto – con l’avvento della rete e dei social – la satira, nel successo o nell’insuccesso di un personaggio o di una fazione politica. Pochi sanno che, nel 2016, il gigante americano dei media, Univision, acquisì una quota importante del sito satirico The Onion. Il motivo era la convinzione che, per le future competizioni per la Casa Bianca, l’attenzione e le scelte dei millenial, sarebbero state legate quasi esclusivamente all’ironia. “I giovani – era la conclusione – votano a colpi di risate”. Quello che hanno pensato in America è vero anche per noi, per l’Italia e anche per Ischia. In questa predilezione dei giovani per la satira, c’è del buono e del cattivo. Il buono è costituito dalla “creatività”, dallo sforzo di far lavorare la fantasia per attirare l’attenzione degli altri e strappare loro una risata. Devo dire che i napoletani si dimostrano particolarmente versati in questa arte dello sfottò. Il lato cattivo è invece dato dalla rappresentazione semplificata e superficiale di situazioni e personaggi e dall’abitudine di ridurre questioni complesse a giudizi netti ed alternativi (bianco o nero). Abbiamo gli esempi locali (dramma elettorale di Lacco Ameno) dove gli “aficianados” dell’una e dell’altra parte hanno deriso e umiliato l’avversario .e abbiamo gli esempi nazionali ed internazionali. Basti vedere le prese in giro che vengono fatte da avversari politici (ma a volte anche di alleati) di alcuni ministri, in particolare del M5S, considerati scadenti, ignoranti, senza lavoro.

Questo modo di esaltare il tifo e la fazione, anche quando ha un fondamento, finisce per banalizzare il giudizio politico. Questa facile ironia e questo modo superficiale di giudicare persone e fatti, complica la vita politica, oltre che le relazioni sociali. Facciamo l’esempio del Movimento Cinquestelle. Non v’è dubbio che esso sia nato in funzione antiparlamentare e su presupposti populistici. Però è altrettanto vero che, dagli inizi ad oggi, una generazione di giovani, eletti con pochi clic sulla piattaforma Rousseau, stia tentando di trovare una configurazione più in linea con gli assetti costituzionali, con gli equilibri internazionali e con le tradizionali alleanze transnazionali. E vedremo quello che uscirà, il 7 e 8 novembre, dagli Stati Generali. Lasciamoli lavorare questi ragazzi, non chiudiamoci nelle nostre idee consolidate. Filtriamo e setacciamo quel che di buono sono capaci di esprimere, aiutiamoli a tradurre i paradigmi nuovi, da loro proposti, in concrete riforme per una democrazia moderna. Ma torniamo alla satira e cerchiamo di capire perché una “cattiva satira” può bloccare le evoluzioni virtuose del sistema democratico dei partiti, mentre una “buona satira” può facilitarlo. Partiamo dalla definizione di “satira”, termine che deriva dal latino “satura lanx” (il vassoio vuoto riempito di primizie in offerta agli dei). Wikipedia dà la seguente definizione di “satira”: critica più o meno mordace (dal sarcasmo alla caricatura) verso aspetti o personaggi tipici della vita contemporanea. Fate attenzione: “vassoio vuoto riempito di primizie da offrire agli dei” che, tradotto nell’attualità, può significare “offrire ad un contenitore politico-istituzionale svuotato di efficacia e attrattività, primizie politiche in grado di rivitalizzarlo”.

Una democrazia ha costantemente bisogno di essere alimentata da idee nuove e stimolanti, anche se, a primo acchito, possono sembrare troppo effervescenti e singolari. Ma di recente è avvenuta un’altra cosa, importante, in Francia. Vi ricordate Il quasi unanime “Je suis Charlie”, slogan coinvolgente di solidarietà verso la redazione della rivista satirica Charlie Hebdò che, nel 2015, era stata attaccata da musulmani che provocarono 17 vittime (fra cui 3 redattori del giornale)? Bene, quegli assalitori lo fecero perché ritenevano offensiva e sacrilega la satira contro il profeta Maometto. Ovvio che siamo di fronte ad espressioni di fanatismo religioso, ma c’è un aspetto che rimane incomprensibile: proprio quando si deve celebrare il processo ai 14 musulmani, Charlie Hebdò decide di ripubblicare i ritratti caricaturali di Maometto. Ora, dopo l’attacco del 2015, il Presidente Macron disse: “In Francia esiste la libertà di bestemmia!” e una marea di europei invocò la libertà di satira. All’improvviso tutti si proclamavano liberal contro gli infedeli musulmani. Per fortuna, anche nei momenti di maggiore esaltazione collettiva e di rincorsa ai facili slogan, l’Italia riserva qualche intelligenza, competente e coraggiosa, che si dissocia dal sentire comune. Parlo di Sergio Romano, ex ambasciatore ed ex editorialista del Corriere della Sera, che attualmente scrive di rado. In uno dei suoi memorabili articoli di metà settembre, ha scritto: “Il Presidente della Repubblica francese, in una dichiarazione rilasciata alla stampa ha detto che in Francia esiste la libertà di bestemmia..La parola libertà usata da Macron mi sembra del tutto impropria, soprattutto per un Paese che può vantarsi di avere unito la parola libertà a quelle di eguaglianza e fratellanza, per farne il motto dello Stato francese…Esistono anche ragioni culturali e politiche per cui la legittimazione della blasfemia, in questo caso, è particolarmente inopportuna. Mentre in Occidente siamo riusciti a separare lo Stato dalla Chiesa, nel mondo islamico la distinzione tra politica e religione resta imperfetta e incompiuta. Vogliamo guastare i nostri rapporti col mondo musulmano per compiacere le fantasie goliardiche di un giornale satirico?

Possiamo manifestare il nostro orrore e punire i colpevoli in un’aula di Tribunale, come si farà nei prossimi giorni a Parigi, Ma ferire la sensibilità religiosa di un popolo non né giusto né opportuno “Queste le sagge parole di Sergio Romano. Pertanto, trasferendo questi principi generali alla nostra isola, vorrei lanciare questo messaggio ai giovai: continuate pure la vostra satira e sviluppate il vostro genio digitale, però non date retta a chi dice che la “libertà di satira” non ha confini. Nei paesi illiberali la si limita con la forza, a noi democratici non interessa la censura, basta il buon senso. Usatelo!.

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