CRONACA

Detenzione di armi, per la revoca del divieto il Tar sconfessa il Prefetto

Nel pronunciarsi sul caso di un cittadino isolano, la Quinta sezione del Tribunale amministrativo regionale ha sancito l’obbligo di valutare con un’istruttoria gli elementi sopravvenuti, come la successiva riabilitazione del soggetto

Innovativa sentenza del Tar in materia di reati legati al possesso di armi. La decisione, che sconfessa quella che sembrava una tendenza ormai consolidata da parte della Prefettura, rappresenta una significativa novità nel settore.

In sintesi, il Tar ha sancito che ai fini della revoca del divieto di detenere armi e munizioni, anche in caso di condanne in materia di armi è necessario valutare gli elementi favorevoli sopravvenuti. Nel caso in esame il ricorrente aveva patteggiato una pena per porto abusivo di armi e caccia in periodo non consentito, per un episodio risalente a oltre vent’anni prima. Il Tar, ribaltando l’orientamento ormai costante del prefetto, ha annullato il provvedimento di divieto di detenzione di armi. 

Nel caso in questione, nel lontano 1995 un cacciatore era stato colpito dal divieto di detenere armi e munizioni, per un reato poi dichiarato estinto ai sensi dell’art. 445 del codice di procedura penale

La vicenda fu originata dal decreto prefettizio che colpì un cacciatore isolano nell’ormai lontano 1995, recante appunto il divieto di detenere armi e munizioni ai sensi dell’articolo 39 del Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza. Il cacciatore era stato deferito all’autorità giudiziaria per aver esercitato la caccia in periodo di divieto generale con richiami acustici, e per la violazione delle disposizioni sul controllo delle armi, come disposto dall’articolo 2 del legge 895/1967. L’uomo aveva poi ottenuto la declaratoria di estinzione dei reati ai sensi dell’articolo 445 del codice di procedura penale, patteggiando come detto la pena. Alla luce di tale circostanza, ed essendo trascorsi oltre vent’anni dal decreto prefettizio, il cittadino aveva proposto istanza in sede di autotutela per vedere riconsiderata la sua posizione e ottenere la revoca del divieto di detenere armi e munizioni. Tuttavia l’amministrazione respinse la richiesta di avviare tale procedimento di revoca, sostenendo che non fossero mutati i presupposti. Contro tale atto l’uomo, assistito dal proprio legale di fiducia, l’avvocato Nicola Lauro, ha proposto ricorso affermando la sussistenza di violazione di legge e di eccesso di potere, contestando in particolare l’inadeguatezza dell’istruttoria e l’assenza della chiara esposizione delle ragioni per cui il ricorrente è stato ritenuto ancora capace di abusare delle armi.

Secondo la difesa, la Prefettura si era limitata a presupporre che le condanne riportate in passato siano sufficienti a impedire il rilascio della licenza, senza compiere nessuna nuova valutazione dei fatti oggetto delle condanne, nonostante gli oltre due decenni trascorsi e senza affatto considerare l’intervenuta riabilitazione, applicando in modo erroneo le norme del Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza.

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La prefettura aveva resistito in giudizio, eccependo l’infondatezza dei motivi addotti dal ricorrente. Lo scorso maggio la causa è infine stata trattenuta per la decisione, resa nota alcuni giorni fa.

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Secondo la Quinta sezione del Tribunale amministrativo regionale campano, il divieto in questione viene inflitto a titolo definitivo in relazione al verificarsi di specifiche circostanze, la cui valutazione è ancorata al momento della sua emanazione. Quindi se si verifica un cambiamento di tali circostanze, la persona interessata non ha altro strumento oltre la revoca per segnalare la nuova situazione all’amministrazione. L’autorità di pubblica sicurezza è quindi obbligata ad attivare un procedimento di riesame per valutare se, come nel caso in questione, l’avvenuta riabilitazione insieme al tempo trascorso possano far ritenere superati i rilievi ostativi su cui si basava il provvedimento, tenendo presente il comportamento tenuto negli anni successivi, la sua personalità complessiva o ogni altro elemento utile per un nuovo giudizio sull’affidabilità nell’uso delle armi.

Il Tar ha stabilito che il Prefetto ha l’obbligo di motivare adeguatamente il rifiuto alla richiesta di revoca del divieto, visto anche, come nel caso in esame, il lungo tempo trascorso dai fatti e l’intervenuta riabilitazione

Il Tribunale ha motivato la decisione anche facendo diversi riferimenti a precedenti giurisprudenziali che affermano l’importanza del principio di adeguatezza della motivazione che deve supportare l’adozione dei provvedimenti in materia. Quindi, in caso di diniego, l’amministrazione di pubblica sicurezza deve indicare con adeguata motivazione gli aspetti concreti che costituiscono il presupposto del giudizio di non affidabilità: deve trattarsi di ragioni sostanziali, acquisite con un’apposita istruttoria, con una valutazione complessiva della personalità, anche tenendo conto di eventuali condanne pur se molto risalenti nel tempo. E nel caso in questione la condanna è appunto molto “antica”, a cui si aggiunge il beneficio della riabilitazione, circostanze che impongono una motivazione più ampia, escludendo ogni corrispondenza automatica tra i fatti di oltre vent’anni prima e un presunto giudizio d’inaffidabilità attuale. In sostanza, nel decreto del prefetto si è tenuto conto soltanto delle vecchie condanne, senza prendere in considerazione la successiva riabilitazione, e non è stata svolta, come invece prescrive la legge, un’autonoma e adeguata valutazione della personalità complessiva del cittadino rapportata all’attualità. Il ricorso è stato quindi accolto, con il contemporaneo annullamento del provvedimento del Prefetto di Napoli, verdetto tanto più significativo ove si pensi che finora i reati in materia di armi erano costantemente ritenuti ostativi alla revoca del divieto di detenzione.

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