LE OPINIONI

Il senso di colpa che rende vittime due volte

Il 25 novembre è stata la Giornata Mondiale per l’Eliminazione della Violenza sulle Donne. Molto è stato detto e scritto, ma probabilmente non è ancora abbastanza. L’articolo di oggi vuole partire dalla constatazione di un dato di fatto: sono ancora presenti nella nostra società una serie di credenze fortemente radicate che sostengono gli episodi di violenza. I dati diffusi dall’ISTAT proprio il 25 novembre offrono una fotografia raccapricciante della nostra società: più di una persona su quattro ritiene che le donne possano provocare le violenze sessuali con il loro modo di vestire e il 15% crede che le donne sotto l’effetto di alcol o stupefacenti siano in parte responsabili dello stupro. Insomma, il classico “se l’è andata a cercare”. Il 40% pensa che una donna possa sottrarsi ad una violenza sessuale, se davvero lo vuole, mentre il 10% sostiene che spesso le accuse di violenza sessuale siano false. C’è anche un altro fenomeno sconcertante a cui continuiamo ad assistere: l’utilizzo improprio di parole ed espressioni per raccontare i casi di femminicidio. L’omicidio di una donna da parte di un uomo viene descritto come delitto passionale, come atto determinato dal troppo amore, dalla gelosia cieca e dal terrore di perdere la persona amata. Utilizzare la parola amore in questi contesti ci permette di comprendere quanto siamo lontani dalla piena comprensione dei fenomeni di violenza. Parole che fanno male, perché fanno passare il messaggio che possa essere una donna, con il suo comportamento, a determinare la reazione violenta dell’uomo.

Il riferimento ai cosiddetti raptus sembra descrivere una situazione in cui un uomo normale, sano, equilibrato, all’improvviso perde la testa in seguito ad una provocazione troppo forte. Ma non è così. Ciò che è fondamentale dire (e ripetere)è che la violenza non emerge dal nulla: l’autore del reato è violento già prima di realizzare concretamente l’atto. Un uomo equilibrato, in grado di vivere relazioni sane, è consapevole che una donna è un individuo libero, che non è possibile possedere un altro essere umano e che l’altra persona può rifiutare la sua corte, mettere fine alla relazione o voler stare con un altro. Un uomo sano prova dolore, delusione e anche rabbia talvolta, ma sa che la sofferenza può essere affrontata e superata col tempo. Alcuni uomini non sono in grado di fare tutto questo. Invece di affrontare la sofferenza, attribuiscono alla donna la colpa del dolore che stanno provando. L’uomo violento si sente privato di una cosa che gli appartiene, come se gli venisse negato un diritto. La rabbia allora cresce e non riesce a placarla, se non agendola sull’altra persona. Gli autori di violenza presentano caratteristiche che potrebbero (e dovrebbero) rappresentare dei segnali precoci da utilizzare per fermare queste persone prima che sia troppo tardi.

Tra queste c’è la scarsa capacità di regolare le emozioni, prima di tutte la rabbia, e la propensione all’utilizzo della violenza, sia fisica che verbale, anche fuori dalle mura domestiche e non solo con le donne. Inoltre è presente una bassa consapevolezza della gravità dei propri gesti e della sofferenza procurata, una tendenza ad attribuire ad altri la responsabilità delle proprie reazioni (“è lui/lei che mi ha provocato”) e una concezione della partner come proprietà (“sei mia e non posso immaginarti con nessun altro”). Gli autori di violenza domestica utilizzano tecniche di manipolazione, simili ad un vero e proprio lavaggio del cervello: lo scopo è quello di assoggettare la partner ai propri bisogni e desideri, esercitando il proprio potere e demolendo, giorno dopo giorno, l’autostima, l’autonomia e la capacità di reagire della donna. Le vittime imparano ad avere paura e a mettere in atto comportamenti di sottomissione per evitare di suscitare una reazione violenta. Le donne maltrattate finiscono così per colludere con gli uomini violenti, restando per anni (talvolta per sempre) in relazioni abusanti. Private della propria autostima, iniziano a dubitare di tutto, anche di avere ragione. Confuse e disorientate, a volte pensano di essere pazze. Si sentono sbagliate e responsabili, non sono in grado concretamente di mettere in atto dei comportamenti per tirarsi fuori da questa situazione.

Ma cosa fare allora per aiutare queste donne?

In una società che considera le vittime di violenza responsabili in buona parte degli episodi subiti non c’è da stupirsi che la maggior parte delle iniziative siano incentrate sul rendere le donne meno soggette a violenza psicologica o fisica. Sebbene sia fondamentale educare le donne all’indipendenza, al rispetto di se stesse e alla consapevolezza del proprio valore per evitare che instaurino relazioni a rischio, oltre a fornire assistenza legale e supporto psicologico, tutto ciò non è sufficiente. L’augurio è quello che vengano messi in atto al più presto degli interventi sui potenziali autori di abusi e violenze e percorsi per educare bambini e ragazzi al rispetto per ogni essere umano in un’ottica preventiva.

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Articolo della dottoressa Tiziana Di Scala (tel. 3208531292)

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Liberamente” è curata da Ilaria Castagna, psicologa, laureata presso l’Università degli Studi de L’Aquila, specializzanda presso la Scuola di Psicoterapia Cognitiva Comportamentale di Caserta A.T. Beck

Tel: 3456260689

Email: castagna.ilaria@yahoo.com

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