LE OPINIONI

IL COMMENTO Operette (im)morali 

All’incirca 57 anni fa, all’esame di maturità classica, scelsi il tema sulle Operette Morali di Giacomo Leopardi. Le avevo letto per conto mio, non che le avessimo approfondite nel corso dell’anno scolastico. Tanto è vero che possedevo l’edizione Arnoldo Mondadori del 1950, ben antecedente alla frequenza liceale. “Poesia in prosa” quella delle Operette, in cui ci sono tutti i motivi lirici dei Canti ma anche tutte le riflessioni filosofiche dell’Autore, dall’infelicità umana al contrasto Uomo-Natura, al dolore, alla vanità della Gloria. Benedetto Croce rilevava, nelle Operette, “un’antipatia pel nuovo e pel vivente”. Perché richiamo qui quel libro e il grande poeta? Perché ho l’impressione, a distanza di anni da quel tema di maturità, che si stiano realizzando, nell’odierna società, tutte quelle condizioni di “disagio umano” liricamente rappresentato da Leopardi. A partire dalla “Storia del genere umano” col passaggio del mondo abitato dai primi uomini “creati per ogni dove a un medesimo tempo, e tutti bambini, e tutti nutriti dalle api, dalle capre e dalle colombe, e con la terra molto più piccola che ora non è, quasi tutti i paesi piani, senza il cielo, senza stelle, e prima che fosse creato il mare“. E poi man mano, si spense la luce e lo spirito della fratellanza e dell’amore universale, e gli uomini divennero infelici e allora Giove ingrandì la terra, creò il mare e le stelle ma,poco dopo, gli uomini ripiombarono nella noia, in assenza di ulteriori novità e si volsero all’empietà. Cadde dunque, per Giacomo Leopardi, sugli uomini, incontentabili, la punizione del diluvio, ad opera di Giove. 

Ma anche i mali, come il diluvio, sono illusori e perciò Giove si decise a mandare sulla terra alcune “sembianze eccellentissime e sovrumane” e cioè la Giustizia, la Virtù, la Gloria, l’Amor Patrio e infine l’Amore e la Verità. Ma la Verità non basta a disingannare gli uomini dal desiderio della felicità, peraltro impossibile da raggiungere, e l’Amore serve – di tanto in tanto – a lenire in parte l’infelicità. Veniamo ai giorni nostri: la Giustizia e la Virtù sono “sembianze eccellenti e sovrumane” ovvero una specie di Idee platoniche, archetipi immateriali, o sono modelli deteriori che recano in sé tutti i difetti umani? Sono specchi in cui gli uomini devono riflettersi o sono esse stesse i riflessi delle debolezze umane? E’ una domanda retorica, perché non si capisce più che cosa sia oggi la Giustizia né quali siano le virtù umane. E che cosa oggi s’intende per Gloria? Il successo? Quello economico, quello di immagine, di status symbol ,quello della comunicazione virtuale? E’ questa la Gloria? E l’Amor Patrio, di cui il Governo in carica si fa vanto , che cos’è? L’attaccamento ai valori, usi, costumi, tradizioni che accomunano un popolo o la difesa egoistica di confini, calcolatrice di xenofobia e razzismo alla Generale Vannacci? Ne avrebbe motivi,oggi, Leopardi di sostanziare e supportare ulteriormente la propria pessimistica visione lirica e filosofica. Basta guardarsi intorno, nel territorio circoscritto e omogeneo della nostra isola, in cui impera un’ipocrisia di fondo, a livello religioso (dove ad una facciata perbenista e caritatevole quasi mai corrisponde genuinità di altruismo e solidarietà umana); a livello economico (dove ad un conclamato spirito aziendale e di libertà d’impresa corrisponde un familismo che frena il progresso  e uno sfruttamento della forza lavoro che mortifica gli uomini); a livello sociale (dove impera il più assoluto individualismo e frazionismo possibile). Disgregazione morale e sociale. Basta guardare il cinismo con cui viene assorbita ogni vittima di incidenti stradali. Continuano a morire persone ma insistiamo a correre, ad essere imprudenti, a usare auto e moto anche quando non ce ne sarebbe bisogno .E spesso si guarda al dito anziché alla luna (ci si scandalizza cioè delle foto scattate sull’incidente e ci si dispera di meno dell’interminabile catena di morti sulla strada). E si consente l’apertura di altre decine di autonoleggi  e noleggi di moto, aggirando così ogni divieto di sbarco di mezzi provenienti dalla Regione. “Sepolcri imbiancati”, tanto per rifarci ad una religione evangelica e genuina che è, ormai, nel cuore di pochi. “ Operette immorali” che condannano l’isola. 

Ma con questo, non mi iscrivo al club dei pessimisti cosmici isolani. Eh, sì, perché si va diffondendo (a destra come a sinistra) la convinzione che l’isola sia arrivata al punto di non ritorno. E così si rinuncia a qualsiasi tentativo di inversione di rotta, di riformismo, di rigenerazione urbana, di coesione sociale e morale. Ci si lamenta che abbiamo gettato, con la nostra scelleratezza, le nuove generazioni e quelle future nell’abisso della depressione fisica, morale ed economica, senza rendersi conto che è anche per il grido di ineluttabilità elevato da questi profeti di sciagure che si tradisce i giovani, che si toglie loro il bene più prezioso: la speranza. E ai giovani passa il messaggio: “Non c’è nulla da fare, se non scappare via da Ischia”. Sono stato circa 30 anni fuori di Ischia, in Emilia Romagna, dove ho acquisito conoscenze ed esperienze impagabili, ma arrivato il momento opportuno, non ho esitato a ritornare a Ischia, pur intravedendone il declino e il processo di deterioramento etico e materiale. Mi impegno da cittadino attivo e da osservatore socio-economico e giornalistico. Se solo fossi sfiorato dal dubbio dell’ineluttabilità della crisi finale del sistema Ischia, me ne ritornerei lì da dove sono tornato. E invece no: la paziente (Ischia) è grave ma non è detto che debba morire. Ci vogliono medici e medicine giuste e propugnatori di una nuova coscienza civica e di una nuova etica pubblica. E’ per questo che, come Diogene di Sinope continuo, con la lanterna in mano, a ricercare – nel buio – l’Uomo.

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