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Orlacchio vede “grigio”: «Serve realismo, sarà una stagione ricca di incognite»

Il turismo e le prospettive di una stagione che si preannuncia (se mai partirà) difficile, complessa e ricca di incognite: a Il Golfo parla il general manager del San Montano e del Borgo Santandrea ad Amalfi

Il coronavirus è stata una mazzata ovunque, anche sull’isola d’Ischia. Ma voglio partire in controtendenza: prima di parlare degli effetti negativi, è giusto dire che quello che accadrà dopo potrà anche essere un’opportunità – se non addirittura una necessità – per cambiare in meglio?

«La domanda è pertinente, ma la risposta può avere diverse sfaccettature. Diciamo che da sempre, nel momento in cui c’è contrazione o crisi c’è un punto di discontinuità che poi consente di poter mutare certe dinamiche. Noi ci portiamo innegabilmente dietro dei problemi legati alla nostra destinazione, però da qui a pensare che una crisi del genere possa far sì che le cose cambino, mi pare obiettivamente azzardato».

E quindi quali scenari possiamo ipotizzare?

«Vogliamo ripartire ma mancano protocolli ufficiali, girano quelli delle associazioni di categoria ma dal governo ancora nulla. Eppure rappresentiamo il 13 per cento del prodotto interno lordo e soprattutto parliamo di un comparto che per cento euro ne immette quasi ottanta nel sistema»

«Potrebbero profilarsi delle opportunità per dar vita a progetti a lungo termine, questo sì, ma per il resto occorre una dose di sano realismo. Insomma, è giusto guardare a quello che può venire dopo e a come potrà essere fatto meglio ma bisogna guardare al momento attuale e ai mesi che ci separano dalla fine della stagione. Non possiamo dimenticare che siamo una entità che vive di turismo, soprattutto stagionale: ecco, semmai quanto successo potrà finalmente farci capire quanto determinante possa essere la destagionalizzazione. Di sicuro diverse cose non torneranno più come prima».

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Ad esempio?

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«Mi viene subito da pensare al modo di viaggiare, alle compagnie aeree, al fatto che non ci saranno più carovane di turisti e assembramenti di varia natura. Adesso davvero non sarà possibile perché aumenteranno i costi per viaggiare nel breve e medio periodo. Insomma, la morale è che andrebbe ridisegnata un’offerta diversa per Ischia, decisamente troppo inflazionata negli ultimi anni».

C’è ancora troppa confusione, relativamente all’apertura degli alberghi (ovviamente per quanto vi riguarda) qual è il vostro orientamento?

«Con la proprietà lavoriamo guardando all’ottica di una riapertura. Valutiamo tutto quello che dobbiamo fare al nostro interno ma sono terribilmente sfiduciato su quello che invece avremmo già dovuto avere. Mi stupisco, ad esempio, che nella task force di Colao non ci sia una persona con capacità nel settore turistico per poter dare linee guida in un momento in cui bisogna fare i conti con incertezza, paura e diffidenza. E, particolare non trascurabile, con le aziende che dovrebbero accollarsi un considerevole aumento dei costi per procedure che non avranno ammortamenti: a emergenza finita, infatti, di certi macchinari non sapremo cosa farcene…».

Però la voglia di ripartire c’è.

«La stagione? Bisogna guardare a un breve arco temporale: qui, se si riesce a chiudere in pareggio, si è davvero maestri dell’economia. E poi ci sono i punti interrogativi legati all’ospitalità. Avremmo bisogno di una comunicazione che non esalti le bellezze dell’isola, ma che ne trasmetta un senso di sicurezza. In caso di contagi, ad esempio, quali sarebbero le modalità di azione?»

«Vogliamo riprendere ma i numeri nemmeno li guardiamo. Perché la prima domanda, e questo è un vero rebus, è: chi si muoverà? Gli immuni? Tutti? Che succederà in albergo se una persona dovesse accusare uno stato febbrile dettato magari da un semplice colpo di sole? Ischia è pronta? Sono quesiti a tratti angoscianti, noi dobbiamo offrire le dovute garanzie non soltanto agli ospiti ma anche a dipendenti e fornitori. Intanto una cosa è chiara: sull’isola abbiamo fatto il lockdown responsabilmente ma quando aumenteranno i numeri cresceranno inevitabilmente anche i rischi. Bisogna essere pronti a una maggiore convivenza. Non abbiamo protocolli ufficiali, girano quelli delle associazioni di categoria stilati da persone che vivono e conoscono le strutture ma dal governo ancora nulla. Eppure rappresentiamo il 13 per cento del prodotto interno lordo e soprattutto parliamo di un comparto che per cento euro ne immette quasi ottanta nel sistema. E poi…».

E poi?

«Se guardiamo alle nazioni che si organizzano con programmi e protocolli anti covid, resto basito dal fatto che noi pensiamo a far ripartire il calcio. Si dice che servirà a dar sollievo alle persone, ma dovremmo piuttosto prestare attenzione alle possibili e nemmeno lontane tensioni sociali. Personalmente, sono preoccupato di quello che potrebbe accadere a fine stagione, quando anche la domanda di posti per andare a lavorare all’estero non ci sarà. Qui va alzata la voce, non vorrei che si pensi troppo all’emergenza e poco o niente alla programmazione».

Crisi economica a parte, quale potrebbe essere l’handicap di una stagione turistica che, laddove dovesse partire, certamente lo farà in ritardo?

«In questa situazione c’è anche chi guarda a un possibile guadagno, sperando che lo Stato possa bloccare determinati pagamenti. Tutto questo senza occuparsi delle conseguenze possibili dal punto di vista sociale. Ecco, in questa fase abbiamo bisogno di imprenditori che fanno del senso di responsabilità il proprio core business»

«Al momento dobbiamo purtroppo limitarci a guardare a un arco temporale di quattro mesi, periodo nel quale dovremo provare a ridurre nei limiti del possibile le perdite. Qui, se si riesce a chiudere in pareggio, si è davvero maestri dell’economia. Detto questo, ci sono troppi rischi e punti interrogativi anche per quanto riguarda l’ospitalità. Noi avremmo dovuto essere già pronti con una comunicazione che non metta in risalto le singole bellezze dell’isola o i servizi delle singole strutture, ma che trasmetta piuttosto un senso di sicurezza. Insomma, Ischia deve essere pronta a regalare sicurezza in quello che potrebbe essere lo scenario peggiore. Faccio un esempio, anche se nessuno si augura che possa mai accadere: se noi aprissimo il 50 per cento di strutture con il 50 per cento di occupazione e ci trovassimo alle prese con il 10 per cento di infetti, quali sarebbero le modalità di azione?».

E quindi?

«Mi pare ovvio che occorra una adeguata organizzazione all’esterno delle strutture ricettive. Dentro abbiamo idee chiare e molteplici strategie, fa paura guardare al di fuori. Sull’isola certo aumenteranno i numeri per le seconde case e i turisti che arriveranno, dobbiamo essere bravi ad evitare la diffidenza. Se l’ospite guarda ad esempio con questo stato d’animo il dipendente o viceversa, tanto vale rimanere chiusi».

Su questo in parte hai già risposto ma proviamo ad andare più a fondo. Altrove comincia a muoversi qualcosa in termini di idee e iniziative, sull’isola sembra mancare una cabina di regia e tutto pare fermo al palo. In che cosa amministrazioni, imprenditori e categorie dovrebbero iniziare a darsi una mossa?

«Beh, torniamo alla sfiducia espressa poco fa relativamente alle professionalità che compongono la citata task force presieduta da Colao. Questa potrebbe essere l’occasione per mettere attorno a un tavolo coloro che fanno parte della filiera turistica, sarebbe un momento storico per dimostrare che possiamo fungere da esempio. Il tempo scorre veloce ma tra un mese e mezzo bisognerà ripartire: ho seguito con interesse le manifestazioni di protesta dei ristoratori, accadrà a breve anche coi negozianti. Occorre coraggio, anche quello di fare un passo indietro (e in politica mi rendo conto che questa è una cosa molto difficile) e mettere al tavolo tutti per tracciare un solco, quello che dovrà indicarci come si vuole ricominciare. Poi, in tutta onestà, ho anche un’altra perplessità».

Quale?

«Se lo Stato non interviene, cosa succederà? Ecco perché servono proposte, le amministrazioni si sbrighino: lo tsunami occupazionale lo abbiamo già messo in preventivo e qui parliamo di oltre diecimila persone. Alle volte sembra che solo adesso ci stiamo accorgendo che viviamo di turismo…»

«In questa situazione c’è anche chi guarda con interesse alla possibilità di poterci guadagnare, sperando ad esempio che lo Stato possa bloccare determinati pagamenti. Tutto questo, evidentemente, senza occuparsi delle conseguenze possibili dal punto di vista sociale. Ecco, in questa fase abbiamo bisogno di imprenditori che fanno del senso di responsabilità il proprio core business, pubblico e privato devono viaggiare all’unisono altrimenti non si va da nessuna parte e invece questo non accade. C’è caos, le Regioni fanno quello che vogliono, in Campania ad esempio siamo in piena campagna elettorale: si mettano da parte i proclami e si pensi non soltanto ad oggi ma anche a quello che potrà succedere dopo. E che, francamente, rischia di essere qualcosa di molto triste…».

Decine di migliaia di persone rischiano di rimanere senza lavoro e senza risorse: sinceramente, c’è il rischio di tensioni sociali sulla nostra isola che oltre al turismo non ha scappatoie?

«Dovremmo guardare con estrema attenzione a quanto successo a Ischia negli ultimi anni. L’isola ha vissuto il fenomeno delle migrazioni estive, roba che una volta sarebbe stata impensabile. Io, in Svizzera, trovavo gente che andava lì per svernare due o tre mesi poi lo scenario è cambiato con degli ammortizzatori sociali che davano la possibilità di vivere tranquillamente a Ischia anche d’inverno e mi riferisco per esempio all’edilizia, abusiva o meno che fosse. Poi questo è venuto a mancare, la Naspi è stata ridotta del 50 per cento, la stagionalità si è accorciata e così il territorio ha iniziato un lento ma costante impoverimento. Ecco, il risultato come dicevo è che adesso tanti nostri concittadini lavorano all’esterno anche nel periodo estivo. Ma attenzione perché oggi anche quelle strutture all’estero non potranno accettare le richieste: avremo persona che verranno da un inverno e un’estate senza lavoro e un nuovo inverno che non potrà vederli occupati fuori. Insomma, se lo Stato non interviene, cosa succederà? Ecco perché servono proposte, le amministrazioni si sbrighino: lo tsunami occupazionale lo abbiamo già messo in preventivo e qui parliamo di oltre diecimila persone. Alle volte sembra che solo adesso ci stiamo accorgendo che viviamo di turismo…».

Chiudo con la sintesi di tutto quanto ci siamo detti. Con un telegramma, risposta secca: quest’estate andremo in vacanza e al mare oppure no?

«Abbiamo vissuto e stiamo vivendo, ribadisco una volta di più, una situazione di totale incertezza. Voglio immaginare che magari ci siamo scrollati di dosso una parte di paura anche se occorre mantenere sempre la guardia alta. Poi sull’isola e nella nostra regione, e più in generale al sud Italia abbiamo avuto un paio di settimane di tempo per poterci organizzare senza dimenticare – come sottolineato dagli scienziati – che siamo fortunati ad essere nati in posti così. Come italiano vorrei uno Stato che mi desse garanzie, altrimenti temo che succeda quello che è accaduto in Calabria o in Trentino, dove si chiede autonomia e ognuno fa quello che gli pare. Ma la verità è che se si arriva a questo allora la situazione diventa davvero difficile. L’estate, in ogni caso, è un momento di svago un po’ per tutti ma qui parliamo di luglio e agosto perché a settembre bisogna tornare a scuola. Il turismo, se come appare scontato dovrà essere solo italiano, si limiterà a questi due mesi, a meno che non si riescano a recuperare fette di mercato in Germania, visto che i tedeschi saranno i primi a ricominciare a viaggiare».

C’è da essere ottimisti?

«Voglio sperare che i numeri dovranno darci ragione, passando con maggiore sicurezza dalla Fase 2 alla Fase 3, ma questa sicurezza deve essere data da direttive certe e ufficiali altrimenti nessuno si muoverà fino a quel momento. Tra l’altro va sottolineato come le aziende dovranno presumibilmente addossarsi anche una grande responsabilità civile e penale. Sarebbe il danno oltre la beffa, prima di dare giudizi mi riservo in ogni caso di attendere un paio di settimane. Ma credimi, sono deluso dal Governo: inizialmente mi sembrava essere partito bene, adesso siamo rimasti ai soli slogan. Altre nazioni hanno lavorato diversamente, anche noi abbiamo diritto di sapere cosa si può fare e cosa no, basta stare in questo limbo».

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