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Processo Diotallevi, le motivazioni della sentenza

Ecco le argomentazioni che hanno portato il giudice ad assolvere la dottoressa Pisano dall’accusa di omicidio colposo per la morte della ventottenne che spirò all’ospedale di Lacco Ameno il primo dicembre di sei anni fa

L’assoluzione della dottoressa Viviana Pisano, lo scorso ottobre, ha chiuso il lungo processoper la morte di Maria Diotallevi, la 28enne che spirò il 1° dicembre 2015 all’Ospedale Rizzoli di Lacco Ameno, dove già si era presentata due giorni prima al Pronto Soccorso in preda a un malessere.Tale malessere, dopo la dimissione disposta nella serata del 29 novembre, si era poi riacuito al punto da indurre i familiari a ricorrere nuovamente alle cure del nosocomio due giorni dopo, che tuttavia non poterono impedire il tragico epilogo. Adesso sono disponibili le motivazioni attraverso le quali il giudice Pizzi assolse la dottoressa Pisano, difesa dall’avvocato Massimo Stilla, “perché il fatto non costituisce reato”.

L’accusa, lo ricordiamo, era quella di “avere, per colpa, mancato di diagnosticare una severa broncopolmonite, avendo omesso l’esecuzione di un esame clinico e un esame radiografico del torace, e l’emogas analisi, limitandosi ai soli accertamenti dell’apparato digerente, senza valorizzare l’ipotermia”. Circostanze che, secondo la pubblica accusa, avrebbero configurato una condotta colposa tale da portare alla morte di Maria Diotallevi.

Nelle motivazioni il giudice esordisce spiegando che “nel merito, all’esito dell’istruttoria dibattimentale non è stata acquisita prova sufficiente della colpevolezza dell’imputata in ordine al reato di omicidio colposo a lei ascritto”. Il magistrato, dopo aver sinteticamente riassunto la successione degli eventi di quei giorni, riporta le conclusioni dei consulenti del pubblico ministero, secondo cui i sintomi accusati dalla paziente, febbre, vomito e diarrea, avrebbero orientato i sanitari verso una diagnosi di gastroenterite, mentre la febbre indicava uno stato settico che avrebbe dovuto indurre a eseguire, oltre l’esame obiettivo generale, anche la radiografia del torace e un emogas analisi. Nella relazione i consulenti affermavano che un corretto esame del torace avrebbe evidenziato la necessità dell’approfondimento radiografico e ciò avrebbe permesso la diagnosi del processo di broncopolmonite nell’arco di poche ore, e quindi la prescrizione di un’adeguata terapia antibiotica.

Secondo il magistrato, sulla base degli elementi a disposizione dell’imputata al momento del primo accesso al Pronto Soccorso, la sintomatologia non deponeva a favore di una diagnosi di polmonite, e nel dibattimento non sono emersi elementi in tal senso

Alla controversia relativa alla diagnosi, va aggiunto quanto emerse in sede di autopsia, che permise di rilevare anche una coronarosclerosi di grado moderato severo, e una lipomatosi miocardica severa del ventricolo destro. Dunque patologie cardiache di non lieve entità: secondo il consulente di parte dell’imputata, il professor Catena, non vi fu uno shock settico, perché non vi era lesione e partecipazione dei vari organi, ma tale conclusione non è stata condivisa dal giudice, perché uno dei polmoni presentava un buco, quindi la lesione c’era. Il professor Catena aveva comunque affermato che, vista la giovane età della Diotallevi, la causa della morte sarebbe proprio la cardiopatia da cui era affetta, e addirittura a suo parere senza la broncopolmonite la paziente sarebbe comunque morta, portando l’esempio di un calciatore deceduto nel sonno che apparentemente non aveva nulla, ma non aveva più tessuto muscolare del cuore. Esempio che per il giudice non è calzante, visto che la Diotallevi aveva anche una broncopolmonite grave al momento del secondo accesso in ospedale, come verificato in autopsia. Il dottor Pizzi prende poi in esame il convincimento del consulente di parte civile dottor Maiellaro, secondo cui la causa del decesso sarebbe da ascrivere a una insufficienza di più organica, secondaria a uno shock settico provocato dalla broncopolmonite acuta plurifocale: in sostanza, secondo Maiellaro, la lipomatosi (cioè l’ispessimento del grasso delle pareti miocardiche), avrebbe favorito ulteriormente l’evoluzione della malattia, ma sempre all’interno di una sepsi già in atto, perché in assenza di quest’ultima la lipomatosi sarebbe rimasta asintomatica, anche se non si sa per quanto tempo. Tale valutazione secondo il giudice è più attendibile perché trova un riscontro nei risultati dell’autopsia.

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Sul punto, secondo lagiurisprudenza della Cassazione il nesso di causalitàpenalmente rilevante può essere ravvisato quando, alla stregua del giudizio controfattuale condotto sulla base di una generalizzata regola di esperienza o di una legge scientifica – universale o statistica -, si accerti che, ipotizzandosi come realizzata dal medico la condotta doverosa impeditiva dell’evento hic et nunc ( nel caso di specie la tempestiva diagnosi della infiammazione dei polmoni ), questo non si sarebbe verificato, oppure si sarebbe verificato ma in epoca significativamente successiva o con minore intensità lesiva. Nel caso in questione, scrive il giudice, non sono stati acquisiti elementi utili per affermare che il primo dicembre 2015 la Diotallevi sarebbe morta anche in assenza della broncopolmonite, o meglio anche se questa fosse stata diagnostica ecurata tempestivamente. Ciò è la stessa cosa di dire che la concausa costituita dalla pregressapatologia cardiaca, che era sconosciuta prima della autopsia, non ha fatto venir meno il nesso di causalità tra l’omessa diagnosi della broncopolmonite e il successivo decesso della Diotallevi, che ha coinciso sicuramente con un arresto cardiocircolatorio, perché la morte è caratterizzata sempre dal cessare del battito del cuore, ma questo non significa che la causa della morte fosse la patologia cardiaca. In altri termini, senza la broncopolmonite, forse la Diotallevi sarebbe comunque morta a causa della coronasclerosi e della lipomatosi, ma in un momento successivo, mentre in occasione del decesso del 1° dicembre 2015 queste ultime patologie costituirono semplicemente una concausa. In concreto, la patologia respiratoria si manifestòin forme particolarmente gravi, addirittura con un buco in un polmone, e per questo motivo il giudice Pizzi ritiene convincente la tesi dei consulenti della Procura e della parte civile, che hanno individuato nella infiammazione conseguente alla broncopolmonite la causa del decesso.

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Tuttavia, questo discorso vale solo per l’accertamento del nesso di causalità, ma non sotto il profilo della verifica dell’elemento psicologico della colpa. Lo stesso consulente di parte civile, il dottor Maiellaro, in udienza ha dichiarato che esistevano gli elementi per affermare l’esistenza di un processo infettivo flogistico, costituitidalla febbre alta, ma che gli esami di laboratorio non consentivano in quel momento di fare una diagnosi di broncopolmonite. Su questo punto specifico la sua valutazione quindi concorda conquella espressa dal consulente della difesa, professor Catena, laddove questi aveva evidenziato che la febbre è l’espressione diuna reazione dell’organismo, che è generica di tutte le malattie, quando ha un processo infiammatorio, e la gastroenterite è un processo infiammatorio. In effetti nel referto del prontosoccorso non risultano i sintomi della dispnea, della tosse o del catarro, ma del mal di stomaco e della diarrea, compatibili con la gastroenterite.

Inoltre non può dirsi con certezza, come voleva l’accusa, che fu omesso l’esame del torace. Anzi,nel referto è barrata la casella “visita medica”,espressione generica, ma non si può pretendere che un atto di per sé sintetico, come l’attestato di visita redatto in un reparto di urgenza come il Pronto Soccorso, indichi analiticamente la tipologia di tutti gli esami clinici effettuati. Fra l’altro, che l’auscultazione del torace abbia avuto luogo, è stato affermato dall’imputata nel corso del suoesame e confermato dalla testimone Campitiello, infermiera in servizio nel reparto di Pronto Soccorso dell’ospedale Rizzoli di Lacco Ameno, che nel corso dell’udienza ha dichiarato che la Pisano visitò la paziente ed effettuò questo esame clinico obiettivo, insieme con l’auscultazione de! cuore e dell’addome. Non solo, ma stando alla deposizione della Campitiello fu effettuato anche l’esame della saturazione del sangue attraverso l’apposito apparecchio, che diede il risultato di 98. La teste aveva anche precisato che l’emogas analisi è un prelievo che viene effettuato dal polso, dalla sede radiale, ma solo se ci sono le condizioni, come la distribuzione periferica dell’ossigeno bassa, intorno al 90-91, perchéè molto doloroso come prelievo. Ciò significa che, in assenza di un risultato preoccupante dell’esame preliminare effettuato con ilsaturimetro, non vi era necessitàdi fare un esame diagnostico più invasivo. La teste ha inoltre confermato quello che risulta dal referto, vale a dire che dopo la terapia effettuata al Pronto Soccorso su indicazione della Pisano, la febbre era scesa, e nell’occasione la Pisano ebbe l’accortezza di chiedere un esame specialistico attraverso la consulenza di un medico internista quale il dottor Di Scala, il quale, per quanto da lui stesso dichiarato nel corso dell’esame testimoniale, concluse che si trattava di una gastroenterite di probabile origine virale, confermando la diagnosi della collega. In sostanza, il trattamento antipiretico somministrato in Pronto Soccorso era servito almeno a far scendere la febbre, e non erano stati riscontrati sintomi specifici di una crisi respiratoria, come dispnea e tosse, ed anche l’esame con ilsaturimetro aveva fornito un valore normale del livello di ossigenazione del sangue. Anzi, i sintomiriscontrati, di diarrea e vomito, erano compatibili con una diagnosi di gastroenterite, e questa fu la conclusione a cui arrivò la dottoressa Pisano. Tale conclusione è avvalorata dalla deposizione del dottor Di Scala, il quale nel corso della sua deposizione ha affermato di aver auscultato il torace della paziente, senza avvertire rumori di fondo. Se questo era il quadro clinico sintomatologico, che deponeva per una gastroenterite, non vi erano motivi per effettuare un esame radiografico del torace.

Venendo a mancare l’elemento psicologico della colpa, non ci sono dimostrazioni d’imperizia nella diagnosi oltre che nel trattamento della malattia, circostanza che ha comportato l’assoluzione della dottoressa

Resta la perplessità di fondo, scrive il giudice, su come sia stato possibile che due medici dell’ospedale, di cui uno, la Pisano, specialista in pneumologia, avesseroauscultato il torace della Diotallevi senza riscontrare tracce di polmonite. Sul punto il magistrato precisa che occorre considerare che è ovviamente diverso riscontrare i segni di una malattia quando la crisirespiratoria è chiara sulla base dei sintomi, come in occasione del ricovero del primo dicembre, o in sede di autopsia, quindi “ex post”, mentre la verifica della colpevolezza va effettuata “ex ante” in concreto, sulla base degli elementi effettivamente a disposizione della Pisano al momento del primo accesso della Diotallevi al Pronto Soccorso. Infattila sintomatologia non deponeva a favore di una diagnosi iniziale di polmonite, o almeno non sono stati acquisiti nel dibattimento elementi certi in questo senso. Di qui l’assoluzione della Pisano per difetto dell’elemento psicologico della colpa, nel momento in cui manca una dimostrazione sicura della sua imperizia nella diagnosi della malattia, ancor prima che nel trattamento della stessa.

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