Va’ dove ti porta il vino: anche il turismo diventa Doc
Un giro d’affari da 2,5 miliardie 14 milioni di presenze annue solo in Italia. Il punto sull’Isola: le eccellenze non mancano mail turismo enogastronomico di qualità è quasi tutto da costruire
Non solo luoghi ma anche nuovi sapori, le birre artigianali e la tal cantina raccomandata dall’amico sommelier. E poi le vie della mozzarella o quella dei salumi tipici, erbe aromatiche e tartufi: ilturismo enogastronomico è sempre più un mondo di altissime esperienze gusto-sensoriali, ormai le principali motivazioni di un viaggio. D’altronde, bere e mangiare bene è sempre stata una delle maggiori soddisfazioni del turistache oggi chiede qualcosa in più. Anche le esigenze dei wine& food travellers sono molto ma molto cambiate. L’enoturismo, in particolare, è un segmento in fortissima ascesa, con numeri di tutto rispetto. Secondo l’ultimo Rapporto firmato dall’Università di Salerno e dalle Città del Vino, infatti, le presenze annuali di enoturisti in Italia si aggirano intorno ai 14 milioni, per un giro d’affari di 2,5 miliardi di euro. In media, il turista del vino spende circa 85 euro al giorno, cifra che sale a 160 se includiamo il pernottamento.
E in tempi di crisi non è poco. Cifre talmente importanti da indurre il Ministro delle Politiche Agricole,Gian Marco Centinaio, alla stesura definitiva di nuove norme atte a disciplinare un’attività che in altri Paesi hanno già regolamentato da tempo. Un turismo Doc, quindi, coordinato dall’approvazione delle “Linee guida”, in vigore ormai da qualche mese. Un decreto che prevede, tra le altre cose, la presenza in cantina di guide altamente specializzatenonché bicchieri di vetro per le degustazioni e altro ancora. Più servizi e riconoscibilità, quindi, per rappresentare meglio il connubio vino-territorio. Parliamoci chiaro: non è che in Toscana, la regione più all’avanguardia in questo campo, aspettassero l’entrata in vigore di queste norme ma sapere che il decreto equipari il Wine Tourism alle attività agrituristiche, regolamenterà certamente il turismo di qualità anche in altre parti d’Italia. Infatti, pochi sapevano che non era possibile fatturare visite e attività in vigna, così come paradossalmente non era possibile neanche somministrare una degustazione senza una licenza da winebar. Ora invece, prima di iniziare un’attività enoturistica, occorrerà presentare la cosiddetta Scia (Segnalazione certificata di inizioattività) presso il Comune di appartenenza.Ma facciamo il punto sull’Isola. A Ischia cosa succede? Abbiamo un po’ più di lavoro da fare. Eccezion fatta per pochi e coraggiosi produttori, l’Isola del Vino sta a guardare, beandosi di un’offerta termale ancora troppo “all inclusive” fatta di (troppi) ristoranti mordi e fuggi e dove, udite udite, servono Lambrusco invece che Biancolella.
Le Strade del Vino ancora troppo poco valorizzate, in estate “troppe” bancarelle e pochi, se non inesistenti street food d’autore; amministratori che sono “sordi” al richiamo del fascino gourmet dell’Isola e che poco (o niente) appoggiano le eccellenze locali in trasferta: vedi il mancato stand dell’azienda Mazzella all’ultimo Vinitaly. Siamo l’sola del “troppo” o del “troppo poco”. Però ci si offende, anzi guai, al paragone con Capri, che nel frattempo produce vino e birra artigianale e lo sbandiera a tutto il mondo. Chissà perché le amministrazioni dimenticano che Ischia è la terra di Nino Di Costanzo e di un gran numero di chef stellati e che solo qui ettari ed ettari vitati si arrampicano sulle colline e rendono il paesaggio di una bellezza disarmante.Tutto vero però non siamo né Patrimonio Unesco tantomeno sito GIAHS come le Langhe o il Soave.Ma quello che fa ancor più dispiacere è che manchi per volontà degli stessi produttori un Consorzio che comunichi la complessità del vino ischitano e quell’unicum rappresentato da una denominazione irriproducibile altrove, frutto di vitigni autoctoni e di un territorio davvero come pochi. Signori amministratori, signori produttori, fermatevi a pensare (ma in realtà lo sapete già) che i vostri vini, che siano di Forio piuttosto che di Campagnano, hanno una marcia in più: sono semplicemente unici. Un valore che va spiegato e raccontato, testimoniato da un ente di tutela che promuova e valorizzi un patrimonio inestimabile. La storia della famiglia D‘Ambra ha fatto scuola ma la storia da sola ora non basta più: tocca a voi, occorre la crescita e questo dipenderà dalla capacità di far conoscere l’unicità del prodotto Ischia e dei luoghi di produzione. Un valore aggiunto è proprio quello dell’enoturismo, ovvero far parlare il vino e i suoi luoghi per far sì che anche i grandi rimangano tali e che ipiccoli possano diventare “grandi nel loro piccolo”, trainati dall’eccellenza di una denominazione che può portare solo ricchezza al territorio. Piccolo è bello ma facciamolo sapere a tutti.