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ART.1 DELLA COSTITUZIONE:” L’ITALIA E’ UNA REPUBBLICA FONDATA SUL LAVORO”

 

Ma i partiti e i sindacati ci hanno capito qualcosa? Sanno davvero come occupare i lavoratori nell’era della globalizzazione e dell’automazione, senza renderli schiavi?

Il Papa pone il lavoro al primo posto delle priorità dell’attuale società italiana. Sociologi, economisti, magistrati, forze dell’ordine, tutti invocano più lavoro per una pax sociale e per uno sviluppo equilibrato del Paese. Perfino nella nostra isola c’è chi – sia pure coperto dall’anonimato – grida alla “ schiavitù” nelle condizioni attuali del lavoro dipendente. Gianluca Trani, aspirante Sindaco d’Ischia, lancia, dal suo punto di ascolto web, la sfida per il lavoro ad Ischia.

Nella politica nazionale, il PD si scinde e il gruppo dei fuoriusciti crea un nuovo movimento che si richiama direttamente all’art. 1 della Costituzione “ La Repubblica italiana è fondata sul lavoro…”. L’ex premier Renzi va ad ispirarsi in America per capire di più su lavoro, occupazione, innovazione, produttività. E i sindacati? La CGIL è tutta impegnata sul fronte dei Referendum che dovrebbero abolire i “Voucher” e introdurre la responsabilità contrattuale anche dei committenti, oltre che degli esecutori, negli appalti. E gli industriali? Tranne lodevoli eccezioni di operatori che hanno saputo innovarsi tecnologicamente e che non hanno ridotto la forza lavoro, ma – al più – l’hanno interscambiata ( meno operai generici, più ingegneri) per il resto si è vissuto una stagione di abbacinamento prodotto dall’ottimismo renziano e di opportunismo delle aziende nell’uso furbesco e distorto dei voucher e delle assunzioni agevolate che, alla fine dei tre anni, difficilmente saranno riconfermate. Nascono, nelle difficoltà produttive, nuove forme di “ luddismo”, di lotta alla tecnologia ( c’è chi parla di tassare i robot), di guerra alle grandi piattaforme digitali, in grado di rivoluzionare alcuni servizi primari della società moderna ( trasporti, ricezione alberghiera, ristorazione a domicilio e così via). E certi imprenditori si sentono minacciati dalla modernità e puntano il dito su questa o quella multinazionale dell’economia digitale, senza accorgersi che il fenomeno è inarrestabile. L’albergatore ( anche ad Ischia) combatte Airbnb? Ecco che spunta un altro colosso del low cost ( Ryanair) che oltre ad effettuare voli a basso costo, offrirà, d’ora in poi, anche la sistemazione in albergo, bad & breakfast , ostelli e perfino la copertura assicurativa. Ryanair è in condizione di accontentarsi del 5% dagli alberghi che aderiscono alla piattaforma, a fronte del 20% preteso dalle piattaforme attuali tipo Expedia, Booking, Trivago ecc. Nei trasporti, i tassisti si scagliano contro Uber e Uber arricchisce la gamma dei propri servizi ( Ubereats) con la consegna a domicilio di ogni tipo di cena ( food delivery) con l’impiego di fattorini in bicicletta, facendo concorrenza ad altre piattaforme ( che i giovani in città conoscono benissimo) come JustEat o Foodora. Il sospetto è che c’è un grande ritardo di tutte le rappresentanze sociali,politiche e sindacali a capire le trasformazioni mondiali. Susanna Camusso, segretario generale della CGIL, è per l’abolizione totale dei voucher, è contro Foodora, Airbnb, Uber, contro le APP, contro le piattaforme digitali che schiavizzerebbero la manodopera. Ma perché, le donne che muoiono nella raccolta dei pomodori o i dipendenti di certi alberghi ( anche ischitani) che flebilmente denunciano il loro stato di schiavitù sono vittime delle piattaforme digitali o, piuttosto, sono figli di un’imprenditoria incapace di produrre reddito a sufficienza? Il M5S, questo movimento giovane, moderno, tecnodipendente, cosa propone per la crisi del lavoro? Il reddito di cittadinanza: un minimo vitale ( 400 euro?) indistintamente per tutti. Secondo un calcolo del prof. Stefano Toso, dell’Università di Bologna, una simile misura costerebbe circa 300 miliardi di euro. E come la finanzieremmo? Ma, soprattutto, quale stimolo potrebbe derivare all’innovazione e alla produttività da una piccola cifra pro capite, data a prescindere da lavoro, merito, reddito? Una società così assistita sarebbe la più pigra ed inerte che si possa immaginare. Renzi è più furbo. Di ritorno dall’America, dopo aver fatto visita anche ai vertici di Airbnb ( che ha fatto scatenare gli albergatori) ha annunciato che uno dei temi centrali del Congresso del PD sarà non il “ Reddito di cittadinanza” bensì  il “ Lavoro di cittadinanza”. In altre parole, lo Stato si fa garante della transizione negli sconvolgimenti socio-economici moderni: i lavoratori espulsi dal mercato del lavoro perché ritenuti obsoleti, verrebbero presi in carico dallo Stato, con una paga di minimo vitale, a fronte della formazione per la riconversione e riadattamento alle nuove mansioni della modernità. La scelta di Renzi ci sta, ma ci voleva l’America per suggerire questa strada?  E a che cosa sono serviti, fino ad oggi, i vari economisti di cui si è circondato fin dall’inizio?  Se i nostri politici twittassero un po’ di meno e leggessero un po’ di più, si accorgerebbero che temi della modernità, come quelli dell’automazione del lavoro, sono studiati da anni. Da ultimo, uno studio dell’Università di Oxford evidenzia come sia automatizzabile il 47% dei posti attuali ( in particolare cinque attività: impiegati e manager che elaborano dati, venditori di beni di consumo, giornalisti e scrittori, medici, commercialisti e ragionieri). Se i nostri politici studiassero un po’ di più, saprebbero che un grande economista, Jeremy Rifkin, già 20 anni fa, con il libro “ La fine del lavoro” aveva individuato la maggior parte delle moderne problematiche del lavoro. Aveva capito lo sconvolgimento dell’automazione, aveva capito che la risistemazione delle unità lavorative in altri gradini della scala lavorativa sarebbe stata molto parziale, che nemmeno i servizi avrebbero potuto assorbire gli esuberi dei settori tradizionali dell’industria. Ma, qui viene il lato positivo, la speranza intuita da Rifkin: ci resta una via che è quella dei “ servizi di relazione”. Rifkin è l’antesignano dell’ “ economia sociale”, che punta non ad una cieca produzione di beni di consumo ( molte volte superflui) ma ad un’assistenza volontaristica ( Terzo Settore), nei campi della sanità, ricerca, delle arti, della religione. Scrive Rifkin, riferendosi all’America ma estensibile a tutto il mondo occidentale: “ Le organizzazioni di servizi di volontariato assistono i vecchi e gli handicappati, i malati di mente, la gioventù disattata, i senza tetto e gli indigenti. Volontari ristrutturano case diroccate e contribuiscono alla nuova costruzione di abitazioni popolari…. Altri ancora vengono impiegati nelle campagne per eliminare analfabetismo, nei programmi di sostegno scolastico, nei centri di assistenza sociale…” E potremmo aggiungere, per l’Italia, vanno nelle zone terremotate a scavare, fornire cibo, aiutare, sostenere psicologicamente chi  ne ha bisogno.

Per finire, Renzi, con ritardo, ha intuito qualcosa, ma si è fermato all’idea di finanziare la riconversione dei lavoratori come se ci fosse comunque la possibilità di riallocare nel mondo produttivo ( con mansioni nuove) tutti gli espulsi. Non arriva al punto di capire che la chiave di volta è il Terzo Settore, come predica da anni l’economista cattolico bolognese Stefano Zamagni, che venne a spiegare anche ad Ischia le sue tesi. Speriamo che la novella formazione politica “ Movimento dei Democratici e Progressisti” che punta tutto sull’art.1 della Costituzione che parla di lavoro, sappia comprendere questa unica speranza che ci rimane ( e non mi riferisco al giovane dirigente che ne porta il cognome).

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