LE OPINIONI

«Caffè Scorretto» «La sottile linea (rotta) della classe dirigente»

La stampa locale, specie quella che si muove sulla linea della critica per “rompere”, non è un semi-dio cui prestare ascolto con fede e basta. Allo stesso modo neppure un sindaco è un uomo, o una donna, per metà dio (ciò ripercorre un’affermazione che ho fatto qualche settimana fa). Ciò nonostante non è sempre ben vista, va peggio per chi si permette di esaminare eventuali deficienze nei comportamenti, politici o amministrativi. Anzi, pur esponendosi in prima linea a tiri mancini, non si trova quasi mai in quella dimensione logica del confronto giacché dall’interlocutore appare evidente una chiusura quasi ermetica quando si tratta di rimettere in discussione la propria posizione.

Le ragioni di questa resistenza sono molteplici. Vanno dall’incapacità di rivedere il comportamento, talvolta si tratta d’immobilismo, delle amministrazioni e dei sindaci, fino al “permettersi”, quasi fosse lesa maestà, di indicare strade alternative (a quelle prese o addirittura non percorse sebbene presenti) per uscire dal solco di una miopia che non poche volte rischia di trasformarsi in abitudine. Accettare la critica, da parte dei destinatari, significherebbe scalfire anche di poco la propria posizione per rimetterla in gioco, porsi in maniera pro-attiva e maturare o, perché no, imparare, che esistono visioni alternative, alcune più funzionali di altre. Ma, si sa, la presunzione rappresenta un valido ostacolo al confronto. In particolare in chi, in quel momento, si trovasse a essere mittente di quegli spunti. Perciò rivedere le (proprie) coordinate, porta con sé lo sforzo, non semplice, di ritrovare un nuovo equilibrio per tenere rapporti e relazioni in alcuni casi congelati da anni. Tuttavia, lo ripeto, il ruolo della stampa, quella locale in particolare, è anche quello di proporre e stimolare, di fare attenzione a come si compone l’immagine di un’isola. Che, si badi bene, non ha poi tutta questa gran voglia di soffrire una classe dirigente limitata dal proprio guscio di conoscenze, magari, per l’appunto, circoscritte al proprio personale micro universo. Ed è la classe dirigente isolana a rappresentare uno dei punti nodali che in questo periodo, nella sua sfumatura post-Covid, ha dato il “meglio” di se non facendo nulla. Al contrario, ha lasciato agli eventi la completa gestione della vita pubblica e sociale, senza che vi fosse qualcuno in grado di gestirli, ed ha spedito in rotta di collisione l’eventuale crescita, seppur minima, del tessuto economico intanto lanciato alla deriva in quel mare amministrativo in cui galleggiano pure progetti per un’eventuale riqualificazione da esprimersi a più livelli. Lello Montuori, fine pensatore e forse tra i pochi rappresentanti di quella dimensione intellettuale che l’intera isola fatica ancora ad accogliere per ricavarne poi la propria forza motrice e propositiva, ha evidenziato un aspetto non di poca importanza. Lello in uno dei passaggi del suo commento pubblicato nei giorni scorsi, parlando delle fonti di finanziamento per i comuni, mette in discussione lo strumento progettuale quale unico mezzo per la ricerca di fondi e, più ampiamente si potrebbe dire, per il sostentamento di un’amministrazione. «Anziché formare la burocrazia alla cura degli interessi pubblici – scrive Lello – ed alla loro obiettivizzazione (hic et inde) si sono addestrati dirigenti e funzionari a compilare progetti direttamente on line, per rispondere nei termini a bandi con avvisi di finanziamenti europei, nazionali, regionali, contribuendo ad alimentare una burocrazia divenuta via via per forza di cose, tecnologica ed autoreferenziale, sempre più lontana dalle reali esigenze delle comunità, ma soddisfatta quando riesce ad ottenere più finanziamenti del Comune o della Regione più vicina e soprattutto capace di aver speso assai di più, perché la capacità di spesa – che un secolo fa sarebbe stata ritenuta una iattura – è divenuta un parametro nientedimeno che di efficienza e indiscussa abilità. A cosa ha portato questo equivoco assai abusato dei ‘progetti’ a tutti i costi? Per dirne una, in ambito regionale ha portato la festa patronale di un paese sperduto di montagna, a concorrere con il finanziamento per una stagione teatrale di una città con più di un milione di abitanti e tanti interpreti di fama nazionale e oltre confine. E ha finito col mettere entrambi nella stessa graduatoria con un finanziamento -a discrezione et arbitrio di Sua Eccellenza- perché, a cercarsi la ratio di quei punti attribuiti all’una o all’altra, non ne verreste a capo per nessun motivo e in nessun modo». Lello ha ragione, la “politica” ha perso in maniera graduale il suo ruolo, per delegarlo al potere di funzionari addetti ai “progetti”. Il problema è il sistema, è all’origine dunque, e nessuno ha il coraggio di parlarne, prima, e cambiarlo poi. Una seria discussione, che il funzionario del comune di Ischia ha stimolato, andrebbe approfondita ed estesa non solo nel suo tecnicismo ma nel suo impatto, o per valutare altre sfere di applicazione, nella vita di tutti noi che esprime quel territorio attraverso la politica. Un passaggio in particolare mi ha colpito: «Quale dovrebbe essere l’alternativa, allora? Forse non semplice a farsi quanto a dirsi. Finanziare il più possibile senza vincoli Stati, Regioni, Enti locali sulla base d’indicatori assai oggettivi (numero di abitanti, densità d’insediamenti, reti infrastrutturali, servizi offerti o non offerti ancora) privilegiando sempre chi ha di meno per far fare cose semplici, anziché fantomatici ‘progetti’: riparare strade e marciapiedi, ristrutturare scuole e spazi all’aperto per il gioco, realizzare impianti di depurazione e interventi di politica ambientale, ma non dove gli amministratori hanno la sensibilità di realizzarli, quanto piuttosto in tutti i luoghi in cui ce n’è bisogno dal Nord a Sud della penisola. Cosa c’entrano ‘i progetti’ da candidare in tutto questo? Poco o niente. E bisognerebbe avere il coraggio di dirlo nelle sedi dove la politica si fa a livelli assai più alti e meno spiccioli. Perché per restaurare un importante monumento che sta cadendo a pezzi bisogna finanziare anche quattro eventi in cui partecipano artisti -magari pure bravi- che devono esibirsi in rassegna nel progetto per dargli un filo conduttore, quando in realtà l’unica esigenza è quella di restaurare un monumento?».

Ed ecco che allora, forse un poco forzatamente, un punto si ricollega e fa da ponte all’ulteriore approfondimento che Lello, secondo me, nel suo commento, ha toccato marginalmente e in modo indiretto. La politica, e la classe dirigente quale sua espressione anche sull’isola, ha perso il contatto col territorio. Chiusa come è in quel guscio di conoscenze limitate e di attenzioni le quali, a loro volta, condizionano il decisore, l’amministratore, e spesso lo costringe a seguire linee di progetto che non si muovono tranne che in conformità ad interessi altrettanto ridotti (perché più semplici da gestire). Ancora, se guardiamo la mancanza di una classe dirigente adeguata, possiamo benissimo affermare che manca un “progetto umano”, fatto di uomini, di politici con la “P” maiuscola, in grado di consentirci di uscire da un paradigma per abbracciarne altri attraverso il confronto dialettico. Se resta intatto il discorso di Lello, allo stesso modo resta inalterato quello che una classe dirigente – idonea, per quel paese – è necessaria. E se esiste la difficoltà, oggettiva, di assumere quale unica fonte di finanziamento – nei comuni – i progetti, è identica la difficoltà di dotarsi di persone capaci e indipendenti da interessi lottizzati o di bottega, retaggio di un passato recente che ormai non soltanto ha percorso il suo tempo ma ha necessità di cambiare rotta, di aprirsi al mondo per non restare chiusa nel proprio fatto di barricate ed esclusioni, di epurazioni di talenti (i quali, perché no, potrebbero in certi casi occuparsi del supporto alle amministrazioni per cercare fondi e fonti di finanziamento ulteriori: ad esempio tecnici alla ricerca solo di quelli) e di regali a questo o a quell’amico solo perché “in linea”, e non in contrasto, con quella visione personale. Mentre nel passato, si poteva affermare, che proprio alla politica era attribuito il compito della formazione delle “nuove” classi dirigenti, oggi alla politica che conosciamo si può avere accesso solo tramite “l’appartenenza” di visione. E se questa riproduce se stessa nel limite stabilito e predefinito, anche lo strumento progettuale, con tutte le sue limitazioni, entra a far parte di quella dimensione ambientale. La quale attribuirà priorità alla sola dimensione del consenso – da parte del politico – e meno alla tutela degli interessi collettivi, gettando la vita “pubblica” in una campagna elettorale permanente che a sua volta, senza richiedere un minimo di competenza utile in chi decidesse di tuffarcisi, ci abitua a una classe politica di plateale incompetenza. E sarà questa che diventerà, per conseguenza, la lente (deformata) con cui si sovvertirà la scaletta delle priorità che un comune, invece, avrebbe bisogno di risolvere. Ed ecco allora che si sprecheranno occasioni, strumenti, come il Patto per lo Sviluppo dell’isola d’Ischia (delibera firmata nel 2015 e Protocollo di Intesa firmato) che prevede, nel suo nuovo ciclo 2021/2027, l’invio di ingenti somme da parte della UE per lo sviluppo del territorio. E proprio mediante lo strumento “progettuale”.

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